Spacciatori di automobili (seconda parte)

Nella prima parte di questa riflessione ho proposto un parallelo che a molti sarà parso estremo, quello tra le realtà economiche variamente legate al trasporto su gomma ed i cartelli criminali del traffico di droga. Ora, un parallelo non è un’equivalenza, le differenze sono notevoli, e tuttavia dovremmo cercare di comprendere in che misura processi caratterizzati da analogie sistemiche possano rivelarsi simili.

L’analogia sistemica, per quanti non avessero letto il precedente post, consiste nella iniziale accessorietà dell’oggetto automobile e nel suo essere divenuta, nel corso del tempo, via via più indispensabile nella percezione collettiva. Se si sia trattato di un processo spontaneo o se sia intervenuta una ‘mano invisibile’ a guidarlo è impossibile da stabilire, fatto sta che la situazione attuale è molto diversa da quella precedente l’avvento dell’automobile.

Scenario complessivo (ovvero: cose che dovreste sapere già)
Nella società prevalentemente agricola che precede il boom economico le persone hanno esigenze abitative modeste, le case sono piccole, affollate, con pochi oggetti di proprietà personale e la maggior parte delle stanze occupate da figli, genitori, parenti.

Nel secondo dopoguerra il boom dell’edilizia procede di pari passo con la meccanizzazione dell’agricoltura e l’inurbamento di masse crescenti di persone. In questo processo il desiderio di maggior spazio individuale si sposa con la maggior mobilità offerta dall’automobile e produce il sogno della ‘città moderna’.

Le case crescono di dimensioni e volumetrie e la densità abitativa si riduce, disperdendo su aree via via più vaste uno spolverio di popolazione non più in grado di accedere ai servizi essenziali, in primis il commercio, senza dover dipendere dall’automobile.

Se negli agglomerati ‘densi’ della civiltà contadina il numero di persone a breve distanza dalle attività commerciali era sufficiente a rendere il commercio locale redditizio, man mano che la densità abitativa si riduce cala in parallelo la redditività del commercio di prossimità, determinandone il declino e l’avvento dei grandi mall e centri commerciali.

La nascita di agglomerati urbani privi di commercio di prossimità obbliga i residenti a dipendere in tutto e per tutto dall’automobile, senza la quale non è possibile raggiungere né il posto di lavoro, né le rivendite di generi alimentari, né accedere alle residue forme di vita sociale. A questo si aggiunga il fatto che gli spazi esterni alle abitazioni, privati del commercio e della funzione relazionale, diventano rapidamente dei ‘non luoghi’ inospitali ed abbandonati.

La ricchezza prodotta dal boom economico ha alimentato le pulsioni individualiste ed egoiste, ottenendo di modellare gli spazi urbani in conseguenza di questa deriva, dilatando le distanze ed imponendo modelli culturali basati sull’utilizzo dell’automobile come mezzo di trasporto e come forma di auto-rappresentazione individuale.

Situazione attuale
Basta uscire di casa in un qualunque nuovo quartiere di una qualunque città per rendersi conto di vivere ai margini di un enorme parcheggio a cielo aperto, dove le automobili alternativamente si spostano e stazionano, perennemente ingombrando spazi un tempo destinati alla vita sociale e ad altre attività. Il risultato complessivo è un perenne ingorgo, risultato di una lenta e progressiva sedimentazione ed accumulo di automezzi lungo un arco temporale di decenni.

Impossibile a questo punto distinguere quanta parte di questo processo sia stata guidata dalla domanda e quanta dall’offerta, quanto abbiano pesato i modelli (spesso studiatamente falsi) veicolati dall’industria dell’intrattenimento e fino a che punto questi modelli siano venuti incontro alle pulsioni consce ed inconsce delle popolazioni.

