Ho speso la maggior parte della mia esistenza a ‘far cose’ collegate alla bicicletta: pedalando in solitaria o con amici, ideando tracciati, guidando ciclo-escursioni, partecipando al mondo dell’associazionismo come semplice attivista e/o presidente di associazione, come membro del Consiglio Nazionale della FIAB, partecipando alla Critical Mass romana e, per quanto molto occasionalmente, alla vita delle Ciclofficine, immaginando ciclovie urbane (il GSA – Grande Sentiero Anulare), avviando esperienze di cicloescursionismo estemporanee attraverso il forum Cicloappuntamenti, facendo crescere il movimento #Salvaiciclisti, tenendo corsi, scrivendo libri, infine trasferendo le mie competenze in un’azione amministrativa, purtroppo di breve respiro, e ultimamente da semplice blogger.
Dei sessant’anni, che compirò a breve, le attività suddette ne hanno interessati oltre trentacinque. Assieme a me decine di altre persone, ognuno/a a dare il proprio contributo generosamente ed in maniera disinteressata. I risultati conseguiti, in termini di realizzazioni ciclabili e trasformazione degli stili di vita, restano tuttavia molto, ma molto al di sotto delle aspettative: scarsi, raffazzonati, insoddisfacenti. Cosa ho sbagliato, cosa abbiamo sbagliato, nel corso di tutti questi anni? Direi tanto. Principalmente a causa del fraintendimento di aspetti chiave, imputabile all’ingenuità con cui è stata affrontata la questione.
Il parallelo che mi pare ora più calzante è quello della mosca intrappolata nella tela di un ragno. La mosca ci finisce dentro volando, perché non è in grado di vederla per tempo, quindi ci rimane invischiata a causa della natura appiccicosa della tela stessa. Dimenandosi allerta il ragno, che prontamente arriva, finisce di imbozzolarla e la utilizza come pasto. Fine della mosca.
In questa metafora le mosche sono, evidentemente, i cicloattivisti e gli attivisti ambientali più in generale. La cosa più interessante di questo parallelo è la ragnatela in cui gli attivisti finiscono intrappolati, che non ha una controparte concreta e risulta invisibile proprio in quanto immateriale. Comincerò però col parlare del ragno, che invece è un’entità concreta, intenta a cibarsi di una varietà di insetti, ovvero di esistenze… di persone reali… di noi.
Il ragno è l’incarnazione del sistema consumista all’interno del quale le nostre esistenze sono forzate a svolgersi. Esso esiste da molto prima della nostra nascita e, con molta probabilità, continuerà ad esistere dopo la nostra morte. Il ragno si nutre del lavoro della popolazione, da cui trae forza e nutrimento. Per obbligare la popolazione a provvedere alle proprie necessità, il ragno tesse una tela fatta di idee e convinzioni. Una tela immateriale, tenuta in essere grazie al controllo dei mezzi di comunicazione.
Noi tutti nasciamo avvolti in questa tela, fatta in parte di realtà oggettive, tangibili, e in parte di menzogne. La porzione attinente le realtà oggettive è chiaramente visibile, quella relativa alle menzogne risulta nascosta. Finché ci si comporta come l’organizzazione sociale si aspetta da noi, riusciamo a non incappare nella sua parte nascosta. Quando usciamo dai binari, quando proviamo a trasformare la realtà, è la rete di menzogne che consente di renderci innocui.
La parte più consistente della popolazione non ha problemi a stare nei ranghi, accetta di vivere nella porzione visibile della rete, quella legata alla realtà percepita, di svolgere la propria attività produttiva e venirne remunerata quel tanto che basta a mantenere un livello di soddisfazione generale funzionale alla sopravvivenza del ragno e della sua rete. Gli individui cui la rete ‘va stretta’, quelli che provano ad apportarvi delle modifiche, vanno incontro ad un destino diverso.
La trappola funziona in quanto invisibile, essendo costruita all’interno delle convinzioni stesse che ognuno di noi coltiva sulla natura della realtà. È solo quando mettiamo alla prova queste convinzioni che realizziamo la loro inconsistenza. E tuttavia, anche di fronte all’evidenza, la realtà che ci si para di fronte appare a tal punto incoerente, irragionevole, a tratti insostenibile, faticosa da inquadrare nel modello di relazioni sul quale basiamo le nostre azioni, da farci rifuggire dall’accettarla.
