Una vacanza bici+mare

Quest’estate, tra covid ed altre beghe, io e mia moglie abbiamo optato per una vacanza in relativo relax, riuscendo a conciliare la sua passione per il mare con la mia per la bicicletta. Non potendo spostarci all’estero, dove questa forma di turismo è ben più sviluppata, e soprattutto non volendo imbarcarci in un viaggio itinerante in un paese, il nostro, che non ha attenzione per la sicurezza dei viaggiatori su due ruote, abbiamo cercato una destinazione ‘bike-friendly’. La scelta è infine caduta sulla Via Verde della Costa dei Trabocchi. Non essendo la ciclovia ancora completata, ragionando sui segmenti già operativi abbiamo stabilito di cercare alloggio in un punto intermedio del tratto fruibile più a nord, quello tra Ortona e Fossacesia, in modo da sfruttare il tracciato ciclabile per spostarci ogni giorno in una spiaggia diversa. La scelta è caduta su Marina di San Vito Chietino, dove abbiamo affittato un appartamento con affaccio sul mare a breve distanza dalla ciclovia.

La ciclovia
Il percorso si snoda sul sedime dismesso della ferrovia Ortona-Vasto, il cui tracciato, a causa della continua erosione operata dal mare, è stato spostato più nell’entroterra. Dopo la rimozione dei binari si è scelto di destinare il sedime dismesso a pista ciclabile, realizzando un tappeto di asfalto e ristrutturando le gallerie. Sebbene il lavoro sia ancora incompleto e la ciclovia non interamente percorribile, allo stato attuale il tracciato risulta ugualmente molto fruibile, consentendo uno sfruttamento ottimale di un lungo tratto di costa prima reso difficilmente raggiungibile proprio dalla presenza della linea ferroviaria. Dal punto di vista ciclistico, pedalare in sicurezza a pochi metri dal mare, con gli affacci sulle spiaggette e sui trabocchi che si susseguono senza soluzione di continuità, rappresenta un’immersione nella bellezza difficilmente descrivibile. L’estrema regolarità del percorso, unita all’assenza di dislivelli tipica dei tracciati ferroviari, consente di chiacchierare amabilmente mentre si percorre la pista alla ricerca della spiaggia ideale. Unica nota dolente l’assenza di illuminazione delle gallerie, prevedibile considerando il fatto che non fossero ancora aperte al pubblico transito.

Situazioni problematiche
A questo riguardo va detto che nei primi giorni della nostra vacanza abbiamo trovato diverse gallerie sbarrate da recinzioni… ostacoli che sono stati poi rimossi, apparentemente, ‘a furor di popolo’. Fatto prevedibile, dato che la domanda di mobilità ciclistica e pedonale, sulla tratta, si è dimostrata estremamente consistente. Gallerie che, nei primi giorni, risultavano sbarrate o di difficile accesso, a fine settimana venivano serenamente percorse da decine di bagnanti che non hanno ritenuto di dover attendere il collaudo di agibilità. Il tratto più affollato, e di gente a piedi più che di biciclette, è risultato proprio quello in prossimità del paese dove alloggiavamo. Mentre a Fossacesia la pista passa più lontano dal mare, ed il transito dei villeggianti si svolge sulle strade a ridosso della spiaggia, a Marina di San Vito i bagnanti provenienti dal borgo affollano il tracciato percorrendo a piedi la ciclovia anche per lunghi tratti. In prossimità di Ortona il rifacimento del fondo asfaltato non era ancora stato completato. Oltre a questo, la galleria detta dell’Acquabella, molto più lunga delle altre e con una curva a metà che impedisce di sfruttare la luce in entrata dal lato opposto, ha richiesto l’impiego di lampade per il transito (cosa che non ha ostacolato più di tanto il significativo viavai di ciclisti e pedoni in ogni occasione in cui l’abbiamo percorsa). Ad Ortona il sedime si riduce ad una pietraia e termina sotto uno svincolo stradale. Ho scoperto solo in seguito che il tracciato, ben sistemato, prosegue ancora oltre, ma le due tratte non sono al momento collegate. Dal lato opposto, oltre Fossacesia la ciclovia prosegue asfaltata ma in mezzo al verde, lontano dalla riva, fino a Torino di Sangro, poi per alcune centinaia di metri il sedime è di nuovo una pietraia sconnessa, fino al punto in cui è totalmente assente, franato a causa dell’aggressione dei marosi. Più oltre la ciclovia prosegue ancora fino a Vasto, ma la distanza da San Vito e l’impossibilità di riallacciarsi al tracciato senza percorrere tratti di strada fortemente trafficati ci hanno dissuaso dall’esplorazione.