Allo stesso modo non è poi così facile distinguere quanto della progressiva discesa nelle diverse forme di dipendenza dipenda dalla debolezza dell’utente finale e quanto dalle azioni delle organizzazioni che ne traggono profitto. Il passaggio dalle droghe leggere a quelle pesanti è spesso guidato dalle scelte degli spacciatori volte ad indurre forme di dipendenza più profonde.

Impossibile anche stabilire quanto sottile sia il crinale tra l’una scelta e l’altra. È evidente che le decisioni di una parte della popolazione hanno condizionato pesantemente quelle della parte restante (le scelte di quelli che hanno sposato l’ideologia dell’automobile, in questo caso). In altri paesi è avvenuto l’opposto, e viene da domandarsi se non abbiamo anche noi mancato per un soffio quell’obiettivo o se fossimo ‘spacciati’ comunque fin dall’inizio, per difetto dei necessari anticorpi culturali.

In ultima analisi, i venditori di sogni si assomigliano tutti, sia che ti offrano un momento di piacevole stordimento, sia che ti offrano un’illusione di successo sociale sotto forma di ‘status symbol’, la sostanza non differisce più di tanto. Come le droghe non sono necessarie alla salute dell’organismo, ma una volta introdotte instaurano una dipendenza che finisce col nuocergli, così l’uso dell’automobile si è innestato in un organismo sociale sano fino a renderlo progressivamente dipendente ed incapace di svincolarsene senza passare per una drammatica crisi di astinenza.

Il dato di significativa differenza tra i due fenomeni consiste principalmente nell’accettazione sociale: la società contemporanea è consapevole della nocività delle sostanze psicotrope (non tutte, l’alcool sfugge alla percezione di rischio), mentre non lo è altrettanto rispetto ai danni prodotti dalla mobilità privata basata sul motore a scoppio.

Mentre ogni singolo delitto operato nell’ambito del mercato della droga viene facilmente ricondotto ai trafficanti, nessuno pensa di attribuire le migliaia di morti che si verificano sulle strade alle scelte manageriali dei fabbricanti di automobili, alle azioni di lobbying delle industrie petrolifere ed alla ‘fame di strade’ (malfatte) del comparto edilizio.

Il potere della leva economica non va sottovalutato: immaginiamo lo scenario peggiore possibile. Immaginiamo che per decenni le decisioni prese nelle stanze chiuse del potere economico abbiano condizionato ad ogni possibile livello l’agire politico, arrivando ad imporre normative a proprio unico vantaggio, a far procedere le carriere di tecnici ed amministratori asserviti a tali logiche, ad ostacolare in ogni modo possibile lo sviluppo di forme di mobilità competitive come il trasporto pubblico e la mobilità leggera.

Ebbene, una volta immaginato questo ‘worst scenario’, potremmo davvero dire che il territorio da esso prodotto sarebbe sostanzialmente diverso da quello attuale? Davvero potremmo pensare che ancora più spazio dell’attuale potrebbe essere riservato alle automobili ed ancora meno a pedoni e ciclisti?

Quello che si vede nella foto seguente è il marciapiede di viale Giorgio De Chirico a Roma, una superstrada urbana che collega due consolari ridotte a budelli affollatissimi: via Prenestina e via Collatina. Nel tratto in foto la strada è a quattro corsie, due per senso di marcia, ma nella maggior parte del suo sviluppo è a sei corsie (!!!). Le due consolari di partenza ed arrivo sono a due sole corsie, una per senso di marcia.

marciapiedi

Ebbene, a fronte di cotanto spazio inutilmente concesso ai ‘clienti dell’industria automotive’ osservate la situazione del cosiddetto ‘marciapiede’, di fatto impercorribile, e domandiamoci quali logiche, quali priorità  abbiano guidato la realizzazione di una simile schifezza. Da ciò cominciamo a ragionare su tutto il resto dei marciapiedi cittadini e di come, con rare eccezioni, sembrino fatti apposta per far passare alle persone la voglia di camminare.

