Discriminazione modale

Oggi vi chiedo uno sforzo di fantasia. Immaginate una società, una cultura, che discrimini le persone in base al veicolo che scelgono per spostarsi. Immaginate che chi utilizzi il veicolo caldeggiato da detta società (o proposto… o imposto con un capillare martellamento pubblicitario, se preferite) venga premiato in ogni maniera possibile, e chi ne conduca altri, per scelta o per necessità, venga continuamente penalizzato.

Vi fa arrabbiare? Ora immaginate che chi sceglie il “veicolo A” abbia a disposizione strade a due o tre corsie, che gli sia consentito di occupare spazi pubblici per la sosta del proprio veicolo, che gli sia tollerato il lasciarlo in sosta in ogni dove ed in qualunque momento, che gli sia perdonato il mettere criminalmente a rischio la vita degli altri guidando in maniera spericolata superando i già troppo permissivi limiti di velocità, che gli sia consentito intasare le arterie cittadine impestando l’aria di fumi di scarico e producendo un frastuono fastidioso e nocivo.

Immaginate ora che chi sceglie il “veicolo B” sia obbligato a rischiare la propria incolumità condividendo le strade coi conducenti del “veicolo A”, a respirare i veleni emessi da tali veicoli, ad occupare il margine della carreggiata, quello più sporco, malmesso e scarsamente manutenuto, a sopportare i conducenti dei “veicoli A” che sorpassano ad alta velocità ed a brevissima distanza, spocchiosi, incuranti ed ignoranti della pericolosità di tale comportamento.

Immaginate che per la costruzione, cura e la manutenzione delle strade destinate ai guidatori dei “veicoli A” vengano spese somme ingenti, mentre per i guidatori dei “veicoli B” siano destinate solo le briciole, impiegate oltretutto per realizzazioni scadenti, inefficaci, scarsamente manutenute e rapidamente condannate all’abbandono. Immaginate che i voluminosi ed ingombranti “veicoli A” abbiano a disposizione spazi sconfinati per la sosta, e nonostante ciò strabordino in ogni dove, creando intasamenti e problemi a tutti gli altri utenti della strada, mentre per i leggeri e poco ingombranti “veicoli B” non esistano in pratica punti di sosta attrezzati e funzionali.

C’è da arrabbiarsi o no? C’è o no da domandarsi cosa mai possa motivare una simile ingiustizia? Bene, stupirà realizzare che la situazione appena descritta non sia affatto immaginaria, ma si verifichi qui ed ora, in questo stesso paese dove tutti noi viviamo, ogni giorno. Per comprenderlo è sufficiente sostituire a “veicolo A” la parola “Automobile” ed a “veicolo B” la parola “Bicicletta”.

Tempo addietro ebbi a scrivere: “Quando una minoranza opprime una maggioranza, si può chiamare in molti modi: Dittatura, Oligarchia, Tirannide… Quando invece è una maggioranza ad opprimere una minoranza, si può anche chiamare Democrazia”

Questo è il quadro attuale, una “democrazia di fatto” che tuttavia non impedisce alla maggioranza di automobilisti di irridere, svilire ed attentare con leggerezza all’incolumità fisica di una minoranza di ciclisti che chiedono solo di potersi spostare in sicurezza.

Letteralmente un regime di apartheid del tutto analogo a quello in voga negli U.S.A. fino agli anni ’50, ed in Sudafrica fino a tempi più recenti, che discrimina le persone non in virtù del colore della pelle ma del mezzo che hanno scelto di utilizzare per spostarsi. Una discriminazione non meno stupida e non meno odiosa.

Cosa ancor più grave: una discriminazione di cui neppure i ciclisti stessi sono consapevoli fino in fondo. Quello che hanno rappresentato Rosa Parks, Martin Luther King, Malcolm-X, Stephen Biko, Nelson Mandela per i diritti dei neri, i ciclisti non l’hanno ancora trovato, e le catene mentali ed i condizionamenti della società dei consumi li portano ad oggi ad accettare passivamente la propria presunta inferiorità, ad ignorare i propri diritti negati, ad accettare, se non addirittura giustificare, l’oppressione.

L’industria ed il mercato hanno imposto negli anni una sorta di pensiero unico orwelliano che afferma sottilmente che le automobili sono gli unici veicoli ad avere pieno titolo di percorrere le strade, senza subire l’intralcio di altre forme di mobilità (pedoni e ciclisti) destinate ad essere emarginate e ghettizzate. La grancassa pubblicitaria continua a veicolare modelli arroganti e cafoni, che nel tempo sono stati acriticamente introiettati da molti.

Ma una presa di coscienza collettiva ha ormai iniziato il suo cammino, e voglio credere che non si fermerà finché a tutti i veicoli che circolano sulle strade siano garantiti gli stessi diritti, primo fra tutti quello all’incolumità personale. Il gruppo Facebook “Salviamo i ciclisti” ha ormai superato i 7500 iscritti e si sta rivelando un ottimo focolaio di “infezione culturale”, aiutando tutti noi a strutturare idee fin qui poco definite. Sono convinto che ci porterà lontano.

Rosa Parks

4 pensieri su “Discriminazione modale

  1. Mi piacerebbe percorrere migliaia di km in Italia, per girarla un bel po’, ma come si fa? E’ impossibile, già con le moto è pericoloso.
    Non ce la faremo mai! A me piace pedalare in collina, e lì le strade sono strette e oltre la linea bianca non c’è un cm, è veramente assurdo!

    • Beh, tu stai in Piemonte, ci sono regioni meno “stressate” (l’Abruzzo, per dire, o la Basilicata, come pure buona parte dell’Umbria e delle Marche).
      Cerca in rete e troverai sicuramente degli itinerari.
      Io, comunque, ti consiglierei come prima esperienza il Camino di Santiago (con la mtb).

  2. Quando qualcuno mi verrà addosso dirà che l’imprudente sono stato io, a mettermi in bici sulla strada,a stare al mio posto e non montare in auto. Questo fa più rabbia, che in queste situazioni chi proprio non vuol vedere tende a dare la colpa alla propria stessa vittima…

    • Siamo un popolo poco abituato all’idea di responsabilità individuale. Come reazione istintiva prima si cercano le colpe altrui, poi, se proprio i fatti lo dimostrano inequivocabilmente, si accettano le proprie mancanze.
      Diversamente, non avremmo la classe politica più ridicola d’Europa…

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