At first I was afraid,
I was petrified
Kept thinkin’ I could never live
without you by my side
Ci sono canzoni che restano legate alla nostra vita fin dal primo momento in cui le ascoltiamo, altre di cui scopriamo la profondità solo dopo anni di maturazione umana e personale. Questa in particolare ha subito una sorte ancora diversa, e per poter arrivare a “farla mia” il percorso è stato inusitatamente complesso e tortuoso.
Tutto inizia negli anni ’70, col sottoscritto preadolescente in una società in balìa di tumultuose trasformazioni sociali e culturali. Gli anni del post ’68, del terrorismo, dell’austerity, della televisione di stato. Un calderone caotico ed imprevedibile, soprattutto agli occhi di un ragazzo ancora imberbe e precocemente solitario.
Uno dei fenomeni culturali clamorosi ed inattesi di quel periodo fu il successo del film “La febbre del sabato sera“, che lanciò la moda delle discoteche e, conseguentemente, segnò l’avvento della “Disco Music”, anticipazione e preparazione al consumismo sfrenato e spensierato degli anni ’80.
La “Disco Music” divenne ben presto la bandiera del divertimento coatto e modaiolo, una filosofia di vita, se tale si può definire, lontana anni luce dalle radici contadine della mia famiglia, dalla mia educazione improntata alla morigeratezza ed alla frugalità e soprattutto dalla mia possibilità di comprenderla. Penso di aver detestato il fenomeno “Disco” con tutte le mie forze finché, col passare degli anni, non assistetti finalmente al suo declino… cui tuttavia seguì l’avvento di forme musicali ancora più mediocri e sciatte.
But then I spent so many nights
Thinkin’ how you did me wrong
And I grew strong, I learned how to get along
Fu molti anni dopo che mi capitò di vedere un bizzarro film australiano: “Priscilla la regina del deserto“, incentrato sui problemi e le difficoltà di accettazione dell’omosessualità. A metà della pellicola c’è una appassionata performance basata proprio su questo brano.
And so you’re back from outer space
I just walked in to find you here
with that sad look upon your face
Altro decennio, altro film, altra situazione, stessa canzone: “In and Out“, commedia gay con Kevin Kline. All’interno un’irresistibile sequenza in cui una audiocassetta registrata cerca invano di convincere il protagonista a non ballare. Cos’ha questa canzone, mi sono chiesto allora, per diventare a distanza di tutto questo tempo un’icona gay? Di cosa parla? Cosa racconta?
Inevitabilmente, come molte altre curiosità estemporanee, anche questa era destinata a scontrarsi e soccombere, almeno temporaneamente, al perenne daffare quotidiano ed ai miei mille altri interessi ed occupazioni. Me ne dimenticai, e gli anni continuarono a passare.
I should have changed that stupid lock
I should have made you leave your key
If I’d know for just one second you’d be back to bother me
Poi venne il tempo dei laboratori teatrali, e nel secondo anno di corso la nostra insegnante si mise in testa di farci cantare (non in coro, ovviamente). Cominciò col darci da studiare “Vedrai, vedrai“, di Luigi Tenco, ed in seguito ci chiese di portare delle altre canzoni, a nostra scelta.
Go on now, go
walk out the door
just turn around now
‘cause you’re not welcome anymore
Fu lì che mi trovai a dover decidere, a dover scegliere, nella mole sterminata di musica alla quale ero affezionato, quel singolo brano che avrebbe potuto/dovuto rappresentarmi al meglio. Vagliai e scartai decine di opzioni: rock, pop, folk, blues, dark, musica tradizionale… di tutto di più. In una lezione successiva cantai “L’internazionale“ (sì, quella!), nella versione di Billy Bragg, in un’altra “American Pie“, che avevo in testa rifatta dai King’s Singers.
Weren’t you the one who tried to hurt me with goodbye
Did you think I’d crumble?
Did you think I’d lay down and die?
Come ultimo esercizio ci fu chiesto di esibirci su una base musicale che ci saremmo dovuti procurarci da soli su internet. Questo restringeva di molto la scelta dei brani, ed in ogni caso quel palcoscenico vuoto con un singolo “occhio di bue” non faceva che rimandarmi l’immagine di “Priscilla”… ma già, di che cosa parlava quella canzone? “I will survive“, io sopravviverò (???), il tempo di rintracciare il testo in rete e…
Oh no not I, I will survive
Oh as long as I know how to love I know I’ll stay alive
I’ve got all my life to live
I’ve got all my love to give
And I’ll survive, I will survive, Hey Hey
…la folgorazione! Resto senza parole. Straordinaria a qualsiasi livello di lettura ed analisi.
Sul piano narrativo la canzone interpretata da Gloria Gaynor è il monologo di una persona lasciata al suo partner, riapparso inaspettatamente. Da notare, in questo senso, la perfetta “non assegnazione” di gender consentita dalla lingua inglese: il sesso dei due personaggi non viene mai dichiarato esplicitamente. Già questo potrebbe spiegare le “simpatie” della comunità GLBT, ma c’è sicuramente dell’altro.
It took all the strength I had not to fall apart
Kept trying hard to mend the pieces of my broken heart
Sul piano musicale il brano è suddiviso in due “movimenti” identicamente strutturati: la partenza è lenta, struggente, poi la musica sale, entrano le percussioni, il brano acquista forza e determinazione ed alla fine viaggia come un treno in corsa.
