Poco più di un mese fa abbiamo commemorato il decennale della morte di Eva Bodhalova, l’evento che ha mosso molti di noi ad attivarsi sui temi della sicurezza stradale, da principio col collettivo ‘Di Traffico Si Muore’, quindi con #salvaiciclisti. Dieci anni nei quali si è discusso, teorizzato, analizzato, proposto. Dieci anni nel corso dei quali la città è rimasta sostanzialmente identica a se stessa, anche nel numero di incidenti.
Dopo tanto ragionare sulle possibili soluzioni, abbiamo dovuto arrenderci alla banale evidenza che nessuna tra quelle proposte veniva effettivamente messa in atto. Riduzione delle velocità, moderazione del traffico, aumento dei controlli, inasprimento delle modalità repressive, campagne di comunicazione, niente di quanto suggerito, argomentato, chiesto a gran voce, è stato concretamente realizzato.
Inevitabilmente abbiamo cominciato ad interrogarci sui motivi di questa inefficace, quando non inesistente, capacità di risposta da parte degli enti preposti alla sicurezza dei cittadini. Anche qui gli argomenti portati sono stati diversi: non si reagisce perché ‘siamo tutti automobilisti’, perché le norme stesse sono inefficaci, perché non c’è volontà di modificare lo status quo, ecc, ecc…
Nel complesso siamo intrappolati in un sistema di protezioni incrociate della mobilità basata sull’automobile. Un sistema capace di prevenire ed annullare qualsiasi spinta tesa a modificarne le caratteristiche. E tuttavia talmente sofisticato da mettere in dubbio che possa essersi venuto a creare spontaneamente.
Quando poi spostiamo l’osservatorio sul ‘cui prodest’, a chi giova (che, nell’accezione inglese, più cruda e brutale, diventa ‘follow the money’: segui il denaro) realizziamo che uno degli effetti più consistenti di questo meccanismo di mobilità riguarda la vendita di automobili, che consegna all’Italia la discutibile palma di paese più motorizzato d’Europa, stando al numero di veicoli pro-capite.
Lo stretto legame tra l’elevato numero di sinistri ed il corrispettivo elevato numero di automobili circolanti può essere descritto solo da un’analisi euristica, non certo dimostrato fatti alla mano. È infatti il risultato di una sommatoria di molte volontà, spesso non pubblicamente dichiarabili (né dimostrabili), e di molte concause, anch’esse non necessariamente di pubblico dominio (come le diverse forme di corruzione, per le quali il nostro paese è parimenti ai primi posti delle statistiche internazionali).
Possiamo però provare a tracciare un disegno in cui il nostro paese, tra i più corrotti d’Europa, è anche il paese col maggior numero di autovetture pro-capite, con una evidente massimizzazione dei guadagni connessi a tale mercato, e col conseguente elevato numero di morti e feriti. Possiamo tracciare il disegno, parziale, e lasciarci ispirare sulle parti non direttamente visibili del quadro complessivo.
L’affresco che mi viene da mettere insieme è quello di un condizionamento, pesante e relativamente invisibile, da parte degli interessi economici che gravitano intorno all’utilizzo diffuso ed indiscriminato dell’automobile, teso alla fabbricazione e, in seguito, conservazione dell’attuale, redditizio, modello.
A questo punto propongo un ulteriore passo avanti andandomi a domandare: è possibile che tutti gli interventi proposti per la messa in sicurezza della rete stradale finiscano col comportare il rischio di una perdita di guadagni da parte dell’industria legata all’automobile ed ai comparti correlati? Proviamo a ragionare per punti.
1) Limitazioni al transito dei veicoli nelle aree cittadine più affollate (Z.T.L.) ed incremento dell’efficacia del trasporto pubblico
Questo è il classico caso in cui i danni al comparto ‘automotive’ sono più chiari ed evidenti. La riduzione degli accessi porterebbe ad un calo delle vendite nei settori interessati, ed il miglioramento dell’efficacia del trasporto pubblico consentirebbe a numerosi utenti di non sobbarcarsi i costi di possesso, manutenzione ed utilizzo di un’automobile, come già accade in altri paesi. Gli esempi non mancano e sono già stati trattati su questo blog.
2) Riduzione delle velocità veicolari in ambito urbano.
Qui il nesso è meno evidente, ma lo diventa andando ad analizzare le strategie di vendita di molti modelli di veicoli sedicenti ‘ad alte prestazioni’: la velocità, la guida aggressiva, lo sprezzo delle condizioni di sicurezza sono da sempre una leva psicologica usata dall’industria dell’auto per promuovere la vendita di auto di lusso, o anche solo inutilmente veloci.
