Che fare?

E’ una domanda che in tempi di crisi si rivolgono tutti: “che fare?”. Tipicamente ci si schiera con le posizioni più “in voga” del dibattito politico del momento. Un tempo ci si divideva tra filocomunisti e filocapitalisti, oggi che gli estremismi non vanno più di moda si prendono le parti dei “socialdemocratici” o dei “liberisti”, vuote formule atte solo a nascondere un vuoto di idee.

Le parti, dicevo, come se l’agone politico fosse riducibile ad una contesa di natura sportiva in cui tifare, per partito preso o per simpatia, l’uno o l’altro dei contendenti. Sfugge, ai più, la reale natura del contendere. Sfuggono i termini esatti della congiuntura internazionale dal momento che, in un’epoca di “vacche grasse” come quella durata ininterrottamente per almeno l’ultimo mezzo secolo, l’interesse e l’attenzione di tutti è stata scientemente dirottata sul consumo allegro e sfrenato.

Questa è la preoccupazione dell’uomo contemporaneo: cosa mi regalerò, cosa potrei comprarmi, quale nuovo vestito, quale nuova automobile, quale nuovo elettrodomestico, quale nuovo oggetto (materiale o meno) potrà meglio nascondere la mia assenza di identità e dirottare su di sé l’attenzione degli altri. Il consumo compulsivo sostituisce la definizione identitaria e diventa oggetto primo, se non unico, di interesse: prima, se non unica, ossessione condivisa.

“Se tornassero i vecchi di una volta!”… l’idea emerge di frequente nei discorsi tra mia madre ed i suoi coetanei. Persone anziane, che hanno visto cambiare completamente il mondo sotto i propri occhi ma non hanno perso la memoria di com’era “prima”. Noialtri, invece, i “baby -boomers” nati negli anni ’60 e ancor più le generazioni successive, di quel “prima” abbiamo colto solo i fantasmi in via di dissoluzione.

Com’era il “prima” non lo sappiamo più. Non solo, non abbiamo nessuna intenzione di scoprirlo, è un rimosso, un tabù collettivo. L’industria dell’intrattenimento e dello spettacolo è in questo perfettamente rappresentativa, collaborando attivamente alla riscrittura del passato: ammodernando, patinando, ammorbidendo, sfumando, raccontandoci le storie che siamo disposti ad ascoltare, quelle di cui abbiamo bisogno per addormentarci.

Di fatto viviamo in un mondo totalmente immaginario, una grande allucinazione collettiva, un “Truman show” diffuso su scala globale che va in scena tutti i giorni ed i cui protagonisti siamo noi, senza altri spettatori all’esterno. Ma quanto può durare ancora? Quanta autonomia resta a questa colossale truffa?

Che il “motore della crescita” stia rallentando è evidente già da un po’. La macchina è ben oliata ma il carburante comincia a scarseggiare, sia in termini energetici, sia delle innumerevoli materie prime di cui questo mostro si nutre. Materie prime non riciclabili di cui la nostra insipienza ritiene di non poter fare a meno.

Cambiare rotta è possibile, sempre, in qualunque momento, ma sul piano individuale si può fare ben poco. Al livello collettivo bisognerebbe cominciare almeno a ripensare quanto si è fatto fin qui, a valutare onestamente e con serenità gli scenari che ci si parano davanti, ad archiviare gli errori commessi in passato, farne tesoro ed intraprendere azioni correttive. Ma per questo occorre volontà.

Purtroppo, l’unica volontà che fin qui è stata premiata è quella delle persone che ci hanno condotto all’impasse attuale. Persone che siedono nei consigli di amministrazione delle ricche società d’affari e nei posti di potere. Persone che quotidianamente continuano a perseguire il mito della crescita indefinita ed il pensiero unico del consumismo. Persone il cui unico fine è la perpetuazione di sé e del mondo a cui hanno dato vita, anche a costo di negare l’evidenza.

