La riflessione che ho sviluppato negli ultimi post mi ha portato molto lontano, molto più di quanto mi sarei aspettato. La visione di una città in cui zone “permeabili” a bassa velocità sono raccordate con sistemazioni ciclabili che interessano solo i punti di reale criticità ha fatto tabula rasa della necessità di “piste ciclabili” come sono state fin qui immaginate, ovvero lunghi corridoi in “sede propria”.
In realtà la disaffezione dei ciclisti cittadini nei confronti di queste realizzazioni nasce molto prima, ed ha radici diverse. Le piste ciclabili realizzate a Roma sono da sempre in quantità insufficiente, mal realizzate, collocate in luoghi di scarsa utilità e spessissimo invase da auto in sosta, motorini e pedoni. Più che un reale aiuto al ciclista che voglia spostarsi attraverso la città rappresentano spesso un intralcio.
Di più, la normativa stessa che ne definisce le caratteristiche risulta inadeguata ad una realtà caotica come quella romana. La larghezza della sede di 2,5 metri non è facilmente ricavabile dalle sedi stradali (o meglio, lo sarebbe se si decidesse di rinunciare ai parcheggi per le auto, che tuttavia sono considerati “intoccabili”), in molti casi viene realizzata “in condivisione” sui marciapiedi creando conflitti con i pedoni.
Anche dove le piste si sono realizzate con tutti i crismi è molto più facile trovare i pedoni a passeggio sulla pista ed i ciclisti sulla sede stradale, entrambi contravvenendo, consapevolmente o meno, a quanto prescritto dal Codice della Strada. Segno che quel tipo di sistemazione non funziona, o quantomeno ha dei limiti non facilmente aggirabili.
E tuttavia, se i pedoni affollano tanto volentieri le piste ciclabili, vuol dire che quegli spazi hanno un “appeal” sicuramente non banale, e sono preferibili ai tradizionali marciapiedi non foss’altro per farci due passi in tranquillità accompagnati dai propri animali… se non fosse per tutti quei ciclisti che ci sfrecciano sopra, obbligati a passare di lì proprio dal Codice della Strada che fa divieto ai ciclisti di occupare la sede stradale in presenza di strutture dedicate alla ciclabilità (obbligo attualmente in fase di revisione).
Il fatto è che, seppure preferisca spostarmi in bicicletta, anche a me non dispiace camminare. Con mia moglie si parte da casa e ci si fa delle lunghe passeggiate approfittando della prossimità dei parchi urbani di Tor Fiscale e degli Acquedotti, sfruttando gli stessi sentieri che solitamente percorriamo in bicicletta. Altre volte prendiamo la metropolitana ed andiamo a passeggiare in altri parchi ed aree verdi.
Per molti versi passeggiare ed andare in bicicletta per svago sono attività simili, come pure gli spazi designati per farlo nella massima soddisfazione. Per questo si trovano i pedoni sulle piste ciclabili. Per lo stesso motivo si trovano ciclisti “non frettolosi” sui marciapiedi abbastanza larghi, scelti per non dover adeguare la propria velocità a quella del traffico veicolare.
Il passaggio che chiude il cerchio e ci consente di procedere oltre nella discussione sta nell’accomunare ciclisti e pedoni come soggetti di una “mobilità lenta”, e portatori di istanze comuni ed esigenze quasi del tutto analoghe. Una volta constatato questo si può passare a ragionare su quali sistemazioni possano accontentare le necessità di questo nuovo soggetto.
Il primo punto da considerare riguarda la larghezza del corridoio. Le persone che vanno a piedi tendono a camminare in file trasversali, per poter parlare tra loro. Se si vuole consentire il passaggio di pedoni nelle due direzioni, e contemporaneamente dare spazio al transito delle biciclette, la sezione ottimale della strada non potrà essere inferiore a cinque o sei metri, pensando di ridurla a non meno di tre in presenza di impedimenti che lo impongano.
Se questa può apparire una misura eccessiva, a fronte della dimensione delle piste ciclabili attuali, va tenuto conto del fatto che a fruirne saranno molte più persone, cosa di per sé capace di giustificare la maggior occupazione di suolo.
Il secondo punto riguarda la velocità delle biciclette. Per compatibilità con il transito pedonale questa non dovrà superare i 15 km/h, e con precedenza assoluta ai pedoni, in modo che in caso di incidente la responsabilità sia del ciclista (criterio che copia pari pari la proposta di assegnare la responsabilità agli automobilisti in caso di incidenti con biciclette, salvo prova contraria…). Questo va però collegato alla non obbligatorietà di percorrenza, così che i ciclisti più veloci possano muoversi sulla sede stradale.
Il terzo punto riguarda la sistemazione del fondo, che per gradevolezza tattile, basso impatto ambientale, capacità drenante e stimolo al mantenimento di velocità compatibili col passeggio pedonale andrà realizzato in terra battuta. E’ un fondo sufficientemente liscio da poter essere percorso con qualsiasi tipo di bicicletta ma che al tempo stesso non invoglia a scambiare la strada per una pista di allenamento (*).
Un tipo di sistemazione che in diversi casi esiste già, ad esempio nei parchi della Caffarella, degli Acquedotti e nella maggior parte delle ville storiche, e che nei giorni festivi si è dimostrata in grado di sostenere un traffico intenso di pedoni e ciclisti.

Un tipo di sistemazione già presente o realizzabile in oltre il 90% del Grande Sentiero Anulare, che a questo punto potrebbe in poco tempo e con poca spesa essere integralmente convertito a questa nuova modalità di fruizione allargata realizzando i tratti di collegamento non già con le attuali “piste ciclabili” ma con sistemazioni più consone all’aumentato bacino d’utenza.
Sul nome da dare a queste nuove “piste” non ho ancora deciso. All’inizio propendevo per la definizione “Corridoi della Ciclomobilità”, ultimamente invece mi sembra più immediato e diretto “Vie verdi”, termine che copia le Greenways inglesi e le Vias Verdes spagnole già gettonatissime dai turisti di tutto il mondo.
Con una differenza… le nostre Vie Verdi si svilupperebbero all’interno di una città millenaria, e costeggerebbero le Mura Aureliane, i Fori, gli Acquedotti e l’Appia Antica, con una varietà di stimoli culturali e paesaggistici senza pari. Una risorsa turistica ancora tutta da valorizzare, senza parlare delle potenzialità che si aprirebbero alla fruizione di queste aree di pregio all’intera cittadinanza romana.
Oltre a questo, corridoi ciclabili “di qualità” per gli spostamenti cittadini sulle lunghe distanze (sulle brevi ci si sposta all’interno dei quartieri) e strumenti di collegamento tra quartieri e zone diverse effettuati al di fuori della rete viaria, cosa che se non interessa tutti i ciclisti (e sempre), credo ne interessi moltissimi e per buona parte del tempo.
Da ultimo, sarebbe facilmente raccordabile ad una rete provinciale e regionale di Vie Verdi, sfruttando la viabilità minore, le strade dismesse, i sedimi ferroviari. Non so voi, ma più tempo passo a rigirarmi in testa quest’idea più mi sembra presenti unicamente vantaggi. Sarebbe come avere un pezzo del Cammino de Santiago dentro la città, e scusate se è poco…

(*) il che non esclude che nei tratti di raccordo si possano utilizzare sistemazioni già esistenti, in asfalto o basolato.