3) Azioni repressive delle principali infrazioni ai criteri di sicurezza (guida pericolosa, superamento dei limiti di velocità, sosta d’intralcio)
La presenza sulle strade di conducenti aggressivi, spericolati e sprezzanti delle norme, svolge un’importante funzione di ‘territorial pissing’, da un lato inducendo comportamenti ‘tossici’ sugli altri automobilisti, dall’altro terrorizzando le cosiddette utenze deboli (pedoni, anziani, ciclisti). Simili comportamenti hanno la diretta conseguenza di ‘liberare’ le strade dalla ingombrante presenza di fruitori ‘lenti’ e garantire ai mezzi motorizzati la supremazia sulle sedi viarie.
La presenza di una diffusa convinzione in tal senso, non ricavabile da alcun testo scritto e formalizzato, può essere facilmente verificata dalla convinzione, esibita da molti automobilisti, che le sedi stradali siano destinate all’esclusivo utilizzo dei mezzi a motore. Risulta molto difficile allo scrivente ritenere che tale convinzione possa essersi spontaneamente venuta a creare in assenza di interventi, palesi od occulti, operati sul piano culturale (giornali, cinema, televisione, narrativa…) ed agevolati dai relativi portatori di interessi economici.
4) Introduzione di ausili alla guida sicura (I.S.A. e ‘guida autonoma’)
La presenza sulle sedi stradali di veicoli in grado di rispettare autonomamente i limiti di velocità rappresenta un’azione di contrasto alla guida ‘tossica’ descritta al punto 3), con conseguente declino nella vendita di auto ‘sportive’ (nella logica del: “se non ci posso correre, che me la compro a fare”). In quest’ottica dovremmo aspettarci che tali sistemi vengano implementati con enorme lentezza e farraginosità, con tempi di valutazione ed introduzione sul mercato lunghissimi ed estenuanti.
L’unica possibilità che si assista ad una transizione su larga scala a veicoli meno pericolosi e distruttivi è caratterizzata dall’eventualità che il loro utilizzo diventi un obbligo di legge, e che quindi ciò imponga un completo ricambio del parco veicolare, ipotesi che potrebbe essere appetibile per l’industria del settore.
Al momento, tuttavia, l’industria non pare avere interesse ad introdurre mezzi a guida autonoma caratterizzati da basse velocità di movimento, che pure sarebbero ottimali in ambito urbano, ma sta piuttosto incontrando problemi insormontabili per ottenere dai mezzi senza conducente prestazioni analoghe a quelle fornite dai veicoli a guida umana.
5) Ridisegno delle città e riorganizzazione delle esigenze di mobilità individuale
Da tempo vengono proposti interventi organici di ridisegno delle città. È evidente che un sistema come l’attuale finisca col sacrificare le vite dei cittadini al fine di massimizzare le necessità di spostamenti individuali effettuati con mezzi a motore.
La dispersione urbana ha prodotto periferie dormitorio separate dai luoghi di lavoro, di commercio e di svago da distanze incompatibili con la mobilità umana. Quanto questo modello dissennato di crescita sia andato incontro alle esigenze dei comparti economici correlati (edilizia, autoveicoli e carburanti) è sotto gli occhi di tutti.
Il prezzo da pagare, in genere non compreso né percepito, consiste in isolamento, alienazione ed insoddisfazione, tutti fattori negativi per i singoli individui ma, da un punto di vista totalmente opposto, del tutto funzionali all’ideologia dei consumi che sta consumando le nostre vite ed il mondo intero (mercati delle sostanze psicotrope e degli stupefacenti compresi).
Conclusioni
Il quadro fin qui rappresentato, pur in assenza di prove documentarie, risulta al tempo stesso autoevidente e disarmante, dotato com’è di una propria intrinseca coerenza. Abbiamo collettivamente introiettato un modello di vita costruito ad arte per minimizzare la nostra soddisfazione individuale e massimizzare i profitti di pochi.
Come vittime sacrificali consumiamo le nostre vite per spostare da un luogo all’altro ingombranti scatoloni di metallo a ruote, col risultato di intossicare l’aria che respiriamo e mettere a rischio l’incolumità di chi ci vive accanto. Il meccanismo appare a tal punto oliato e funzionale da far disperare i pochi che vi si oppongono di arrivare mai a vederne la fine.