Ragionandoci a mente fredda le uniche due categorie applicabili alla società contemporanea sono quelle del disagio psichico e della tossicodipendenza.
Non sussistono patologie altrettanto gravi da spiegare come si sia potuti, nell’arco di un secolo o poco più, passare da questo:

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A questo:

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…e continuare a pensare di averci guadagnato nel cambio.

Conclusioni
C’è ancora, a questo punto, un modo di venirne fuori? Difficile dirlo. Sia nella riabilitazione psichica, sia nell’uscita da una condizione di tossicodipendenza, il paziente necessita di una struttura di supporto terapico che attualmente non esiste.

Normalmente è la società stessa, nel suo complesso, che si fa carico dei costi e degli sforzi clinici in grado di condurre il paziente alla guarigione. Nel nostro caso, essendo il paziente la società stessa, nessun ente esterno è in grado di farsi carico della terapia.

Gli unici enti esterni al processo (finanza internazionale e compagnie multinazionali), sono proprio quelli che profittano dello stato di dipendenza, e non hanno perciò nessun interesse a porvi fine. Potrebbero averne i singoli cittadini, a patto che raggiungano uno stato di consapevolezza sufficiente, cosa che ritengo molto difficile possa avvenire nel breve termine.

Il documentarista involontario

Per quanto mi sforzi di scrivere in maniera chiara e comprensibile, mai avrei pensato che i miei testi, immaginati per essere letti a video, potessero diventare la base recitata di un documentario. Ci sono voluti l’impegno e la pazienza di Lorenzo Grassi per confezionare un prodotto didattico audiovisuale che personalmente trovo estremamente efficace. Eccolo qui.

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Onore al merito, dunque, ma a questo punto rilancio: confezioniamo un prodotto in grado di offrire una comprensione complessiva delle problematiche del ciclismo urbano quotidiano. Non solo le conclusioni, che in assenza dei restanti argomenti appaiono un po’ campate in aria.

Lorenzo si è detto interessato al progetto, ci lavoreremo nei prossimi mesi.
Stay in touch!

Ancora sulle ideologie

Sento la necessità di approfondire la questione delle ideologie, per comprendere il potere che hanno su di noi e quanto profondamente influenzino le scelte della società attuale. La nostra percezione della realtà è infatti in larga parte frutto di una stratificazione di ideologie, non di rado fra loro contrastanti, che la nostra cultura ha ereditato dai secoli precedenti.

Per circoscrivere l’ambito del ragionamento cominciamo col dare una definizione di ideologia. Stando a Wikipedia ‘L’ideologia è il complesso di credenze, opinioni, rappresentazioni, valori che orientano un determinato gruppo sociale’. L’ideologia è, in base a questa definizione, l’architettura mentale all’intero della quale il nostro cervello colloca gli avvenimenti per potergli attribuire un ordine ed un senso.

Storicamente l’esigenza di possedere una ‘visione del mondo’ globale emerge in parallelo allo sviluppo del cervello umano, all’aumentata capacità di raccogliere e ricordare informazioni, eventi, situazioni, alla necessità di prendere decisioni ed orientare scelte.

La più antica forma di ideologia è con molta probabilità il pensiero religioso, nato per dar conto della quantità di eventi inspiegabili ed incomprensibili cui i nostri antenati erano soggetti (oltre a dar sollievo alla già discussa angoscia della morte). Il pensiero religioso attribuisce gli eventi inspiegabili all’intervento di entità soprannaturali come divinità, angeli e demoni, narra la nascita del mondo e la sua fine, discrimina tra comportamenti corretti (puri) e sbagliati (impuri), minacciando ritorsioni ‘nell’aldilà’, o sventure accidentali, a chi non vi ottemperi.