Il mare
La costa abruzzese, almeno nel tratto da noi esplorato, è risultata estremamente bella e pulita, oltreché ricca di pesci a farci compagnia nelle sessioni di snorkeling. Le spiagge sono quasi tutte a ciottoli, problema aggirabile con le apposite calzature ‘da scoglio’. Le uniche spiagge sabbiose le abbiamo trovate ad Ortona e Fossacesia. In alcuni punti, sugli scogli e nel fondale, abbiamo riscontrato la presenza di anemoni, che abbiamo avuto cura di evitare di toccare. In una singola nuotata ci ha fatto compagnia una medusa solitaria, che è stata molto bella da vedere… a debita distanza.

Dotazione logistica
Sulle biciclette avevamo una coppia di borse da viaggio per trasportare il necessario: asciugamani, pranzo al sacco, maschere da sub ed una tendina aperta che ha degnamente sostituito il tradizionale ombrellone (potendo oltretutto richiudersi in un sacchetto di dimensioni poco superiori a quelle di un avambraccio), oltre alle suddette calzature da scoglio e ad una piccola telecamera con custodia impermeabile per le riprese subacquee.

Conclusioni
Sicuramente una proposta di vacanza adatta alle esigenze di coppie e famiglie cui piaccia muoversi in bicicletta, senza doversi sobbarcare l’impegno di un vero cicloviaggio. La presenza di una abbondante offerta ristorativa in loco, di ottima qualità ed a prezzi contenuti, ci ha consentito di fare (quasi) del tutto a meno dell’automobile, la cui unica funzione è stata di portarci a destinazione e riportarci a casa, restando poi parcheggiata ed inutilizzata per l’intera settimana.

La rivincita della fotografia

Da ragazzo, a metà degli anni ’80, mi appassionai alla fotografia. Era un mondo molto diverso dall’attuale, fatto di fotocamere meccaniche, regolazioni manuali, pellicole, camere oscure per stampare da sé le proprie foto, interi corredi di costosi obiettivi da portare sempre con sé.

I materiali erano cari, le pellicole consentivano un massimo di 36 scatti, poi dovevano essere sviluppate e stampate. A meno di utilizzare le diapositive, che comunque necessitavano dell’allestimento di una sala da proiezione per poter essere apprezzate.

Ma, volenti o nolenti, questi erano passaggi necessari per ottenere risultati di qualità. Con la transizione al digitale tutto questo cambiò. Le immagini potevano essere acquisite in grandi quantità, corrette, elaborate, aggiustate, ma soprattutto le dimensioni delle fotocamere continuarono a scendere, fino a scomparire all’interno dei telefoni.

La mia passione per la fotografia viveva, nel frattempo, sorti altalenanti. Non essendo riuscito a farne una professione, come hobby doveva contendersi tempi e spazi con le mie innumerevoli altre passioni, attraversando momenti di grande slancio, seguiti da lunghe pause improduttive.

Collettivamente si assisteva però ad una trasformazione ancora più radicale: l’avvento della telefonia di massa. Il mio primo cellulare non poteva fare altro che chiamare e mandare SMS, il successivo fu poco dissimile. Il terzo montava una rudimentale fotocamera dalla qualità pietosa, che finii con l’utilizzare pochissimo.

Fu circa un decennio dopo, col mio primo smartphone, un oggetto senza grandi pretese, che cominciai a riscoprire il piacere di avere una macchina fotografica perennemente in tasca e pronta all’uso. I limiti di un’ottica a focale fissa, dopo aver posseduto ottiche professionali dall’ipergrandangolare ai lunghi tele, non mi consentirono di prenderla sul serio fin da subito.

Tuttavia ero già stato, per un lungo periodo, abituato ad una fotocamera tascabile a pellicola, una Minox 35GT, con ottica fissa dalle caratteristiche non troppo dissimili da quella dello smartphone. Con quella avevo imparato ad utilizzare i limiti dell’attrezzatura come uno stimolo per tirar fuori riprese comunque interessanti.

E fu così che qualche anno dopo, in occasione di una vacanza in Grecia, decisi di lasciare a casa l’ingombrante fotocamera digitale per lavorare solo ed unicamente con quella integrata nel telefono. Scoprii una cosa sbalorditiva: il fatto di disporre di un’unica inquadratura mi aiutava a comporre le fotografie prima ancora di metter mano allo scatto.