And I spent oh so many nights
just feeling sorry for myself,
I used to cry
but now I hold my head up high
E questo avviene parallelamente al procedere della narrazione. Le prime frasi raccontano il dolore dell’abbandono, la sofferenza, la tristezza. Ma subito dopo c’è il riscatto, la consapevolezza di sé, la scoperta di una forza interiore inattesa, della capacità di reagire.
And you see me
somebody new
I’m not that chained up little person still in love with you
In un crescendo irresistibile il/la protagonista descrive questa trasformazione, e di come la sua visione del mondo sia cambiata. Tolta dagli occhi la nebbia offuscante dell’innamoramento l’altro/a appare drammaticamente ridimensionato/a: una persona insensibile, meschina, vuota.
And so you feel like droppin’ in
And just expect me to be free
Now I’m savin’ all my lovin’
for someone who’s lovin’ me
E quindi l’invito ad andarsene, ad uscire di scena e sparire per sempre, in uno dei ritornelli più potenti ed efficaci probabilmente mai composti.
Go on now, go
walk out the door
just turn around now
‘cause you’re not welcome anymore
Ma non basta. La sfida sale ancora di tono, diventa sarcasmo, ironia tagliente.
Weren’t you the one who tried to hurt me with goodbye
Did you think I’d crumble?
Did you think I’d lay down and die?
E si conclude con l’affermazione finale: “io sopravviverò perché sono capace di amare” (corollario: “e di te, che invece sai solo usare gli altri, non so che farmene”). Sicuramente è un approccio molto “femminile” all’esibizione dei propri sentimenti, un’altra chiave di lettura del perché sia diventato un inno gay.
Oh no not I,
I will survive
Oh as long as I know how to love I know I’ll stay alive
I’ve got all my life to live
I’ve got all my love to give
And I’ll survive, I will survive
Hey Hey
Non so voi, ma io la trovo di un’eleganza ed un’efficacia sorprendente. E non posso non invidiare alla lingua inglese l’essenzialità fonetica delle singole parole: in tutta la canzone i concetti viaggiano su monosillabi che copiano perfettamente l’andamento percussivo della base ritmica. I bisillabi si contano sulla punta delle dita, ed i trisillabi sono solo due. In italiano non ci si scriverebbe neppure la prima strofa.
Negli anni questa canzone ha rappresentato, per tutto il mondo anglofono, la possibilità di riscatto dei deboli e degli umili di fronte alle angherie della vita. C’è un terzo film in cui compare “Le riserve“, cantata in coro da una squadra di football americano (sport maschile per eccellenza) composta interamente di giocatori di seconda scelta e finiti imprevedibilmente a giocarsi il tutto per tutto contro un team di professionisti. La cantano la sera prima della finale, quasi per gioco, per farsi coraggio a vicenda.
A questo punto non posso non concludere con una traduzione completa. Letta tutta insieme sembra davvero un monologo teatrale. Chissà che prima o poi non mi salti in mente di proporla in forma di prosa davanti ad un vero pubblico.
Io sopravviverò
All’inizio ero spaventa, pietrificata
Pensavo di non poter vivere senza averti accanto
Ma poi ho passato così tante notti
Pensando a quanto male mi avevi fatto
E sono diventata forte
Ho imparato ad andare avanti
E così sei tornato, piovuto giù dal cielo
Sono rientrata a casa e ti trovo qui
con quell’espressione triste in faccia
Avrei dovuto cambiare la serratura,
o farmi ridare la chiave
Se solo per un istante avessi immaginato
che saresti tornato ad infastidirmi
Va’ via adesso
Esci da quella porta
Vattene subito
Perché non sei più il benvenuto qui
Non eri tu quello che cercava di ferirmi con gli addii
Pensavi che sarei crollata?
Che mi sarei lasciata andare fino a morire?
Oh, no. Non io.
Io sopravviverò
Quant’è vero che so amare
So che ce la farò
Ho tutta la mia vita da vivere
E ho tutto il mio amore da dare
E sopravviverò. Io sopravviverò. Oh, sì.
Ho dovuto far appello a tutta la forza che avevo
per non buttarmi giù
È stata dura tenere insieme i brandelli
del mio cuore a pezzi
Ed ho passato così tante notti a sentirmi triste
Ero solita piangere
Ma ora cammino a testa alta
E ora guardami
Sono un’altra
Non più quella piccola prigioniera
Ancora innamorata di te
E così ti senti di passare a trovarmi
E ti aspetti che io sia libera
Invece sto mettendo da parte tutto il mio amore
Per qualcuno che mi ami davvero
Va’ via adesso
Esci da quella porta
Vattene subito
Perché non sei più il benvenuto qui
Non eri tu quello che cercava di ferirmi con gli addii
Pensavi che sarei crollata?
Che mi sarei lasciata andare fino a morire?
Oh, no. Non io.
Io sopravviverò
Quant’è vero che so amare
So che ce la farò
Ho tutta la mia vita da vivere
E ho tutto il mio amore da dare
E sopravviverò. Io sopravviverò. Oh, sì.
Ah, alla fine l’ho cantata davvero, con tanto di base musicale, di fronte agli altri studenti del corso di teatro. E l’effetto di spiazzamento che volevo ottenere c’è stato tutto. Una delle ragazze è perfino salita sul palco a ballare. Un altro partecipante al corso, che all’epoca mi conosceva poco, mi ha confessato anni dopo di essersi preoccupato che fossi gay. E per la povera insegnante, partire da Luigi Tenco ed arrivare a Gloria Gaynor… la distanza non le sarà potuta sembrare maggiore!