Le religioni costituiscono una prima forma di interpretazione globale dell’esistente. All’interno di un unico sistema di idee viene dato conto dell’esistenza del Mondo e vengono fornite le istruzioni di base per relazionarsi reciprocamente (codificate, per le religioni di origine biblica, nei famosi Dieci Comandamenti). Un sistema di idee che necessariamente coinvolge il concetto di ‘giustizia’, elemento chiave per la gestione delle dispute tra singoli individui e tra individui e gruppi.

Man mano che le popolazioni crescono numericamente, migrano e si espandono, mescolando fedi e credi, l’elaborazione dell’idea di giustizia si svincola formalmente dalla dimensione teologica producendo codici di leggi atti a regolare i rapporti tra i singoli, tra i gruppi, su su fino alle sovra-entità, come le città stato o le prime piccole nazioni. Tuttavia la legge umana non può ancora, in questa fase, mancare di discendere da quella divina, producendo l’avvento delle religioni di stato, dotate dell’autorità di designare imperatori e re.

Le religioni hanno di fatto dominato il mondo fino a tempi relativamente recenti, articolandosi, differenziandosi, e dotandosi di diversi sistemi di leggi in base alla complessità delle strutture sociali e statali realizzate dai popoli ad esse sottomessi. Gli ultimi secoli, tuttavia, hanno visto l’avvento di un sistema di idee completamente diverso.

Il ‘pensiero scientifico’ è un’ideologia relativamente recente che afferma la conoscibilità dell’Universo per mezzo dell’osservazione, avendo cura di eliminare gli errori introdotti dalla soggettività dell’osservatore. Così facendo ha imposto una brusca accelerazione alla comprensione del mondo, svincolando la realtà fattuale dall’intervento di entità divine e mettendo in crisi l’autorevolezza delle religioni preesistenti.

Tuttavia il metodo scientifico presenta un margine di incompletezza che non gli consente di rimpiazzare interamente le religioni. Il suo campo di applicabilità si limita alla definizione di ‘come’ i fatti avvengano, mentre l’animo umano è più orientato alla ricerca del ‘perché’.

Perché esistiamo? Perché dobbiamo gioire e soffrire? Perché adesso? Perché noi e non altri? L’animo umano si dibatte fin dalla notte dei tempi per trovare una propria collocazione all’interno del quadro degli eventi. Le risposte che il pensiero scientifico è in grado di produrre non riescono a soddisfare questa domanda di identità e di senso, semmai la negano.

La scienza ci ha fornito strumenti straordinari per la manipolazione del mondo: motori, macchine, sistemi di trasporto merci, rilanciando massicciamente un’ideologia di dominio già propria degli imperi dell’antichità. Basata, al pari delle religioni, su assunti indimostrabili, ma capace di conferire ricchezza e potere mai visti prima.

Detronizzate le religioni dal loro pulpito e nell’incapacità, da parte del pensiero scientifico, di offrire orientamenti di ordine etico, l’umanità ha abbracciato l’idea che lo sfruttamento del Mondo fosse il proprio destino manifesto inventando l’ideologia del progresso (la cui declinazione economica è detta ‘teoria della crescita indefinita’). Un’apologia dell’avanzamento tecnologico che ha prodotto nel tempo ricchezza, prosperità ed una superiorità militare tale da imporre la propria volontà al resto del mondo.

Perché, va detto, il successo o l’insuccesso di un’ideologia dipende strettamente, molto più che dalla logica e verosimiglianza degli assunti, dai vantaggi immediati e di medio periodo che l’ideologia stessa è in grado di garantire dapprima ai singoli individui, ed al crescere del fattore di scala ai gruppi sociali che la abbraccino.

Detto in poche parole l’attuale ‘crescita dei consumi’ è consistita sostanzialmente nella conversione di fonti energetiche fossili, materie prime minerali, suoli fertili e risorse generalmente non rinnovabili in cibo e manufatti di breve durata, che dato il velocissimo tasso di sostituzione trovano rapidamente la strada della discarica, trasformandosi, al termine di un ciclo di vita estremamente rapido, in rifiuti velenosi o tossici.