Nel frattempo si andava trasformando l’uso sociale delle immagini fotografiche. L’avvento dei Social Network, la possibilità di condividere con immediatezza e facilità i propri scatti, ha donato nuova vita all’antica arte fotografica. Nuovi media, Instagram in testa, sono stati votati ad ospitare unicamente immagini, finendo col generare un nuovo linguaggio. O forse solo col riscoprirne uno antico.

Pochi giorni fa, trovandomi a dover nuovamente cambiare smartphone, mi sono messo a cercarne uno dalle elevate prestazioni fotografiche. Quello che mi ritrovo ora in tasca non è più un telefono con fotocamera integrata, ma una fotocamera con funzioni di telefonia (e networking).

Il che, a mio parere, rappresenta un po’ la rivincita della fotografia, che finalmente semplificata e messa a disposizione di tutti può rivendicare il proprio ruolo di forma comunicativa alternativa al linguaggio scritto ed alla comunicazione verbale. Funzione un tempo prerogativa di pochi specialisti ed ora democraticamente restituita a tutti.

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(nella foto, il mio vecchio telefono fotografato dal nuovo)

I Ciclisti Filosofi

La scorsa settimana, spinto dall’intenzione, vaga, di far circolare aforismi sulla bicicletta, ho dato vita all’ennesima pagina Facebook (le altre che mantengo le potete trovare nella colonna di destra, identificate da piccoli ‘box’). Ben presto l’idea iniziale ha cominciato a definirsi con maggior precisione, disvelando un potenziale superiore a quanto mi aspettassi inizialmente.

Per comprendere come nasca l’idea di dar vita ad una simile serializzazione dei contenuti occorre fare un passo indietro e ragionare sul concetto di ‘meme’.
Wikipedia descrive il meme nei termini di:

…“un’unità auto-propagantesi” di evoluzione culturale, analoga a ciò che il gene è per la genetica, quindi un elemento di una cultura o civiltà trasmesso da mezzi non genetici, soprattutto per imitazione…

Per sintetizzare il concetto: ogni cultura evolve integrando nel proprio corpus idee, concetti, logiche ed approcci nuovi, e rimuovendone altri che quindi cadono in disuso. Il termine ‘meme’ rimanda all’imitazione, ovvero alla caratteristica propria dei gruppi sociali di cementare la propria identità attraverso la condivisione e la ripetizione di consuetudini.

Consuetudini che possono essere l’utilizzo di un neologismo o di una forma gergale esclusiva, di una canzone o un semplice frammento di testo, di un manierismo unico nella pronuncia di determinati fonemi, alla stessa maniera in cui viene utilizzato l’abbigliamento o l’interesse per una determinata categoria di oggetti ed attività umane per collocarsi all’interno di ‘mode’. Ci si imita a vicenda e questo fa del gruppo una realtà distinguibile.

Sui meccanismi di propagazione dei ‘meme’ è in corso da anni una riflessione. Se a posteriori è evidente come alcuni di essi possano essere prepotentemente emersi (molti per sparire in un arco di tempo altrettanto breve), stabilire una ‘formula del successo’ è impossibile. Esempi di ‘meme’ in anni recenti sono i Chuck Norris Facts, o la scena del film Titanic sulla prua della nave (ripresa in un milione di citazioni e parodie), o l’avvento degli zombie come spauracchio di massa in cui parlavo altrove.

Nel mondo dei Social Network (e di Facebook in particolare, che al momento è il più diffuso e pervasivo) la propagazione spontanea di piccoli e semplici meme è all’ordine del giorno. Li riceviamo volenti o nolenti ogni volta che qualche amico decide di condividere un pensiero, o un’immagine, o una ‘confezione’ di entrambi. In genere sono motti, aforismi o battute satiriche. Altrettanto in genere non si tratta di contenuti isolati ma di forme serializzate di intrattenimento.

Cito a mo’ di esempio la pagina umoristica Kotiomkin (nome ispirato esso stesso ad un celeberrimo ‘meme’ della cultura italiana, la battuta di Fantozzi: “per me la corazzata Kotiomkin è una cagata pazzesca”)

…la gallery Il Peggio Della Fotografia Made in Italy (che spesso attinge ad immagini di matrimoni realizzate in paesi dell’Europa dell’est)

…o Le più belle frasi di Osho dove la molla umoristica nasce dal contrasto tra le foto di vita quotidiana del santone indiano e la sovrapposizione di frasi in romanesco riferite ad un immaginario affatto diverso.

