In riva al fiume della vita

Ormai da molti anni sono seduto sulla riva del fiume. Attendo di veder passare il cadavere del mio nemico. È un cadavere enorme, il cadavere della “civiltà dell’automobile“, ci vorranno intere generazioni prima che ne sia completato il transito, ma già se ne vedono affiorare sulla superficie le prime parti, ed è quasi un buon segno.

La “civiltà dell’automobile” ha rappresentato per molti decenni l’apoteosi della tendenza umana all’auto-inscatolamento, producendo una devastazione senza precedenti del pianeta, di cui pagheranno le conseguenze le generazioni future.

L’uomo “in scatola”, sigillato ed incapace di avere un contatto sano col mondo che lo circonda, è la paradossale involuzione terminale della nostra specie conseguente all’invenzione del motore a scoppio. L’uomo “in scatola” vive la propria esistenza perennemente confinato, dentro case, uffici, automobili. I suoi contatti con l’esterno sono ridotti al minimo indispensabile e spesso operati in contesti anch’essi completamente artificiali.

Non venendo mai realmente a contatto con il mondo in cui vive, l’uomo “in scatola” si disinteressa totalmente di tutto ciò che si colloca al di fuori dei propri “contenitori”, ed il suo unico interesse risiede nel potersi spostare, in scatola, da una scatola all’altra. Tutto quello che c’è in mezzo, tolte le strade carrozzabili, gode dello stesso identico status di una discarica.

Su questo ragionavo stamattina quando, dimentico di ogni buonsenso, mi sono accodato al mio amico Sergio alla ricerca di un collegamento “ciclabile” tra la periferia sud di Roma e quella di Ciampino. Zone che ormai da anni attraverso solo per caso, cercando di distogliere lo sguardo, di dimenticare.

Dimenticare, ma è impossibile, i ricordi di vent’anni fa, quando giovane neo-appassionato di bicicletta seguivo ciclisti più esperti tra le mille stradine serpeggianti fra i vigneti dei Castelli Romani, all’epoca ancora idilliache e relativamente deserte.

Oggi, al contrario, i vigneti sono scomparsi sotto colate di cemento, eserciti di villette a schiera, sobborghi e seconde case “nel verde” (?), e quelle stesse stradine, allargate ed ormai oppresse da ogni lato da muraglioni di cemento armato, sono intasate da un traffico veicolare forsennato e privo di senso, guidato dalla logica incomprensibile della perenne fuga “in scatola” da una scatola all’altra.

Come topi in un labirinto, perennemente in corsa con la convinzione di poter uscire dal labirinto stesso, ma incapaci di renderci conto che i confini del labirinto sono solo nelle nostre teste, marchiati a fuoco dalle logiche di gruppo e dai rituali collettivi.

Così sprechiamo ore a girare nei centri commerciali per acquistare oggetti di cui potremmo fare tranquillamente a meno, dopo aver perso ore in macchina per raggiungerli, e prima di spenderne altre per inscatolarci di nuovo nelle nostre case. Non sappiamo più correre, non sappiamo più camminare, non sappiamo più fermarci, non sappiamo più guardare al mondo e vederlo realmente. E il mondo, disprezzato, ignorato, abbandonato, ci è diventato ostile e ci si rivolta contro.

Tutto questo un giorno finirà. Dovrà finire, o finiremo noi. I segnali sono chiaramente visibili a chi abbia occhi per vedere, e voglia di tenerli aperti. E quando questo delirio finirà ci si renderà conto che sarebbe stato meglio tenersi le vigne, che non costruire i nuovi sobborghi, che la terra coltivabile andava salvaguardata, e non cementificata, che i chilometri e chilometri di superstrade e svincoli non servono più a nulla, e nemmeno il terreno che occupano potrà più essere coltivato.

Dopo la caduta dell’impero romano la popolazione di Roma si ridusse dal milione di abitanti di epoca imperiale a diecimila, quindicimila persone nel Medioevo… con abbondanza di terre coltivabili a breve distanza. Un domani, se il crollo dell’impero delle scatole sarà brutale e drammatico tanto quanto la cecità dei suoi esegeti lascia temere, le grandi città potrebbero rimanere totalmente abbandonate per secoli.