L’ideologia del progresso ha plasmato gli ultimi tre secoli di storia umana producendo un’accelerazione senza precedenti nel consumo di risorse, nell’aspettativa di benessere, nella trasformazione (distruzione) di ecosistemi, nella generazione di sostanze inquinanti ed un parallelo, drammatico, declino della biodiversità.

Se l’Universo non appartiene più a Dio, l’uomo si sente autorizzato a farne ciò che vuole. L’ideologia del progresso ha, in ultima istanza, deresponsabilizzato l’umanità facendo leva sull’avidità e sul tornaconto immediato. L’intera società moderna, l’organizzazione delle città, il sistema dei trasporti basato sulle automobili private, i meccanismi disumani di produzione industriale di merci e cibo, la sovrappopolazione, sono tutte filiazioni di questo miraggio infondato ed indimostrabile.

In ultima analisi il pensiero scientifico ci ha fornito strumenti senza precedenti per la comprensione della realtà fisica, ma nel contempo ha mancato di produrre un’architettura etico/morale in grado di gestire le trasformazioni da esso stesso innescate, scoperchiando un colossale Vaso di Pandora capace di attentare all’esistenza stessa del mondo come lo conosciamo.

È proprio all’interno di questo quadro che si può fotografare il momento attuale: un’umanità affascinata dall’ideologia del consumo fine a se stesso, egoistico e deresponsabilizzante, che finisce col consumare, in ultima istanza, senza inibizioni o freni di natura etico/morale, gli individui che ne fanno parte, le loro vite ed il mondo intero.

Spacciatori di automobili (prima parte)

Ieri sera ho fatto un salto al cineclub Detour di Roma per assistere alla proiezione di Bikes vs. Cars, un documentario sulla rinascita dell’uso della bici nelle metropoli di tutto il mondo e sugli infiniti ostacoli che la società contemporanea pone al dispiegarsi di questo processo.

Buona parte del film si concentra sulla massiccia, onnipresente e pervasiva opera di lobbying posta in atto nell’arco di un secolo da parte delle industrie automobilistiche per ottenere sistemazioni stradali tese a massimizzare l’occupazione di spazi urbani da parte delle auto private, fino a stravolgere completamente forma e funzioni delle città moderne.

Il senso di oppressione, disperazione ed impotenza suscitato dalle immagini degli ingorghi e dalle riflessioni delle persone intervistate mi ha ‘mosso delle corde’, entrando in risonanza con altre visioni cinematografiche recenti… un film sul traffico di droga.

Sicario, del regista canadese Denis Villeneuve, è uno dei film più sorprendenti del 2015. Pagando un grosso debito alle atmosfere rese celebri dalla fiction televisiva True Detective il film riesce, con un utilizzo estremamente asciutto del linguaggio cinematografico, a restituire tutta l’ambiguità di una lotta alla droga che finisce con l’allearsi agli stessi nemici che dovrebbe combattere (i Cartelli Centroamericani).

Una frase in particolare, nel film pronunciata da un agente della C.I.A., recita (cito a senso): “finché qualcuno non trova il modo di convincere il 20% della popolazione a smettere di sniffare e fumare quella robaccia, il meglio che si può fare è provare a ridurre i danni collaterali”.

L’analogia tra dipendenza da stupefacenti e sviluppo del traffico motorizzato nelle società occidentali non dovrebbe risultare nuova ai lettori di questo blog: l’argomento è stato sviluppato in un post intitolato proprio La dipendenza dall’automobile (che suggerisco di rileggere). Ieri sera mi sono tuttavia reso conto di aver trascurato completamente, nel redigerlo, un intero aspetto della faccenda.

Nel concentrarmi sul lato ‘della domanda’ ho infatti mancato di ragionare sul lato ‘dell’offerta’, ovvero tutte le attività messe in campo da parte dei fabbricanti di automobili e dei produttori di combustibili (senza dimenticare il comparto edilizio) per massimizzare i propri profitti.