Dati questi ‘alti esempi’ mi sono chiesto se non sarebbe stato possibile veicolare idee sull’uso della bicicletta tramite l’accostamento di parole ed immagini. Ne è nata una piccola sperimentazione (chiamata inizialmente ‘CicloAforismi’) che mi ha spinto ad estendere la cerchia delle persone coinvolte nel processo ideativo.

Ora la redazione è composta, oltre al sottoscritto, da Marco Melillo, Serena Maniscalco, Elena Scategni e Paolo De Felice, e la qualità delle ‘cartoline’ prodotte ha subito una drastica impennata verso l’alto.

Anche il ‘concept’ è stato rivisto, non più aforismi e frasi ad effetto legate alla bicicletta, ma motti e consigli di senso generale uniti ad immagini di persone in bicicletta che ne contestualizzano il significato e ne propongono una possibile chiave di lettura, non necessariamente immediata.

L’oggetto finale assume così una dimensione in parte visiva, in parte filosofica, in parte di sofisticato ‘divertimento intellettuale’ nell’interpretazione della relazione tra immagine e testo.

L’idea è che l’efficacia del messaggio prodotto dall’abbinamento di testi ed immagini produca spontaneamente una sensazione di immedesimazione (meme) tale da spingere i lettori a ripubblicare l’immagine stessa sul proprio profilo per esporla ad una platea più vasta, innescando quel meccanismo di diffusione virale proprio dei ‘meme’ più efficaci.

Se funzionerà o meno è impossibile dirlo. La speranza è che le immagini circolino diffusamente portando con sé il ‘meme’ della bicicletta anche a quanti non ne siano ancora utilizzatori, veicolando fantasie, suggestioni, attese. Nel suo piccolo il progetto va nella direzione di una ridefinizione dell’idea di bicicletta nell’immaginario collettivo.

Come arco vitale per questa esperienza immagino alcuni mesi, all’inizio con pubblicazioni quotidiane, poi via via più rarefatte man mano che illustrazioni e frasi vengono utilizzate. Quello che ne resterà alla conclusione sarà una gallery di impressioni, idee, immagini, legate all’uso della bici ed alle trasformazioni fisiche, culturali, mentali ed emotive da essa prodotte.

Il decimo uomo

“Se nove di noi leggono un’informazione e arrivano alla stessa conclusione, è compito del decimo uomo dissentire. Per quanto improbabile possa sembrare, il decimo uomo deve investigare con il presupposto che gli altri nove sbaglino.” (World War Z)

Quest’idea viene da un film “di zombie” che ho visto pochi giorni fa. E’ l’unica cosa che si salvi di tutto il film, se vi può consolare. L’idea mi ha colpito (come deve aver colpito l’intero pubblico, semplicemente perché se vai a vedere un film di zombie sei già del tuo portato ad accettare che l’impossibile possa verificarsi), e si è accoccolata in un angolino del cervello, in paziente attesa.

Oggi, intervenendo in una discussione sul gruppo Facebook Salvaiciclisti-Roma, ho compreso che #SIC è per la nostra cultura l’equivalente del “decimo uomo”. Con una differenza fondamentale rispetto al film, ovvero che qualsiasi evidenza logica si porti non si viene comunque ascoltati.

#SIC è prevalentemente un movimento di natura culturale, cresciuto sulla costruzione di eventi di denuncia e sensibilizzazione. Se nove italiani su dieci sono convinti che non ci siano alternative al modo attuale di pensare alla mobilità individuale, scopo di #SIC è rimettere in discussione questa tesi, in ogni sua forma e modalità.

Viviamo in un paese paradossale, dove il comportamento tipico è ignorare e trasgredire le norme di comportamento (e le leggi) che noi stessi ci siamo dati, dove si impara sin da piccoli a trovare giustificazioni, scuse ed alibi per non fare quello che si dovrebbe, e per scaricarne le colpe sugli altri. Lo sport nazionale è lo scaricabarile: trovare qualcuno/qualcosa da incolpare per le proprie manchevolezze.

Fungere da “cattiva coscienza” per molti che vorrebbero invece sentirsi rassicurati nel proprio ruolo di bravi cittadini è non solo faticoso, ma spesso emotivamente estenuante. Da ultimo, non è che serva poi a molto… se una minoranza è troppo esigua, per quanto sia nel giusto non riuscirà a farsi ascoltare.

