Uno dei dubbi che più m’inquieta, da sempre, riguarda l’obiettività delle mie analisi. L’obiettività non è facilmente acquisibile, non si può mutuare da libri che potrebbero essi stessi rivelarsi non obiettivi, va costruita un po’ alla volta in base all’esperienza del mondo. Il limite nella costruzione della propria obiettività dipende in larga misura dalle esperienze che si riescono a vivere.
La scarsa obiettività si manifesta, alle volte, in maniera del tutto imprevista. A me è successo poco più di una settimana fa, riguardo ad un argomento sui cui mi ritenevo ferratissimo: l’inquinamento luminoso. Il fatto è che ho ripreso da poco ad interessarmi di osservazioni astronomiche (dopo una lunga pausa di disaffezione dovuta solo in parte alla fatica di organizzare uscite osservative ed in misura ben maggiore al continuo peggiorare delle condizioni del cielo notturno).
Percorrere in macchina più di un centinaio di chilometri, arrivare in cima ad una montagna, lavorare per ore al freddo solo per constatare un costante e progressivo degrado della qualità del cielo stellato alla lunga fa passare la fantasia.
Per questo il mio bel telescopio da 8″ è rimasto inutilizzato per anni, ben chiuso dentro il suo scatolone, mentre alimentavo la mia antica passione con strumenti più modesti e trasportabili (un binocolo 10×50 ed un rifrattorino da 7cm). Alla lunga, però, da quella scatola non poteva che rivenirne fuori.
La prima occasione è stata a margine di un weekend in mountain bike dalle parti di Campo Felice: deludente. Hanno fatto seguito due nottate estive più didattiche che fattive intorno al lago di Chiusi, con cieli altrettanto scadenti. Quindi monte Nerone, di cui ho scritto ad agosto: un cielo stellato finalmente degno di questo nome… o quasi.
Quel “quasi”, ho scoperto in seguito, dipendeva tutto da me, ovvero dalla mia esperienza di cieli stellati maturata in quasi trent’anni di passione astronomica. Parecchia, direte voi. Eh, sì, “parecchia”, avrei detto anch’io.
Se non che, dopo essermi iscritto ad un forum di astrofili, ecco riemergere in una discussione la “scala di Bortle“, argomento di cui avevo spesso sentito accennare in passato ma che non avevo mai avuto occasione di approfondire. Breve ricerca sull’impagabile Wikipedia ed eccola lì, in tutto il suo splendore.
La “scala di Bortle” appare per la prima volta un articolo pubblicato nel 2001 sulla rivista americana Sky&Telescope, praticamente la più diffusa rivista al mondo sull’astronomia amatoriale. Visto il progressivo acuirsi del problema dell’inquinamento luminoso John E. Bortle, primo fra molti, propose un metro univoco per definire la qualità del cielo da cui si effettuano le osservazioni, in modo da poter fare confronti significativi tra i risultati ottenuti da osservatori e/o strumenti e/o siti diversi.
L’utilità di questa scala sta nella sua usabilità: anziché dare istruzioni su letture strumentali Bortle identificò una serie di oggetti via via più deboli da impiegare come marcatori per stabilire la qualità del cielo. Si comincia col definire la visibilità dei disegni delle costellazioni dai dintorni cittadini per finire con galassie, nebulose ed altre strutture evanescenti osservabili solo da siti molto buoni.
Cominciando a scorrerla dal basso troviamo: “Cielo cittadino (Bortle8): …luminescenza arancione, si può facilmente leggere…”, sì, questo mi è familiare, è quello che si può trovare in prossimità di casa mia, anche nelle zone relativamente lontane dai lampioni (sull’argomento è illuminante quanto divertente questo racconto del mio amico Gianni).
Andando a salire: “Cielo sub-urbano (Bortle5): …Via Lattea molto debole o invisibile in prossimità dell’orizzonte, appare slavata allo zenith…”. Cielo “sub-urbano”? È quello che si vedeva a luglio da Campo Felice, un altopiano a 1500 m.s.l.m. nel cuore dell’Abruzzo! E’ vero, L’Aquila è lì sotto, ma…
Resto spiazzato. Era senza dubbio un cielo scadente, peggiore della media per quel sito, ma da qui a definirlo “sub-urbano”, e a collocarlo a metà di una scala nel cui gradino più basso non sono riconoscibili nemmeno le costellazioni… sul momento mi sembra eccessivo, ma vado avanti a leggere.
“Classe 4: …M33 un oggetto difficile in visione distolta..”. Il cielo “entusiasmante” che avevo trovato sul monte Nerone, dalle descrizioni successive, si colloca a metà tra il gradino 3 ed il 4, per Bortle un cielo ancora mediocre. Ma allora com’è un cielo davvero buono?
“Classe 2: tipico sito veramente buio. Bagliore atmosferico debolmente percettibile all’orizzonte; M33 facilmente visibile ad occhio nudo (una settimana fa, dal Tancia, si faticava a distinguerla con un buon binocolo); evidenti strutture nella Via Lattea; nuvole visibili solo come ‘buchi’ oscuri; oggetti nei dintorni a fatica distinguibili come sagome scure contro il cielo; Molti ammassi globulari di Messier osservabili distintamente ad occhio nudo”
Eccolo qui: questo è il cielo che non ho mai visto. Quarantaquattro anni, di cui quasi trenta di passione per l’astronomia, e solo ora realizzo di aver osservato, fin qui, nient’altro che una vaga parvenza di cielo stellato. Apprendo che anche quello che ho sempre dato per buono è in realtà mediocre. E non basta, c’è ancora un gradino da salire.
“Classe 1: sito eccellente. Luce Zodiacale, gegenschein, banda zodiacale visibili; M33 visibile direttamente ad occhio nudo, le regioni di Scorpione e Sagittario della Via Lattea proiettano ombre evidenti sul terreno; Giove e Venere pregiudicano l’adattamento al buio; dintorni sostanzialmente non visibili.”
Questo non è solo il cielo che non ho mai avuto sopra la testa. È il cielo che non ho mai nemmeno immaginato possibile. Il cielo del deserto, degli altopiani aridi, dei luoghi lontani dalla “civiltà”. Uno spettacolo grandioso che miliardi di esseri umani non sono più in grado nemmeno di concepire, schiavi delle luci artificiali, della paura del buio, della logica dello spreco di risorse, o semplicemente vittime, come me, dei propri simili.
Un cielo che, non molto più in là di un secolo fa, era una ricchezza di tutti. Che ha ispirato poeti ed artisti, filosofi, mistici e scienziati, da sempre. Un cielo che in occidente non c’è più, non solo, di cui si è persa perfino la memoria.
Ora ho questo tarlo in testa, che non se ne vuole andare. Voglio quel cielo, foss’anche per un’unica volta nella mia vita. Voglio quell’esperienza, dovessi arrivare fino in Namibia! In modo da serbarne il ricordo, e per comprendere ciò che sono e di cui faccio parte. Polvere di stelle… e cenere alla cenere.