Prima, però, occorre mettere il discorso in una prospettiva storica. Premetto che sarà viziata dal fatto che si tratta della "mia" esperienza, e che non potrà essere esaustiva. Eventuali integrazioni saranno gradite.
L’inizio di tutto si colloca, per me, da qualche parte verso la fine degli anni ’80, con l’acquisto della mia prima bici. Il "percorso" successivo credo sia comune a molti: la scoperta, il divertimento, la voglia di condividere quest’esperienza entusiasmante con altri/e, il cominciare a partecipare ad iniziative organizzate, l’entrare in un gruppo di persone con cui condividere lo stesso "slancio emotivo", lo spendersi per diffondere la bellezza dell’uso della bicicletta.
Questo "percorso" ha vissuto fasi e modi diversi per ognuno/a di noi. Nei primi anni ’90 l’uso della bici a Roma mi pareva proibitivo ed improponibile, mentre trovavo estremamente piacevole e gratificante l’utilizzo escursionistico nei weekend. Pensai che un buon sistema per fare appassionare il maggior numero di persone all’uso della bici fosse proporgliela nella sua veste più "accattivante", e cominciai a collaborare con l’associazione Ruotalibera (oggi affiliata alla Fiab).
Nel frattempo a Roma nascevano, crescevano e morivano diverse esperienze analoghe, tutte caratterizzate dalla proposta di percorsi guidati "alla scoperta" di un po’ di tutto, ed inevitabilmente della bicicletta. Bisognò attendere il volgere del millennio perché uno scenario affatto nuovo iniziasse a delinearsi.
Con la nascita della CriticalMass e delle Ciclofficine un nuovo soggetto irrompe sulla scena romana. L’uso della bicicletta diventa bandiera del rimettere in discussione la destinazione d’uso degli spazi cittadini, il consumismo dilagante e disumanizzante, lo spreco delle risorse, l’inquinamento. È una visione "critica", per alcuni "estrema", senza compromessi, e non a caso attrae una fascia di individui mediamente più giovani ed irruenti.
Parallelamente si è aperto un canale di dialogo con le istituzioni che lentamente, nel corso degli anni, ha portato alla realizzazione di una serie di infrastrutture per la ciclabilità (per la verità ancora poche ed approssimative) e ad una maggior visibilità politica e sociale della bicicletta quale mezzo di trasporto urbano.
E vengo al punto (finalmente!): la sensazione generale, ad oggi, è quella di uno stato di impasse. Le esperienze a cui abbiamo dato vita funzionano, continuano a funzionare, eppure non basta. L’utilizzo della bicicletta è ancora troppo poco diffuso. La conoscenza stessa dell’oggetto bicicletta è ancora appannaggio di pochi. L’esperienza dell’andare in bicicletta, che ancora è condizione necessaria perché un potenziale ciclista possa prenderla in considerazione in termini di fruizione quotidiana o estemporanea, è patrimonio di una ristretta cerchia di fortunati.
La mia personale esperienza è che almeno la metà delle persone che non sono mai salite da adulte su una bici, una volta fattane l’esperienza ne restano affascinate. Ma come arrivare a ciò? Com’è possibile incidere significativamente su una città di tre milioni di abitanti senza costose campagne culturali, senza infrastrutture adeguate, senza attenzione da parte dei media ed in balia degli interessi economici soverchianti delle lobbies petrolifere e dei fabbricanti di autovetture?
La mia conclusione è che la nostra unica chance risiede in un colpo di genio che ci faccia inventare una strategia irresistibile. Rilancio "la palla" a tutti i lettori: che ne pensate? Cosa dovremmo provare a fare, di più e meglio di quello che si è fatto fin qui (considerate anche le risorse umane molto limitate)?
A voi la parola.