E il “rischio di essere …una freccia puntata in una direzione che nessuno segue”, paventato ormai quasi trent’anni fa, appare ora materializzarsi in tutta la sua spietata concretezza.

Bellezza, ricchezza, benessere

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Qualche giorno fa, tornando a casa in bici dall’ufficio, ho deciso di allungare un po’ e farmi un giro al parco degli Acquedotti. Complice un sole al tramonto, basso ed aranciato, le nubi grigie di pioggia sopra la testa, la luce aveva una qualità rara ed affascinate come di rado accade.

Sembra incredibile, ma dopo quasi trent’anni riesco ancora stupirmi di quanto sia bello questo posto, e di quanto poco i miei concittadini lo apprezzino: inutile dire che a godere di una tale meraviglia ero in pressoché “beata solitudo”. E nello stupirmi di tanta bellezza, e dell’effetto gratificante che mi stava regalando, non ho potuto fare a meno di inanellare un po’ di ragionamenti.

“Stare in un luogo bello mi fa star bene”, è stata la prima considerazione. A seguire il lessico stesso mi ha guidato, perché la definizione di una persona che “sta bene”, in italiano, è “benestante”. Un benestante senza un euro in tasca… strana definizione, eppure incontestabilmente esatta.

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Ho quindi iniziato a ragionare sulla deriva del significato delle parole quando per troppo tempo se ne fa un uso improprio. La parola “benestante” è ormai associata al concetto di una persona ricca di denaro, come se il denaro comportasse ipso-facto lo star bene. Paradossalmente un ricco rimane, nel pensiero comune e nel lessico, “benestante” anche se vecchio e malato.

Un povero, invece, può stare benissimo, avere una salute di ferro, una vista perfetta, eppure nessuno/a gli riconoscerà questo suo “benessere”. In qualche caso si insegue a tal punto il possesso di denaro da finire col fare una vita orribile ed ammalarcisi: le parole che usiamo condizionano grandemente il nostro modo di pensare.

Alla bellezza, che pure ci fa star bene, non siamo in grado di assegnare alcun valore. Lo sono invece, forse un po’ più di noi, quei turisti che attraversano mezzo mondo per venire a vedere cose alle quali noi neppure facciamo più caso. Strano e perverso meccanismo!

Acquedesktop

Perfino i parametri che utilizziamo per definire il nostro benessere sono parametri unicamente monetari. Il P.I.L. (prodotto interno lordo) ci racconta soltanto quale massa di denaro si muova all’interno di uno stato, ed una delle voci che lo compongono è quella relativa alle spese mediche: più un popolo sta male, più sale il P.I.L., più lo stesso popolo si convince di stare bene!

Uscire da logiche collettive deliranti ed autodistruttive è la nostra sola speranza di salvezza, l’unica opportunità che abbiamo di vivere vite emozionanti e degne di essere vissute. Evitare di lasciarsi ingabbiare in circoli viziosi mentali diventa essenziale.

La scorsa settimana mi “avanzava” una mezz’ora di vita ed ho deciso di spenderla a pedalare al parco degli Acquedotti. E’ stata una scelta saggia, perché alla fine mi ha insegnato cose importanti: che sto bene, e sono quindi un benestante… che la bellezza è a mia disposizione, a due passi da casa… che sono ricco di cose che il denaro non può comprare…

O che, se non mi lascio troppo distrarre, posso perfino accorgermi di essere felice.

Bici acquedotti

I nuovi header del Mammifero

Con ancora in testa le suggestioni nordafricane della recente vacanza in Marocco, vengo ad aggiornare la sequenza di immagini che WordPress carica in maniera random sotto la testata del blog, sostituendo quelle precedenti relative al viaggio in Croazia e Bosnia del 2012.

La difficoltà, per chi mastichi un minimo di ripresa fotografica, sta nel tirar fuori immagini che ben si adattano ad un formato lungo e stretto da foto scattate per il 16:9 (ormai mi sono convertito al formato panoramico). Alla fine non è andata troppo male, di un migliaio di scatti ne ho tirati fuori quasi una cinquantina che si vedono decentemente.

Per evitarvi di “refreshare ” compulsivamente la pagina del blog, li ho caricati tutti in uno slideshow di Picasa. Buona visione.

(più in là pubblicherò le foto in formato più godibile, ovviamente)

Le foto in testa

Oggi ho finalmente trovato il tempo di selezionare, ritagliare ed inserire un po’ di foto nell’header del blog. Quelle che c’erano prima erano sicuramente molto belle (probabilmente anche migliori di queste nuove) ma non mie, essendo il set fornito di default con il template… cosa che mi obbligava a condividerle con molti altri utenti.

