Molte delle domande che mi vengono poste, da un po’ di tempo a questa parte, riguardano il blog. Sempre più spesso, infatti, quando mi si chiedono informazioni su un viaggio che ho fatto, su un libro che ho letto, sui laboratori teatrali che frequento, oltre a rispondere nel merito tendo ad aggiungere "se vuoi saperne di più ne ho scritto sul mio blog", e a questo punto quelli che hanno poca familiarità con internet finiscono col domandarmi cosa sia un blog, ed una volta compresa, per grandi linee, la funzionalità dello strumento software, "che senso abbia".
Questa è sicuramente la parte più difficile: spiegare cosa spinge una persona a lasciare parole, pensieri, idee, su una pagina web… Ma forse ieri mi è sovvenuta una risposta interessante: il blog fa parte della narrazione che l’umanità fa di sé stessa, ed in quanto tale attiene alla sfera cognitiva collettiva. È indubbiamente una definizione che merita un ulteriore approfondimento.
Partirò quindi dall’ultimo romanzo di Ursula K. Le Guin, "La salvezza di Aka", pubblicato nel 2002 da Mondadori (e che, scopro ora, ha addirittura una sua pagina in wikipedia). Romanzo strano, di difficile classificazione come tutti i lavori (o forse dovrei dire capolavori) della Le Guin, in cui la vicenda si impernia su una ricercatrice/diplomatica inviata su un mondo lontano per guidarne l’ingresso nel consesso dei mondi popolati da umani, e qui realizza che l’avanzamento del progresso tecnologico sta facendo tabula rasa del passato, della storia, delle tradizioni, di tutto, procedendo ad un’omologazione devastante.
Nel dettaglio la protagonista scopre che l’intera cultura di quel mondo era in passato basata sulla "narrazione", forma di racconto scritto operata su tutte le superfici disponibili: carta, ma anche pareti, soffitti, mobili, ovunque… storie vere, inventate, aforismi, racconti, contornavano ogni spazio privato e/o pubblico, scritti antichi ma anche continuamente aggiornati. Tutto questo andava rapidamente svanendo sotto la calce e la vernice, in omaggio ai diktat della sorgente tecnocrazia.
Devo ammettere che anche per me è risultato un romanzo talmente spiazzante da farmelo, lì per lì, sottovalutare, ma come ogni opera veramente importante ha gettato semi che a distanza di molto tempo stanno ancora germogliando.
Ad una lettura semplicistica mi è sembrata una trasposizione in chiave metaforica della "Rivoluzione Culturale" cinese degli anni ’70 (i cui devastanti effetti ho avuto modo di comprendere meglio nel corso del viaggio di quest’estate in Albania), ma in realtà è molto di più, e ci racconta di come, collettivamente, elaboriamo una comprensione del mondo.
Wikipedia cita una frase presa dal libro: "Se non raccontiamo il mondo, noi non conosciamo il mondo. Ci perdiamo nel mondo, moriamo."
Ecco, ieri, forse, ho realizzato il reale significato di questa frase, o meglio l’ho agganciata definitivamente al mio mondo, al mondo in cui vivo. Ed ho compreso che scrivere un blog non è probabilmente diverso dal comporre un romanzo di fantasia, dall’effettuare una cronaca giornalistica, dal raccontare una fiaba ad un bambino, dall’intrattenersi con gli amici, dal parlare, dallo scrivere, dal dipingere, dal filmare…
Sono tutti modi che utilizziamo per descrivere il mondo. E, nel raccontarlo, per comprenderlo. Tutto quello che chiamiamo "cultura" fa parte della nostra "narrazione" del mondo, indispensabile all’elaborazione ed alla comprensione di ciò che ci circonda, come singoli e come collettività.
Come tutte le descrizioni del mondo anche questo mio piccolo contributo, questo blog, ha limiti e potenzialità, io spero che serva ad estendere un po’ di più i confini che il mondo ha per me e per tutti quelli che lo leggeranno, ad esplorare idee, concetti, a fornire chiavi di lettura ed interpretazione diverse dalle solite.
Perché davvero il mondo è grande, sconfinato, ma se non ce lo raccontiamo finirà che non lo scopriremo mai.