Ci viene insegnato che il sistema funziona sulla base di determinate dinamiche di causa-effetto, in un quadro coerente che non accetta inceppamenti. Quando incappiamo nei processi di inganno, semplicemente non disponiamo degli strumenti culturali in grado di comprenderne la funzione, perché siamo convinti che il loro esistere rappresenti un difetto sistemico ingestibile. La realtà è che il sistema integra i meccanismi di inganno a tal punto da farne le proprie fondamenta, mentre tutto quello che ci viene raccontato, inclusi i meccanismi di causa-effetto che ci vengono insegnati fin dall’infanzia, è unicamente funzionale alla manipolazione collettiva.
Siamo stati convinti che la politica fosse guidata da processi democratici, con la popolazione che elegge i propri rappresentanti e questi poi operano per il benessere collettivo. La verità è molto più complessa e rimane nascosta ai più, che dal canto loro risultano poco propensi a porsi domande. La realtà è che le sedicenti istituzioni democratiche sono l’esito finale di un processo di metamorfosi dei sistemi di potere, che le hanno adattate ed adottate a proprio vantaggio nel momento in cui le forme di governo autocratiche (dittature) si sono rivelate disfunzionali. Ma si è trattato di un cambiamento di facciata, funzionale alle necessità di chi gestisce il potere reale, il potere economico.
Siamo stati convinti che la stampa e i giornali raccogliessero le notizie per informarci, generando un ritorno economico dallo svolgere onestamente questo lavoro. La realtà è che i giornali guadagnano molto di più da chi ha interesse a fornirci solo una parte delle notizie, confezionate in modo da orientare il nostro modo di pensare in maniere a loro favorevoli e, soprattutto, redditizie. Questo ha fatto sì che le sacrosante rivendicazioni relative alla sicurezza stradale, alla salute pubblica, alla vivibilità dei centri abitati, rimanessero marginali nel dibattito collettivo.
Siamo stati convinti che la rete ed i social-network potessero rappresentare un potente strumento di comunicazione e di democrazia diretta, quando si sono rivelate soltanto un potentissimo mezzo di profilazione individuale, utilizzato per marginalizzare il più possibile ogni forma di dissenso, oltreché l’ennesima ‘arma di distrazione di massa’, funzionale al controllo sociale.
Siamo stati convinti, o ci siamo auto-convinti, che le istanze maturate ‘dal basso’ potessero essere veicolate ai rappresentanti politici e trasformate in realizzazioni concrete. Lo abbiamo visto accadere altrove ed abbiamo pensato che fosse possibile anche qui. Non era vero. L’organizzazione politica stessa funziona da filtro per impedire che le istanze prodotte ‘dal basso’ possano disturbare i padroni del vapore.
Ci siamo convinti che fosse possibile ‘diffondere il verbo’ della ciclabilità, portandolo all’attenzione di una popolazione accorta ed attenta, in attesa unicamente di un vento di novità, di un cambiamento in meglio. Era un’idea sbagliata. La popolazione ‘accorta ed attenta’ si è rivelata solo una fantasia autoconsolatoria, i mezzi di comunicazione a nostra disposizione si sono dimostrati ininfluenti. Ce la siamo suonata e cantata fra noi, mentre il mondo all’esterno restava sordo e distratto.
Vista a posteriori ha fatto bene chi si è ‘perso per strada’, chi ha gettato la spugna, chi si è trovato altro da fare. Il sistema si è rivelato monolitico ed inscalfibile, pronto solo a buttarci qualche briciola per mantenere in noi l’illusione di stare ottenendo il cambiamento di rotta tanto auspicato, mentre quelle stesse briciole (corsie ciclabili, rastrelliere, servizi) venivano poi regolarmente riassorbite dal degrado, a causa dell’assenza di investimenti, di manutenzione, di interesse, in molti casi perfino di una ragion d’essere.
Vista a posteriori non poteva andare diversamente. Stupido io a crederlo. La trappola in cui sono caduto era stata collocata dentro di me fin dal principio, non sono stato capace di vederla in tempo. A ciò aggiungo un senso di colpa ulteriore, per avere convinto altri della possibilità di un mondo migliore, di una realtà diversa. Ora è semplicemente troppo tardi per dare un corso diverso alle mie azioni, al mio percorso di vita. La mosca è in trappola e il ragno ha vinto. Fine dei giochi.