Un paio di giorni fa, smanettando coi settaggi, ho capito che potevo sostituirle con foto mie mantenendo la rotazione casuale, ed ho provveduto alla sostituzione. A dirla tutta è stato tutt’altro che semplice. Il problema principale è il formato molto stretto ed allungato dell’header: da fotografo di lunga data tendo a “riempire” il fotogramma e pochissime delle mie foto si sono prestate a questo stravolgimento.

Tutte le foto che ho caricato (che non escludo in futuro di modificare e/o sostituire) provengono dagli scatti della vacanza della scorsa estate in Croazia e Bosnia.

Noi siamo il traffico

A pochi mesi dalla pubblicazione di Shift Happens, Critical Mass at 20 negli States, arriva nelle librerie la traduzione italiana: Critical Mass – Noi siamo il traffico (20 anni di Bike Revolution) a cura dell’editore Memori. L’edizione nostrana risulta “alleggerita” rispetto a quella USA di un buon terzo degli scritti, scelta editoriale volta ad evitare una levitazione eccessiva del prezzo di copertina.

Non altrettanto alleggerita, tuttavia, nei contenuti, dato che l’opera di scrematura è stata effettuata con cura certosina dall’editore assieme a Paolo Bellino aka Rotafixa, (un altro degli italiani che ha visto un suo saggio pubblicato nel volume) eliminando unicamente i contributi più ridondanti.

L’idea di Chris Carlsson, nel pubblicare il volume, era analizzare se e come le idee di Critical Mass fossero penetrate nel tessuto sociale e culturale, innescando cambiamenti nella nostra maniera collettiva di leggere, percepire ed interagire con la realtà. Ieri ho avuto l’ennesimo riscontro di quanto potente questa “vision” fosse fin dall’inizio.

Abbiamo infatti ripercorso, su proposta dell’amico Sergio Trillò, per l’ennesima volta l’anello del GSA – Grande Sentiero Anulare, in un’edizione speciale di Santo Stefano (GSSA)  a sole due settimane dalla “LACU Verbose Edition” di metà dicembre cui avevano partecipato più di 70 persone. Il dilemma di Sergio, nel riproporla, verteva sul timore di scarso afflusso, ma è stato completamente ribaltato dal risultato reale: più di cento partecipanti, un record assoluto per questo tipo di iniziativa.

Come si può guidare un gruppo di cento persone dentro una città (sia pure passando in prevalenza attraverso parchi urbani) piena di “imbuti” e rallentamenti? La risposta è semplice: non si può. L’unica alternativa è che il gruppo si guidi da solo, seguendo “quello che sta in testa” esattamente come si fa nelle Critical Mass, curando unicamente di non forzare l’andatura e di tener d’occhio non solo quelli che stanno davanti, per sapere dove andare, ma anche quelli che stanno dietro, per non perdersi pezzi del gruppo.

La sensazione che ho avuto ieri, pur senza nulla togliere alle capacità di guida di Sergio, maturate attraverso decine di escursioni nel corso degli anni, era che il gruppo letteralmente si guidasse da solo. Che una volta dato il là, ovvero creato l’appuntamento e l’aspettativa, il fatto che ci fosse o meno una guida “ufficiale” in testa al gruppo diventasse secondario. Di fatto l’aver partecipato, per molti dei presenti, alle Critical Mass mensili, ha significato far proprio quell’approccio libero e leggero.

Con tutti i distinguo e le differenze l’esperienza di ieri è stato un ulteriore passo nel colmare la distanza tra una Critical Mass ed un gruppo organizzato. La disponibilità della traccia GPS del percorso, oltre al fatto che molti dei partecipanti lo conoscessero già, ha fatto sì che anche “grumi” di ciclisti attardati potessero ricongiungersi al gruppone nelle rare soste, senza la necessità di mantenere un passo troppo lento ed uniforme che ci avrebbe rallentato eccessivamente.

Per me, in qualità di ideatore del percorso, un’ulteriore conferma del gradimento collettivo del tracciato ed un consolidamento nella speranza che un bel giorno questo itinerario possa diventare davvero fruibile all’intera cittadinanza, mediante una mappatura ufficiale, la presenza di segnaletica nelle svolte, attraversamenti semaforici dedicati ove necessari ed un po’ di pubblicità sui siti istituzionali.

