Il luogo delle cose semplici e vere


Dopo il capodanno del 2009 passato in allegra e rumorosa compagnia, e l’anno turbolento che ne è seguito, io e Manu abbiamo deciso di regalarci un momento di tranquillità trasferendoci per qualche giorno a Pianello, in compagnia di parenti e nipoti. Fra queste case antiche dai muri di pietra, con lo scoppiettare della legna nel caminetto, la pioggia che scende su un paesaggio inequivocabilmente invernale, il tempo della vita ricomincia ad avere un minimo di senso.

Questo paesino è la mia pietra di paragone fin dalla fanciullezza, l’unità di misura fissa ed immutabile attraverso la quale interpretare e provare a comprendere la follia della modernità che ci ha pervasi e posseduti tutti. Il luogo delle cose semplici e vere, che abbiamo perso da qualche parte nel corso della vita, o forse solo dimenticato. “Sometimes you wanna go where everybody knows your name” recitava una canzone di qualche anno fa: “a volte hai voglia di andare dove tutti conoscono il tuo nome“, quel posto, unico al mondo, per me è qui e non potrebbe essere altrove.

In un paesino così piccolo, non dovendo lavorare, non c’è praticamente nulla da fare al di fuori delle routine quotidiane del mangiare e dormire, così si passa la maggior parte del tempo ad incontrare gente e chiacchierare del più e del meno, di cosa ha fatto Tizio e di cosa è successo a Caio, in una forma di “narrazione” che offre pochi appigli per intervenire a chi viene da fuori.

È anche molto naturale, semplicemente passeggiando, imbattersi in un piccolo cimitero ed affacciarsi all’interno. Quarantacinque anni di vita sono già abbastanza perché in questi luoghi si finisca col ritrovare compagni di gioventù prematuramente scomparsi. E ripensare ad altri momenti, altre stagioni della vita. E realizzare che il tempo passa, ma per accorgersene davvero occorre trovare l’occasione per fermarsi a guardarlo scorrere.

In questi giorni di vacanza sono riuscito a stare un po’ coi miei nipoti, li ho portati a camminare sui sentieri, a pattinare con lo skateboard, abbiamo letto cose insieme e mi sono un po’ “spupazzato” il più piccolo, che ha solo un anno e mezzo. Pensavo, mentre lo facevo, a quarant’anni fa, quando il bambino ero io… ed ai miei zii di allora, che non ci sono più.

Ed oggi nevica. Era da tanto che non vedevo la neve. Forse l’ultima volta è stata proprio qui. Il paesaggio è diventato bianco, ed immagino che fra un po’ anche i miei capelli faranno altrettanto. In sottofondo ascolto “Gavin’s Woodpile”, di Bruce Cockburn, un cantautore canadese che sto riscoprendo in queste ultime settimane (potete ascoltarla QUI, insieme all’intero album “In The Falling Dark”).

Mi sento sospeso, come fuori dal flusso del tempo. Osservo frammenti slegati della mia vita scorrermi davanti agli occhi, e pur senza trovarvi un senso compiuto ne ammiro la coerenza di fondo. C’è un che di straniante, ma al tempo stesso tranquillizzante, in questa mia provvisoria consapevolezza. Un momento raro e prezioso, sospeso tra zen ed introspezione, che prelude al ritorno alle quotidiane battaglie.

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