L’analisi che vi proporrò parte da una chiave di lettura acquisita grazie ai saggi dell’antropologo Jared Diamond (Armi, acciaio e malattie, Collasso ed il recente Il mondo fino a ieri) ovvero il fatto che l’umanità tenda a riprodurre su scale diverse, se i processi di partenza sono simili, modalità relazionali caratterizzate da forti analogie.

Così le guerre tribali condotte tra gruppi di poche decine di individui presentano significativi paralleli coi conflitti su scala più vasta e, fatti i dovuti distinguo, anche con le moderne guerre tra nazioni. Semplificare il quadro complessivo ci aiuta a comprendere ed interpretare dinamiche che altrimenti apparirebbero come a sé stanti ed a tentare di prevederne l’evoluzione.

La prima analogia, come abbiamo visto, riguarda il meccanismo di ‘dipendenza’ che, se estendiamo il concetto, è alla base di ogni attività umana ed animale su questo pianeta. Dipendiamo dal cibo per sopravvivere, dagli abiti e dalle abitazioni per difenderci dal freddo (e dal caldo), dipendiamo dai rapporti sociali per la riproduzione e per il nostro stesso equilibrio fisico e psichico.

Considerato lo sviluppo storico dell’umanità l’automobile si inserisce solo recentemente in questo meccanismo (la sua prima apparizione data non più in là di un secolo addietro), nondimeno riesce ad incistarsi massicciamente nell’evoluzione della struttura sociale umana forzandone, e per certi versi obbligandone, le modalità di sviluppo.

Il risultato finale del processo (troppo lungo per poter essere esposto nel dettaglio) è che ad oggi l’automobile viene utilizzata in parte per l’accesso al cibo (in forma diretta per raggiungere i luoghi d’acquisto ed indiretta per raggiungere il posto di lavoro dove si guadagna il denaro per acquistarlo), in parte come integratore della protezione da climi ostili (‘uso l’auto così non ho caldo/freddo e sono riparato dalla pioggia e dal vento’), in parte come strumento di definizione del proprio status sociale e per partecipare alle ritualità connesse.

Come risultato finale l’automobile si aggancia alla catena di dipendenze preesistente realizzando una ulteriore dipendenza, sua propria, ed un conseguente pesante drenaggio delle risorse economiche individuali. Come ben spiegato nel suddetto documentario, circa un quarto del reddito netto percepito dagli abitanti degli Stati Uniti viene speso per far fronte all’acquisto di autovetture, alla loro manutenzione ed ai consumi di carburante. Senza contare la parte molto consistente di tasse versate allo stato centrale che viene spesa per manutenzione ed ampliamento della rete stradale.

L’automobile assolve quindi la funzione di trasferire una parte consistente della ricchezza prodotta individualmente nelle tasche dei produttori di carburante, dei fabbricanti di automobili e del comparto edilizio. Riguardo a quest’ultimo va compreso che la forma urbis prodotta dall’automobile è radicalmente diversa da quella precedente la sua introduzione: disponibilità di case con maggiori volumetrie, sprawl urbano e consumo di suolo sono caratteristiche indotte dalla possibilità di muoversi quotidianamente su lunghe distanze.

La nostra civiltà è quindi scivolata, lentamente ma inesorabilmente, in un imbuto di dipendenza dall’automobile che, come un cappio che si stringe, sta rendendo progressivamente più invivibili le città. Così il sogno di una casa ‘nel verde’ produce come effetto collaterale una percentuale maggiore di vita spesa nello stress del traffico, gli spazi urbani sono assediati da un numero crescente di autovetture, gli ampliamenti della rete stradale inducono soltanto ulteriore traffico.

