Sotto il sole e sopra il mondo

Molti mesi fa, venuto a conoscenza che la tappa più impegnativa del Giro d’Italia sarebbe passata per Pianello di Cagli, il mio amato paesello nelle Marche, decisi che avrei organizzato una spedizione “ciclo-montanara” con gli amici del forum. Così è stato: da sabato 23 a lunedì 25 non abbiamo fatto altro che scorrazzare su e giù per le montagne del massiccio del Catria e Nerone e le colline limitrofe, ingozzarci di ottimo cibo, ridere e scherzare. Itinerari in mountain bike sicuramente impegnativi (3.800 metri di dislivello “a salire” nell’arco di tre giorni…) culminati domenica 24 con l’attacco al monte Catria: quota massima 1700mslm con scollinamenti di riscaldamento ed inizio della salita dal fondovalle (Cantiano) a circa 250mslm, in pratica si sale fino allo sfinimento, poi si continua ad andar su, ognuno come può, fino alla grande croce sulla cima.

Il lunedì (preso di ferie) è stato dedicato al monte Nerone, la “mia” montagna, dove per le tre del pomeriggio era atteso il passaggio del Giro d’Italia e sul quale avevo già scelto il “mio” punto panoramico. Siamo saliti in bici, da una strada sterrata secondaria sul versante più esposto al sole, abbiamo pranzato al rifugio (mai visto così affollato), poi ci siamo andati a trovare un posto per goderci lo spettacolo. Da non appassionato di gare e competizioni devo dire che il clima di attesa e le centinaia di persone presenti per fare il tifo ai corridori hanno contagiato anche me. Vederli salire su a velocità inverosimile, grondanti sudore e con smorfie di sofferenza sul volto mi ha ridato il senso di uno sport in cui anche le diffusissime (e deprecabilissime) pratiche dopanti non possono comunque cancellare l’enorme fatica e sofferenza degli atleti.

L’unica nota stonata di una “vacanza perfetta“, in cui anche gli imprevisti sono riusciti a stupirci piacevolmente, si è verificata nel finale, quando siamo tornati giù in paese per seguire in televisione le fasi finali della gara e l’arrivo di tappa. Dopo tre giorni di bicicletta no-stop… guardare delle figurine pedalare su uno schermo, con le voci dei commentatori a fare da sottofondo, mi ha dato una sensazione di forte fastidio. Nulla di quello che stavo vedendo aveva per me la minima attinenza con ciò che, da ciclista, avevo vissuto e sperimentato nei tre giorni precedenti. Il guadagnare quota, i panorami che mutano sotto gli occhi ogni poche decine di metri, la vegetazione che cambia, le variazioni di temperatura dell’aria, il calore del sole, la fatica, la sete, il sentire la forza del proprio corpo mentre spinge sui pedali, l’aria che pompa dentro e fuori dai polmoni… niente di tutto questo emergeva dalla tv.

Così mi è tornato in mente McLuhan, e quella sua sentenza sul fatto che “il mezzo è il messaggio“, l’inevitabilità che il “medium” usato per raccontare un fatto, un evento, finisca col rappresentare più il mezzo scelto che non l’evento in sé. Così il ciclismo, portato in televisione, smette di essere ciclismo per diventare televisione, ovvero qualcosa che non significa quasi più nulla, immagini che restituiscono solo un’ombra dell’esperienza reale, mescolata e confusa con le specificità del mezzo stesso che finiscono con l’essere soverchianti.

Incredibile era stata la pienezza, l’emozione, del viaggiare in bici nei giorni e nelle ore immediatamente precedenti se confrontata con la pochezza del seguire, da un monitor, le vicende di figurine astratte e tristemente svuotate di senso. E se questo accadeva a me, ragionavo, che quelle esperienze ce le avevo vivide nella memoria, con i “neuroni specchio” al lavoro per trasmettermi empatia con i corridori inquadrati, cosa poteva arrivare ai “non ciclisti“? Probabilmente immagini senza senso di uomini in tutine colorate, su assurdi e costosissimi trabiccoli, intenti a sfidarsi a chi spinge di più sui pedali, con l’unica finalità consistente nell’ordine d’arrivo al traguardo: vincitori e vinti, trionfatori e sconfitti, un esito lungamente atteso e sempre in forse ma del tutto svuotato della ricchezza e della complessità dell’esperienza reale. Una “narrazione” talmente impoverita da risultare un puro e vuoto tentativo di spettacolarità.

Devo dire la verità, ho provato rabbia, rabbia e fastidio. Per l’ennesima squallida mercificazione di un’attività emozionante come il correre in bicicletta, per me paradigma di libertà, e per come siamo ormai abituati al “vivere per delega“, sprofondati in poltrona, anche le esperienze più vitali ed esaltanti. Ho provato tristezza per le moltitudini ormai incapaci perfino di comprendere la distanza siderale tra l’esperienza vera e la “vita rappresentata“, prigionieri di una incessante mistificazione, rimpinzati di finte emozioni alla stessa maniera in cui le vacche di un allevamento industriale sono rimpinzate fino a scoppiare di mangimi artificiali. Quello che facciamo agli altri, quello che facciamo al mondo, inevitabilmente, finiamo col farlo anche a noi stessi.

Oggi il mio corpo è qui, ma il cuore è ancora lassù, in cima al Nerone, in cima al Catria, nel vento e nel silenzio, sotto il sole e sopra il mondo, sospeso nella bellezza.

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