Persone che instancabilmente nutrono la nostra ignavia, la nostra pigrizia mentale, il nostro vuoto, che offuscano con lustrini e paillette i nostri pensieri e le nostre aspirazioni, che tessono incessantemente la rete di menzogne che ci tiene imprigionati. Persone anziane, spesso, prigioniere esse stesse della realtà fittizia che le ha amorevolmente coccolate e nutrite.

Che fare, dunque?

Non molto, temo. Abitudini consolidate, o dovrei dire incancrenite, su un arco temporale di decenni, non cambiano spontaneamente. Realtà enormemente complesse e globalmente interconnesse non si trasformano spontaneamente nel proprio opposto: al più cercano di modificarsi il meno possibile, finché non sopravviene il collasso.

Ora quel collasso è davanti ai nostri occhi, non a decenni o a generazioni di distanza: quel collasso è dietro l’angolo. Non apparterrà alle generazioni future, sarà la nostra a doverci fare i conti. E il massimo che potremo riuscire a fare sarà provare a tirare il freno quando verrà il momento, e farlo con tutta la forza che abbiamo.

Si tratterà di ripensare un mondo intero, archiviare le abitudini di decenni, recuperare modalità relazionali dimenticate ed elaborarne di nuove, ridisegnare il territorio e le città, cominciando dai trasporti, investire sulle risorse sostenibili e dare un taglio drastico ai consumi. Cambiare la propria alimentazione, le proprie abitudini, i propri interessi, stravolgere il proprio stile di vita. Arginare l’umano egoismo per restituire al pianeta almeno una parte di quello che gli abbiamo rubato e distrutto.

Vorrei sperare che sapremo esserne capaci, ma la ragione mi induce al pessimismo.

P.s.: questa canzone di Billy Bragg mi gira in testa da un quarto di secolo ormai. Era già allora tutto evidente, ma nessuno ha mosso un dito, e chi ci ha provato ha fallito…

THE BUSY GIRL BUYS BEAUTY

The busy girl buys beauty
The pretty girl buys style
And the simple girl
Buys what she’s told to buy
And sees her world
Through the brightly lit eyes
Of the glossy romance of fashion
Where she can learn…
Top tips for the gas cook
Successful secrets of a sexual kind
The daily drill for beautiful hair
And the truth about pain

What was Anna Ford wearing?
What did Angela Rippon say?
What will you do
When you wake up one morning
To find that God’s made you plain
In a beautiful person’s world?
And all those quick recipes
Have let you down
And you’re 20 and half and not yet engaged
Will you go look for the boy who says
I love you let’s get married and have kids?

The busy girl buys beauty
The pretty girl buys style
And the simple girl
Buys what she’s told to buy
And sees her world
Through the brightly lit eyes
Of the glossy romance of fashion
Where she can learn…
Top tips for the gas cook
Successful secrets of a sexual kind
The daily drill for beautiful hair
In a mail order paradise…

2 pensieri su “Che fare?

  1. C’è un cartone animato, anzi due. Uno dove in una metropoli del futuro nessuno ha memoria di nulla che sia accaduto più di quarant’anni fa perchè un evento misterioso l’ha cancellata a tutti come collettività (questo è “The big O”). L’altro, il notissimo “One Piece” è fondato su di un presente che vede un governo assolutista combattere con avventurieri e pirati ma soprattutto censurare ai cittadini la storia del “secolo vuoto”, cento anni di cui, per segreto di stato, praticamente nessuno sa nulla. Se gli artisti della più popolare delle arti hanno captato questo con la loro sensibilità verso il contemporaneo un motivo ci sarà pure

    • In realtà è fin dagli anni ’50 che la fantascienza (cultura pop per antonomasia) propone storie ambientate in un futuro post catastrofe in cui la memoria della civiltà si è perduta ed il protagonista o la va cercando, o prova a costruire un mondo nuovo. I primi titoli che mi vengono in mente sono “La città sotto il mare” di Wilson Tucker e “Davy” di Edgar Pangborn, ma il tema del post-apocalisse è di fatto uno dei sottogeneri della narrativa d’anticipazione.

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