Ieri si è consumata la proposta “Si salvi chi può 2015”, consistente in una pedalata da Carsoli a Spoleto, per una distanza di 135km. Mediamente una volta l’anno la follia prende il sopravvento su di me e mi spinge a queste percorrenze “estreme”. Il trucco consiste nello scegliere per andata e ritorno due linee ferroviarie diverse in modo da partire dall’Abruzzo e tornare, in questo caso, dall’Umbria. Nelle passate edizioni sono state proposte Avezzano-Terni (l’antesignana), Celano-Terni (in due varianti), Tagliacozzo-Terni, Carsoli-Poggio Mirteto e Carsoli-Fara Sabina (cucinate in diverse salse).
Il vantaggio di questi percorsi è che si sviluppano in zone montane a bassissima frequentazione, spesso costeggiando laghi artificiali, e che evitano il traffico letale ed asfissiante dei dintorni di Roma. Oltre a ciò lo spostamento in linea mostra ambienti via via diversi man mano che si procede. Non da ultimo, scegliere il punto di partenza sopraelevato rispetto a quello di arrivo regala del dislivello “in discesa” che consente di estendere il numero di chilometri anche a chi non disponga di un allenamento propriamente agonistico.
Tornando a ieri, una delle cose più belle è sicuramente stata l’espressione del tizio sconosciuto (ce n’è sempre uno) che, appena scesi alla stazione di partenza (Carsoli, in Abruzzo), sistematicamente domanda “Dove andate con queste bici?” e si sente rispondere “Spoleto”. Impagabile. Vedi dalla mimica facciale le rotelle del cervello che si mettono in movimento per cercare di collocare quel nome nei dintorni, senza riuscirci. Poi una volta compreso che Spoleto è in Umbria, una regione nemmeno confinante, si disegna il dubbio: “dicono sul serio o mi prendono in giro?”
A Carsoli la sosta d’obbligo prima della partenza è in un caffè-pasticceria, poi si prende l’acqua e ci si avvia intorno alle 9.30. I primi 20km sono in piano, sulla strada che costeggia il lago del Turano. Percorso bellissimo ma ormai per me stranoto, che ci “beviamo” a quasi 30km/h di media. Poi la breve salita e ridiscesa fino alla diga, quindi una nuova salita e discesa ben più consistente verso la piana Reatina.
Rieti è un po’ il punto critico dell’intero tracciato perché crocevia delle diverse strade che risalgono le vallate adiacenti, una piccola città con la sua inevitabile baillamme di traffico. Inevitabile ma che, fortunatamente, grazie alle ridotte dimensioni, riusciamo a lasciarci alle spalle in fretta. È ormai mezzogiorno quando affrontiamo il forno della piana Reatina, in compenso la velocità delle bici ci tiene almeno ventilati.
Dei sette alla partenza (io, Nicola, Carmine, Angelo, Claudia, Diego e il neo-acquisto Lapo) siamo rimasti in cinque. Un paio (Carmine ed Angelo) si sono sganciati a Castel di Tora con la frase “noi andiamo avanti così possiamo pedalare più lentamente”. Ci ricongiungeremo con loro solo sessanta chilometri dopo, a Piediluco, per il pranzo.
La piana Reatina termina con un breve scollinamento e raggiunge il lago formato dal fiume Velino che da vita alla cascata delle Marmore. Anche se il nostro itinerario piegherebbe verso nord appena prima del paese, decidiamo lo stesso di fermarci lì, in un piccolo parco ombroso in riva al lago, per pranzare tutti insieme. L’itinerario prevede come “via di fuga” la possibilità di tagliare direttamente su Terni, e per un motivo o per l’altro in ben cinque (su sette) scelgono di avvalersene.
Proseguiamo quindi solo io e Nicola, compagno di avventure dell’epoca in cui ero presidente dell’associazione Ruotalibera, dalla quale per motivi diversi entrambi ci separammo circa un decennio fa. Sotto un sole impietoso ci avviamo per lo svalico che conduce alla discesa verso Arrone e l’imbocco della Valnerina, strada meravigliosa che risaliremo per altri 25 chilometri, con continue soste ai fontanili ed una pausa gelato a metà.
In prossimità di Piedipaterno si devia verso sinistra per raggiungere il terzo ed ultimo svalico che ci apre alla lunga e meritata discesa verso Spoleto. La scommessa dell’intero giro consiste nel riuscire a percorrere questi ultimi 400 metri di dislivello in 9 chilometri con alle spalle già 110km percorsi dalla mattina. Un piccolo miracolo fisiologico che puntualmente si compie, aiutati dal fatto che intorno alle cinque del pomeriggio la strada è ormai in larga parte ombreggiata e il sole non cuoce più come all’ora di pranzo.
Sfinito e con la prospettiva di arrivare felicemente in stazione, la discesa finale è un piccolo nirvana di meritata goduria nel corso del quale realizzo, mentre traccio curve paraboliche giocando con la gravità e l’accelerazione centrifuga in equilibrio su due ruote sottili, che la bicicletta è per me da sempre una droga di natura psicologico-metabolica, fortunatamente del tipo che fa bene al fisico ed al morale (anziché distruggerli come avviene per quelle chimiche).
Alle 18.00 sono in stazione, dopo aver salutato Nicola che ha prenotato un alloggio a Spoleto in vista di una ulteriore pedalata in solitaria, il giorno successivo, dalla volta dei piani di Castelluccio. Il treno che mi riporterà a Roma è previsto per le 19.02. Mi resta un’ora di tempo senza far nulla. Chissà se mi ricordo ancora come si fa. A Terni salgono sul treno anche Claudia e Diego, reduci dalla scorciatoia post-prandiale e dalla visita alla cascata delle Marmore.
Un dubbio mi accompagna mentre pedalo ancora dalla stazione verso casa, dove mi attendono Emanuela, una doccia, la cena e poco altro: quanti litri d’acqua abbiano attraversato il mio corpo, procedendo dall’interno verso l’esterno, in una giornata tanto lunga, faticosa e calda. Credo di averne bevuta non meno di quattro o cinque litri, probabilmente anche di più.