
Fino a poco tempo fa il termine "reboot" serviva a definire un’unica operazione: il riavvio di un computer da zero, ovvero l’operazione equivalente al riaccenderlo dopo uno spegnimento. Da qualche mese a questa parte l’industria dell’intrattenimento ha prodotto una nuova accezione del termine, che ora sta a significare il riavvio "da zero" di un personaggio, o di un’intera serie.
È quello che è successo a distanza di anni con le diverse incarnazioni filmiche di Batman, ed in maniera ancor più plateale con Hulk, alla cui prima trasposizione cinematografica nel 2003 ha fatto seguito non già un "sequel", come tutti si aspettavano, ma un nuovo film con attori diversi, che ha fatto in pratica "tabula rasa" del precedente. Reboot.
Il prossimo reboot "eccellente" è quello di Star Trek, stranota serie televisiva degli anni ’60, rinata negli anni ’80 con la serie sequel "The Next Generation" e proseguita con attori diversi, astronavi diverse, location diverse ma sempre nella stessa "continuity" fino al volgere del millennio. L’ultimo tentativo di rivitalizzare l’universo "Trek" è stato fatto con "Enterprise", un "prequel" ambientato temporalmente prima della "serie classica" di Kirk, Spock e compagnia.
Spremere a questa maniera un filone per centinaia di puntate, sfruttando ogni possibile trama sviluppabile (il concetto di "continuity" pretende che le nuove vicende non contraddicano le precedenti, il che pone vincoli via via crescenti agli sceneggiatori) significa, letteralmente, esaurirne ogni possibile evoluzione. La "corazzata StarTrek" si è così mestamente arenata, gli ascolti sono calati e tutte le serie "figlie" sono state chiuse.
Ma una buona "macchina da incassi" non si rottama così facilmente: il pubblico pagante ci sarebbe ancora, quindi che si fa? Un bel "reboot". Tabula rasa di quello che è successo fin qui, si tengono i personaggi e le situazioni a cui il pubblico è affezionato, si attualizzano alle possibilità dei giorni nostri (nuovi attori, nuovi effetti speciali, nuove tecniche di regia) e si scrive una nuova storia.
Non solo. A tutto questo si aggiunga una campagna pubblicitaria "sotterranea", ad uso e consumo dei numerosissimi "fan", fatta di mezze dichiarazioni, foto "rubate dal set", spezzoni delle riprese ed informazioni disparate che circolano in rete dall’inizio della lavorazione del film. Tutto per creare attesa.
L’ultima di queste "indiscrezioni accuratamente pianificate a tavolino" è il rilascio di un trailer "provvisorio" (peraltro decisamente, se non esageratamente, spettacolare), che vi invito a visionare prima di proseguire oltre.
Visto? Bella "carrellata di stereotipi", non vi pare? Ad una velocità da "percezione subliminale" sfilano in ordine sparso: corse in auto, ribellismo giovanile, deserto, motociclette, astronavi, mostri alieni, battaglie spaziali, nemici brutti sporchi e cattivi, sesso, violenza, eroismo e via discorrendo. Esattamente quello che ci si aspetta da una megaproduzione hollywoodiana.
Il fatto è che basta cambiare i costumi, e le scene potrebbero appartenere benissimo ad un qualunque altro film d’avventura. Le esplosioni sulle astronavi sono identiche alle cannonate sui galeoni. Le scazzottate acrobatiche indistinguibili dai duelli alla sciabola. I "cattivi" identicamente brutti, sporchi e sgradevoli: il "male" più piatto ed implausibile, senza sfumature.
Ma, peggio ancora, tutto il progetto nasce alla luce di un ossimoro letale: il futuro che sorge dal passato. Parliamo di un film avveniristico basato su idee, personaggi, situazioni e stereotipi culturali vecchi ormai di quasi cinquant’anni. Il futuro di due generazioni fa. Il futuro di mio padre, accidenti!
La cosa peggiore è che basta guardarsi intorno per rendersi conto che non si tratta di un caso isolato. Molti degli ultimi film "di cassetta" sono state le trasposizioni cinematografiche dei supereroi Marvel: L’Uomo Ragno, i Fantastici Quattro, Iron Man, l’incredibile Hulk. Personaggi che stanno in giro da un bel po’, giusto? Esatto: dagli anni ’60.
La riedizione di "Io sono leggenda" (1964) è stata un successo d’incassi. A dicembre uscirà il remake di "Ultimatum alla terra" (1951). Pochi anni fa hanno provato a resuscitare addirittura "La Guerra dei Mondi" (1953, ma il romanzo è del 1898!), di H. G Wells. Cosa avranno in mente per i prossimi anni? Rifaranno "Plan 9 from Outer Space" di Ed Wood in computer grafica?
Possibile che il nostro immaginario fantascientifico sia ancora fermo agli anni ’60? Che dobbiamo rimasticare fino allo sfinimento sempre gli stessi archetipi? No, affatto. Esistono letteralmente decine, se non centinaia, di ottime storie di fantascienza che aspettano soltanto che Hollywood si degni di trasferirle sullo schermo. Qual’è il problema? Il rischio?
Probabilmente è più rischioso tentare strade nuove che continuare ad investire su uno "zoccolo duro" di appassionati che in passato si sono andati a vedere anche le schifezze, pur di poter dire: "io l’ho visto e posso, con cognizione di causa, parlarne male". Se il film è brutto si riduce comunque il rischio di non rientrare nemmeno dei costi di produzione.
Io ci leggo un segnale importante del declino culturale in cui versa la nostra epoca. L’incapacità di sognare al pari della paura di rischiare. L’avventura, perfino quella virtuale, rinchiusa in un contenitore di confortanti certezze. Eh, già, perché non ci vuole molto ad immaginare il finale di questo nuovo "Star Trek". Sarà qualcosa di molto prossimo a: "…E Vissero Tutti Felici e Contenti".