Dopo tanto discutere in rete sui comportamenti sregolati degli automobilisti, ieri ragionavo sul fatto che l’automobile, per indurre tali comportamenti, è un veicolo che di per sé produce frustrazione: per i costi (percepiti e non percepiti) e per la promessa inesaudibile di libertà e velocità veicolata dalla pubblicità, totalmente incongrua rispetto alla struttura ed alle funzioni degli agglomerati urbani.
L’acquirente investe in un desiderio di libertà ed autoaffermazione, in uno status symbol che racchiude in sé proiezioni di grandezza e promesse di autonomia negli spostamenti, ma quello che accade non appena il veicolo viene messo in moto è l’esatto opposto del desiderio di libertà che con esso si voleva realizzare.
Tempo pochi minuti e ci si ritrova imbottigliati nel perenne ingorgo urbano, chiusi dentro una scatola a ruote, soli, fermi ed impotenti. Se gli automobilisti non fossero completamente condizionati dal proprio contesto culturale si renderebbero conto di aver commesso un tragico errore, comprendendo di essere in trappola.
Al contrario si innesca un meccanismo di rimozione, di proiezione sul contesto delle responsabilità dei propri errori di valutazione. Non è l’idea stessa di muoversi in macchina in una realtà in cui altre centinaia di persone contemporaneamente pretendono di farlo, ed altre migliaia strangolano la viabilità per via delle proprie auto parcheggiate, no, è il “mondo crudele” ad infierire, ed in quanto tale va combattuto.
E come si “combatte” il mondo crudele se non rigettandone le regole ed affermando la propria identità proprio attraverso questa negazione? Ecco il fattore scatenante dei comportamenti criminogeni alla guida: ottemperare alle false promesse della pubblicità provvedendo da sé a realizzarle. Velocità, spregiudicatezza, autoaffermazione.
Ma se è questo meccanismo a produrre la condizione di criminale normalità che descrivevo tempo addietro, la causa prima non è legata solo ai comportamenti delle singole persone, bensì strutturale al mezzo. E’ l’automobile stessa, nelle sue proiezioni “mitiche” e nella sua scadentissima applicazione ai problemi della mobilità, a portare in sé il germe della frustrazione, del desiderio di rivalsa e del comportamento antisociale.
Forse se riuscissimo a ridimensionare, nell’immaginario collettivo, il peso di questo “feticcio tetragommato” (*) faremmo un primo passo in direzione dell’affrancamento dallo stress e dalle frustrazioni che recano con sé, come immediata ricaduta, le migliaia di morti, feriti ed invalidi causati dagli incidenti stradali.

“Automobili: mito e realtà” (illustrazione: Andy Singer)