Com’è il matrimonio? La cerimonia, intendo… beh, strana, inattesa. Sicuramente non qualcosa a cui si possa essere in qualche modo preparati. Per quanto io e Manu potessimo sforzarci di viverla nel modo più naturale e meno ‘artificioso’ possibile alla fine ne siamo stati piacevolmente travolti.
È stato un matrimonio abbastanza fuori dagli schemi. La sera prima, intorno alle nove, sono piombati a casa nostra Andrea e Silvia con loro figlia undicenne Flavia, amici di vecchia data abitanti in quel di Rho. Siamo andati tutti a cena in un ristorantino cinese vicino casa ed abbiamo fatto mezzanotte tra rifare i letti e sistemarli nelle stanze.
La mattina ci siamo alzati con comodo, e mentre Manu era ‘al trucco’ ne ho approfittato per stirare la camicia nuova di pacca, mentre cominciavano ad arrivare i primi parenti. Verso le dieci e mezza siamo scesi, e tutti a piedi abbiamo raggiunto la chiesa, tra gli sguardi un po’ spiazzati dei tuscolanensi.
Il momento che più mi ha impressionato è stato attraversare la navata verso l’altare, con gli occhi di tutti puntati addosso. Davvero è molto diverso dall’essere a teatro, quei ‘tutti’ non sono degli sconosciuti, sono facce note, parenti, amici, un pezzo importante, forse il più importante, di tutta la tua vita fin qui. Persone care che si aspettano qualcosa da te… strano a dirsi, si aspettano che tu sia felice. Capirlo è uno shock.
E va di pari passo al rendersi conto che veramente si tratta di un momento di passaggio, una ‘resa dei conti’, un cortocircuito, con me e Manu al centro, di tutto quello che siamo stati ed abbiamo fatto fin qui. Conti le facce note, quelli che ci sono, quelli che non ci sono, quelli che hai voluto accanto a te e quelli che non hai voluto, o quelli che avresti voluto ma magari non ci sono più.
Capito questo non c’è da fare altro che lasciarsi andare, entrare in sintonia con il gruppo” come ci insegnava Gianluca Bondi, fare ‘la zattera’, equilibrare, ‘occupare lo spazio’ quand’è il momento, lasciarlo ad altri mantenendo attenzione e partecipazione.
Neppure è stato un rito ‘classico’. Da non credente ho scelto di non recitare alcune formule, ed al momento della comunione di Manu mi sono fatto da parte, ma continuando a guardare lei come per condividere, in tacita accettazione, questa cosa sua che a me non appartiene.
Anche qui ho compreso che nulla è indolore, che le scelte operate perché ci rappresentino possono addolorare gli altri, ma anche che sono il passaggio necessario per una reciproca accettazione, trovare lo stretto percorso in mezzo alle reciproche diversità… cedere in parte a quello che sono gli altri, e contemporaneamente pretendere di essere accolti per quello che siamo.
Alla fine si è risolto in una bella giornata di festa per tutti, con un clima da sagra paesana del passato, un agriturismo nel verde dove i bambini hanno potuto giocare e scorrazzare nei prati anziché stare a soffrire costretti ai tavoli ed i genitori che anche loro hanno potuto rilassarsi. Il tempo ci ha dato una mano, solo poche gocce d’acqua a metà pomeriggio. Poi, per il taglio della torta, ci hanno raggiunto altri amici, del teatro, ciclisti, vecchie frequentazioni, e con loro abbiamo tirato a sera, tra scherzi e risate.
Alla fine, guardando indietro, possiamo ritenerci soddisfatti. Organizzare una festa che fosse realmente tale per tante persone così diverse fra loro non era semplice. Secondo il parere di molti sembrerebbe che ci siamo riusciti, ma ovviamente il merito va, per la maggior parte, a tutte le splendide persone che hanno partecipato. Grazie a tutti, ci si vede presto.