Io siedo sulla riva del fiume. La sagoma del cadavere, nascosta sulla distanza dalla foschia, sembra immensa. Quando finalmente passerà, la sua visione potrebbe risultare insostenibile.

9 pensieri su “In riva al fiume della vita

  1. Non ci sarà chi potrà permettersi di sedere sulla riva. Stavolta non è una civiltà, ma la cultura di un pianeta (o almeno di mezzo pianeta) ad essere in forse e quando scoppierà (e, fra dieci o cento anni lo farà) tutti noi, anche quelli seduti sulla riva, saremo trascinati dal mulinello, dalla voragine che si creerà, com’è già accaduto in passato su scala più ridotta. Dobbiamo anticipare, non aspettare. Solo così ci sarà un altro treno su cui saltare quando tutti si accorgeranno che le rotaie del vecchio convoglio finiscono all’ultima curva.

    • Io dispero che ci sarà un altro treno su cui saltare. Alcuni paesi proveranno a rimodellare le proprie scelte, ma non è detto che faranno in tempo. La cosa che personalmente temo di più è la fame diffusa, subito seguita dalle grandi ondate migratorie che questa innescherà, col loro corollario di saccheggi ed ulteriore distruzione. Dovremo arrivare veramente al fondo, prossimi all’estinzione, prima di sperare di poter ritrovare un equilibrio. Le tradizioni orali del terzo millennio saranno abbastanza diverse da quelle del primo e del secondo.

  2. Bella descrizione. Qui in Friuli, dove abito, il cemento si è preso tutto, tranne qualche piccola oasi di bellezza da raggiungere rigorosamente con l’aiuto dell’automobile.
    Abbiamo avuto tre morti investiti in tre giorni, e nessuno ci fa caso. L’aria nella piccola Udine è pestilenziale, i parcheggi non bastano mai e la città è brutta, senz’anima, senza persone, solo lamiera.
    Anch’io penso che il mondo stia cambiando, e faccio la mia parte, rifiutandomi, tra le varie cose, di salire su un’automobile. Però potremmo essere troppo pochi, e troppo in ritardo.

    • Ciao Gaia
      Ti rispondo col pensiero di un grande intellettuale friulano, Pier Paolo Pasolini:

      “Posso dire senz’altro che il vero fascismo è proprio questo potere della civiltà dei consumi che sta distruggendo l’Italia. E questo è avvenuto talmente rapidamente che in fondo non ce ne siamo resi conto. E’ avvenuto tutto in questi cinque, sei, sette, dieci anni. E’ stato una specie di incubo in cui abbiamo visto l’Italia intorno a noi distruggersi e sparire. E adesso, risvegliandoci, forse, da quest’incubo, e guardandoci intorno, ci accorgiamo che non c’è più niente da fare.”

      https://mammiferobipede.wordpress.com/peak-oil/pasolini-la-citta-e-il-presente/

      Correva l’anno 1974… Da allora abbiamo continuato a peggiorare le cose. 😦

    • Udine è una piccola città in confronto a Roma. Qui stiamo messi molto peggio. Pensa che ormai la bici da corsa la uso solo in Abruzzo (che raggiungo con un’ora e mezzo di treno).

  3. Ottimo articolo bravissimo!
    Adoro usare la bici (la macchina la uso solo per viaggi lunghi o se proprio necessario tipo traslochi o se devo fare un’uscita fuori città con ragazza/amici etc) e non mi interessa se fa troppo freddo o troppo caldo.
    Rispetto il più possibile il codice della strada, cosa che molti automobilisti si vantano di fare ma non fanno assolutamente.
    Purtroppo la maggior parte delle persone sono diventate schiave dell’automobile e come dici anche te non sono più capaci di godersi la vita con una passeggiata o con un attimo di relax.
    Abito in bassa toscana e fortunamente ci sono ancora molti posti dove potersi fare una bella sbiciclettata in santa pace ma anche qui il traffico è aumentato molto negli ultimi 15 anni.
    Quando madre natura si arrabbierà sul serio, sono sicuro che noi verremo guardati con un occhio di riguardo 🙂

    Buona bici a tutti!!!

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