Per ora accontentatevi delle foto dei fortunati coi quali l’ho condiviso ieri.

UPDATE (2013): il materiale aggiornato sul GSA è ora reperibile sul relativo blog.

Croazia e Bosnia, estate 2012

Sugli aspetti strettamente astronomici del viaggio in Croazia ho scritto più che abbondantemente nei due post precedenti, in questo lascio spazio alle immagini.

Partiti da Ancona, prima di approdare a Lastovo abbiamo visitato per un giorno Split (Spalato), passeggiando tra i resti del Palazzo di Diocleziano (oggi dichiarato “patrimonio dell’Umanità” dall’UNESCO), nei vicoli della città vecchia.

Quindi, dopo una settimana sull’isola, ci siamo recati a Međugorje, in Bosnia, dove sacro e profano si mescolano nell’usuale inestricabile viluppo, per approdare infine a Sarajevo, città sospesa tra mondi, culture e religioni diverse.

Lo slideshow in piccolo formato è incorporato a seguire, mentre per vedere le foto  ingrandite potete cliccare qui.

Raccogliendo i cocci

(UPDATE: dalla data di pubblicazione di questo post Dropbox.com ha modificato l’accessibilità ai files in modalità HTML, rendendo tutti i link interni all’articolo di nuovo irraggiungibili. Cercherò una maniera per rimetterli nuovamente online)

Sulla scomparsa del blog RomaPedala, inghiottito dalla dissoluzione della piattaforma che lo ospitava, ho avuto modo di scrivere una settimana fa un post che si concludeva con: “Tutto quello che ho potuto fare, in extremis e con qualche acrobazia, è stato di salvare almeno i miei post (…) A giorni conto di rimetterli on-line.”

In realtà di tentativi per salvare i contenuti del blog ne avevo fatti diversi, fin dal momento in cui è stato chiaro che Splinder sarebbe andato a fondo e l’owner del blog, SempreOltre, non avrebbe mosso un dito per salvare anni e anni di dibattiti e confronti.

Tentativi tutti naufragati, purtroppo, vuoi a causa di un template privo degli “agganci” necessari a rendere fattibile il backup del sito da parte di programmi automatici (nella fattispecie l’archivio delle mensilità), vuoi a causa della progressiva dismissione dei server e delle linee dati utilizzate da Splinder, che ne rendevano lentissima ed inaffidabile la navigazione.

Tuttavia, nelle sue ultime ore di “vita”, probabilmente a causa dell’abbandono in massa anche degli ultimi utenti, in un ultimo sprazzo di esistenza RomaPedala è ridiventato fruibile e navigabile, consentendomi di salvare in locale se non i passa tremila post complessivi quantomeno le poche decine da me inseriti.

Fatto ciò ho realizzato che potevo sfruttare le potenzialità di DropBox per rimettere on-line quella manciata di pagine web recuperate in extremis, e rimetterle a disposizione di tutti quelli per cui Romapedala aveva significato qualcosa. Si è reso necessario un discreto lavoro di editing per reindirizzare i link, ma alla fine il risultato non è disprezzabile.

Ovviamente ora le pagine sono “statiche”, quindi non è più possibile usufruire delle funzioni del motore di blog ed aggiungere ulteriori commenti… né, a mio parere, avrebbe senso. Per la navigazione si possono utilizzare le pagine di indice, partendo dalla meno recente che trovate a questo link. Le successive sono accessibili a fondo pagina, sotto l’ultimo post, alla voce: “Archivio delle pagine”, numerate da 1 a 11. Le pagine sono ordinate “a rovescio”, alla maniera dei blog, con i contenuti più recenti in alto e quelli più vecchi in basso. Dalle pagine di indice, cliccando sui titoli dei post, si accede alle singole discussioni.

Non tutti i post sono disponibili perché non tutte le discussioni sono state salvate, principalmente per limiti di tempo. Ho cercato di conservare quelle che mi sono parse più significative per argomento o numero di commenti. Parliamo di 70 su 109 complessive. Molte delle restanti restano comunque interamente leggibili direttamente nelle pagine di indice, o sono state ripubblicate su questo blog. Anche diverse foto sono andate perdute, rimosse dai server gratuiti su cui le avevamo inserite prima ancora della scomparsa del Blog.