Come ogni forma di ‘dipendenza’, è molto più semplice caderci dentro che venirne fuori. La dipendenza ci rende deboli, ricattabili e sfruttabili, e col passare del tempo pretende un pedaggio sempre crescente. Ma se questa è una faccia della medaglia, quella di chi subisce il processo di dipendenza, dobbiamo essere capaci di vedere anche l’altra, quella di chi lo agisce.

Le realtà che realizzano guadagni dalla situazione attuale non avranno alcun interesse ad invertirne il corso, per basilari leggi di mercato. Per la legge statunitense, ad esempio, le società quotate in borsa sono responsabili nei confronti degli azionisti. Anche volendo, una società manifatturiera non potrebbe decidere iniziative in direzioni di una riduzione dei guadagni, a rischio di esporsi alla possibilità di cause legali da parte degli azionisti.

In tale ottica diventa legale, e finanche obbligatorio, reinvestire parte dei guadagni in propaganda (dalle campagne pubblicitarie all’orientamento, diretto o indiretto, della stampa), nel pilotaggio delle decisioni politiche (con azioni di lobbying ed il finanziamento, non sempre trasparente, ai partiti), nel contrasto alla concorrenza. Le pressioni sulla politica non escludono poi forme di ricatto occupazionale quando le decisioni prese in sedi democratiche contrastino con gli interessi del comparto.

In quest’ottica si inserisce, ad esempio, l’acquisto e successivo smantellamento da parte della General Motors dell’intera rete di trasporto pubblico su tram delle principali città degli Stati Uniti a cavallo degli anni ’40, operato al fine di obbligare gli abitanti a possedere un’automobile privata.

Un’attività di ‘difesa del business ad ogni costo’ che presenta paralleli inquietanti con un altro mercato legato alla dipendenza, quello degli stupefacenti. Anche in quel caso non c’è interesse a che gli individui in stato di dipendenza recuperino la salute, non c’è interesse a quali e quanti danni essi facciano per procurarsi il denaro per la ‘dose’, non c’è interesse ai guasti collaterali causati a terzi, né che si producano delle vittime.

Il parallelo tra i morti e feriti causati dall’incidentalità stradale e dall’inquinamento e quelli prodotti dagli scontri a fuoco e dalle vendette trasversali della criminalità organizzata è sicuramente forzato, ma in entrambi i casi le organizzazioni coinvolte li derubricano come ‘costi umani non evitabili’, sacrificabili alla necessità del successo economico.

La differenza principale tra i due processi consiste nella narrazione collettiva, che ritiene ‘necessario, giusto, inevitabile’ il dominio dell’auto privata sulle città, mentre considera ‘criminale, illegale, biasimevole’ l’uso e lo spaccio di sostanze stupefacenti. Ma di analogie e differenze parleremo nel dettaglio nel prossimo post.

(continua)

CarJam

GSA2011 – The Director’s Cut

I lettori di lunga data del blog ricorderanno sicuramente il mio pasticciato tentativo di dar forma ad un video del Grande Sentiero Anulare. Da allora molta acqua è passata sotto i ponti, il GSA è evoluto nel GRAB, l’idea di fare un documentario del GRAB è prima nata e successivamente rimandata a data da definirsi, alla fine mi è presa voglia di rimetter mano al materiale filmato e dargli una forma più digeribile.

I limiti del video originale sono in primis la lunghezza eccessiva (45 minuti) in grado di stroncare la fantasia dei più, in secondo luogo la bassa risoluzione (480px) obbligata dalle dimensioni finali del video e dai limiti imposti all’epoca dalla piattaforma ospitante (Youtube) e dalla velocità in upload della mia connessione ADSL.

Col senno di poi sono riuscito ad impacchettare un oggettino molto più ‘easy’. Un taglio più veloce ed essenziale ha ridotto la lunghezza del video a soli 11 minuti, la minor dimensione del file mi consente di renderne disponibile una versione di qualità migliore (HD720) e la colonna sonora è adesso un po’ più familiare e brillante.