Competizione, cooperazione e inganno (radici cognitive)

(quinta parte di una riflessione iniziata qui)

I processi di inganno che osserviamo nelle società umane originano dalle forme di autoinganno che il cervello ha sviluppato per compensare i danni psichici prodotti da una comprensione troppo approfondita della realtà. A monte di tutto c’è il fatto che i processi vitali sono basati, volenti o nolenti, su una pulsione (alla sopravvivenza e riproduzione) del tutto a-razionale. Il batterio che sopravvive e si riproduce, o l’organismo complesso che sopravvive e si riproduce, non lo fanno per scelta razionale, ma per un semplice processo auto-selettivo: gli individui che sopravvivono, e si riproducono, trasmettono le loro caratteristiche alla discendenza, gli altri vengono semplicemente eliminati dall’albero della vita.

Tuttavia, quello che può essere semplice per un batterio o un insetto, non lo è più per creature complesse. Nel nostro caso, lo sviluppo di facoltà cognitive evolute ha sì generato un vantaggio in termini di processi di sopravvivenza (siamo più bravi a cacciare, raccogliere, coltivare e mantenerci in salute), però ha prodotto, come contraltare, la sofferenza psichica causata dalla consapevolezza di dover esistere all’interno di un Universo sostanzialmente insensato, esposti all’arbitrio del fato e con l’unica certezza della morte, individuale e di tutte le persone a noi care.

Questa consapevolezza può essere estremamente dannosa per i singoli individui, conducendo a stati di depressione anche profondi, tuttavia può essere efficacemente esorcizzata per mezzo di un costrutto culturale irrazionale: la fede. Alla radice dei processi di inganno, del loro sviluppo e della loro efficacia, si individua la stessa capacità di auto-inganno che ci consente di ignorare la realtà fattuale, costruirci una confortante bugia e sfruttarla per risollevarci lo spirito dalle difficoltà della vita di tutti i giorni.

I suddetti processi di auto-inganno prendono il nome di ‘bias cognitivi’ ed attengono la sfera individuale. Sulla scala dei gruppi (che continuo a trattare come dei sovra-individui), la condivisione delle credenze individuali finisce con l’assumere la forma di costrutti culturali, che vengono condivisi e tramandati tra i partecipanti al gruppo ed, in ultima istanza, trasmessi alle generazioni successive.

Assistiamo pertanto ad una ulteriore articolazione dei processi di inganno: non solo gli individui coltivano forme di auto-inganno (i bias cognitivi), ma finiscono col delegare persone, o gruppi di persone, all’interno del gruppo, perché gestiscano con la maggior efficienza possibile tali processi. Questo porta all’emergere, nelle società antiche e su su fino a quelle moderne, di caste la cui funzione sociale consiste nell’irrobustire ed alimentare tali forme di auto-inganno collettivo.

Caste che finiscono col rappresentare il vertice organizzativo ed ideativo, nonché il motore culturale, delle entità che, in assenza di altri termini, ho finito col definire IdeoCulture [1]. A questo punto si rende necessario un passaggio ulteriore, corrispondente ad un’ulteriore incremento di complessità rispetto a quanto precedentemente elaborato, perché diventa evidente come le IdeoCulture originino da processi di auto-inganno, nel momento in cui la collettività stessa seleziona al suo interno determinati individui per farsi auto-ingannare.

Sostanzialmente tutte le culture umane si basano su qualche forma di ‘inganno delegato’ dal quale la collettività dovrebbe trarre vantaggi. Se i bias cognitivi mi restituiscono un vantaggio, avere un supporto esterno per rafforzarli massimizza questo vantaggio. Ma questa scelta può avere ricadute negative, e la stessa collettività ne può ricavare dei danni, perché gli individui che agiscono l’inganno potrebbero agire per aumentare il proprio tornaconto personale a danno del ventilato benessere collettivo. Proviamo a vedere qualche esempio concreto.

Prendiamo un gran sacerdote di culto religioso. La funzione del culto è convincere la collettività di avere i favori della divinità, che è un’entità benevola. Tali favori non possono manifestarsi esplicitamente in eventi sovrannaturali, quindi l’unico parametro di riferimento (l’unico di pressoché tutte le IdeoCulture, indifferentemente) diventa il possesso e l’esibizione di ricchezza. Se sono ricco (come persona e come istituzione) è difficile affermare che la divinità disapprovi il mio agire. Nell’esibire ricchezza il gran sacerdote assolve il suo compito di sostenere la credenza collettiva, ma ne ricava anche consistenti benefici personali. La possibilità di ricavare benefici personali ottiene quindi di attrarre gli individui più avidi, rischiando sul lungo termine di mettere a repentaglio la credibilità del culto.

Prendiamo un comandante militare. La sua funzione è rassicurare il gruppo di riferimento sulla forza dell’esercito e sulla capacità di reagire con successo ad eventuali attacchi da parte dei gruppi confinanti. Per far questo ha necessità di risorse economiche, che vengono drenate dalla ricchezza collettiva. Nel momento in cui si generano flussi di denaro, il meccanismo di accaparramento risulta del tutto analogo a quello visto in precedenza. Per giustificare maggiori investimenti si finisce con l’alimentare un clima di paura, che in ultima istanza nuoce alla collettività.

Ma l’osservazione più importante riguarda il fatto che i processi di inganno non siano una condizione accidentale, derivante dalla cattiva volontà di singoli individui, quanto piuttosto una caratteristica strutturale ed ineliminabile delle organizzazioni collettive umane. Dobbiamo aspettarci che i nostri leader, economici, politici, religiosi e militari, ci ingannino, perché l’inganno è strutturale alla loro funzione sociale, e il pretendere che non lo sia è parte del processo di inganno. Di fatto, è esattamente ciò che gli consente di funzionare, fin dal principio.


[1] – L’ascesa delle IdeoCulture