Rimetter mano a questa parte importante del mio passato ha riportato in vita ricordi, situazioni e persone con le quali nel corso degli anni, per i motivi più disparati, ho finito col perdere i contatti. In questo centinaio di post si racconta una fetta di vita mia, strettamente intrecciata ad una fase di crescita della ciclabilità romana. È evidentemente un set limitato, che non rende giustizia della ricchezza e complessità dell’intero RomaPedala e delle sue varie anime, ma questo sono riuscito a fare e non di più.

Partendo a stilare un elenco delle cose più significative, ovviamente dalla prima pagina di indice, non posso trascurare, ovviamente, il primo post di presentazione (maggio 2006), quello sulle mie montagne, poi “Numeri” (il cui contenuto avevo completamente rimosso) e la nascita del Ciclopicnic (che in diverse “incarnazioni” è giunto fino ai giorni nostri, peraltro in ottima salute).

Nella seconda pagina troviamo l’immortale post dove schiattano i tacchini, preludio a future incomprensioni tra l’anima svacco/picniccara del sottoscritto e quella atletico/sportiva di SempreOltre e IlGallus, oltre ad un po’ di “locandine” del neonato ciclopicnic e l’inizio del racconto del Camino dé Santiago.

A pagina tre, dopo l’arrivo a Santiago, c’è la prima “stesura ufficiale” del G.S.A. – Grande Sentiero Anulare, oltre alla cronaca dell’inaugurazione del Parco di Centocelle (attualmente già in stato di semi abbandono…).

Pagina quattro è dominata dalla grancassa del ciclopicnic (temevamo che l’iniziativa avrebbe perso slancio e la “fomentavamo” a più non posso), ma ci sono anche l’inaugurazione del G.S.A. e la riscossa del Tacchino.

Pagina cinque inizia con l’inaugurazione della raffazzonata Ciclovia della Musica, mio primo tentativo di “citizen journalism”, contiene una bella riflessione sull’andare in bici (che copierò qui) e si conclude con la prima tracciatura on-line completa del G.S.A.

Da pagina sei segnalo solo il post sarcastico sulla nuova cartellonistica per le piste ciclabili, mentre del set successivo è interessante quasi tutto, dal reportage in tre parti sulla costruenda Ciclabile Togliatti (“Fornéscion style” 1, 2 e 3), la grande sfida tra Pierfranco e Pierfuffo (un giro in bici da me proposto in cui mi ero ritrovato da solo) per concludere con la Conferenza di Pace del 25 aprile.

Da pagina otto, con la primavera del 2007, tornano i Ciclopicnic ed io inizio una lunga riflessione in quattro parti (1, 2, 3, 4) sul superamento delle divisioni tra i ciclisti romani… parte del percorso che porterà, mesi dopo, alla nascita del forum CicloAppuntamenti (e ad ulteriori divisioni tra i ciclisti romani).

Pagina nove si apre col sopralluogo sulla Togliatti con i responsabili ATAC, prosegue con la cronaca della Ciemmona, avanza con un post deluso e sconsolato sull’incapacità di opporsi all’immobilismo della politica e finisce col lanciare l’idea di un happening sull’incidentalità stradale.

Di pagina dieci segnalo la discussione sulla diffusione del cicloambientalismo (foriera di ben 73 commenti, ben presto degenerati in rissa verbale…), quindi il mio primo abbandono (temporaneo) del blog, la nascente idea dei CicloKidz (idea poi sviluppata su CicloAppuntamenti) ed un weekend in Toscana con gli amici del Ciclopicnic.

In conclusione torna la mia voglia di ragionare, poco condivisa dai più (alla riunione convocata eravamo quattro gatti), l’incontro col X Municipio per il Biciplan comunale (che a cinque anni di distanza segna ancora il passo), la prima incarnazione di CicloAppuntamenti (un modesto calendario “crossover”) per finire col varo del Biciplan del X Municipio, praticamente redatto a quattro mani da me e Chiara Ortolani.

Da lì in poi le strade del sottoscritto e di RomaPedala prendono a divergere, continuerò ancora a leggere, con discontinuità, ed a commentare quanto inserito. Ma lo slancio iniziale del Blog, quello che solo un anno e mezzo prima mi aveva indotto a contribuire, cominciava già a scemare, fiaccato dalle continue polemiche, liti e dissapori, oltreché dall’ignavia dei referenti politici che sanciva la sostanziale inutilità dei nostri sforzi.

Abbiamo combattuto battaglie di civiltà e progresso con armi spuntate, ingenuamente ritenendo che le idee ragionevoli dovessero alla fine prevalere. Ci siamo sbagliati, e questo è tutto quello che ne rimane.