Da tempo provo a ragionare sulle trappole linguistiche che forzano gli schemi di pensiero collettivamente condivisi. L’idea a cui sto lavorando, ormai da diversi anni, è che il mondo moderno non sia che il prodotto, in parte inevitabile, di culture fondate su una serie di fraintendimenti socialmente metabolizzati e collettivamente accettati.
Ho quindi provato a tracciare origine ed evoluzione di tali fraintendimenti, ma più andavo a scavare, più materiale saltava fuori. A un certo punto ho realizzato che questo lavoro di riorganizzazione dei significati mi stava allontanando da quanto socialmente accettato al punto da rendere incomprensibile quello che andavo spiegando [1], quindi ho dovuto fare un passo indietro [2] e ragionare sui processi linguistici.
La conclusione cui sono pervenuto è che le parole non possiedano significati propri, ma ne assumano in base a quello che la cultura condivisa vi costruisce intorno. In assenza di questa condivisione culturale, ogni singola parola possiede solo un ridotto ventaglio di significati, il che pone grossi limiti alla socializzazione di informazioni ed idee.
Ne consegue che il lavoro che sto portando avanti, consistente nella riassegnazione di significanti a termini di uso comune, rischia di essere vagamente compreso solo dalle persone che abbiano condiviso con me il percorso e la costruzione culturale sviluppata negli anni, mentre per altri risulterà un affastellamento di concetti forzato ed incomprensibile.
Quanto sopra vale come premessa per quanto vi accingete a leggere. Questo post serve da introduzione ad un discorso apparentemente semplice ma che, man mano che lo redigevo, ha preso ad espandersi, al punto da ridisegnare in una nuova prospettiva l’intero ambito delle relazioni sociali.
Dopo aver metabolizzato il concetto che la dipendenza sociale dalle automobili [3] non sia altro che l’esito finale di un costrutto culturale sviluppato ed alimentato dai mercati legati alla produzione di veicoli ed all’edilizia, ho finito col riconsiderare l’induzione di dipendenze culturali come l’aspetto chiave nello sviluppo di specifici processi economici [4].
Lavorando all’idea che l’induzione di forme di dipendenza rappresenti il motore di interi settori produttivi, se non direttamente dell’intero processo che definiamo economia, ho finito col percepire la stretta affinità che intercorre tra l’idea di una popolazione ‘dipendente’ da costrutti culturali e quella di un’umanità ‘domesticata’ [5].
Sono perciò ripartito dal lontano passato, analizzando il ruolo dei costrutti culturali [6] come collanti delle prime comunità umane (da notare come lo stesso termine ‘collante’ sia una similitudine adeguata per esprimere l’idea astratta di un qualcosa che unisce, che lega insieme,ma che anche vincola ed esclude altre possibilità).
All’interno di questo quadro interpretativo i suddetti costrutti culturali svolgono la funzione di recinti immateriali, all’interno dei quali le comunità umane domesticate hanno avuto modo di prosperare, in totale analogia coi recinti fisici impiegati nella domesticazione animale.
Nella prima parte dell’analisi vedremo quindi come tali costrutti culturali (mitologie, fedi ed ideologie sociali) emergono spontaneamente dai processi di stanzializzazione che hanno dato il via allo sviluppo delle comunità umane complesse.
In seguito, sempre seguendo la chiave di lettura dell’irreggimentazione collettiva operata a mezzo di costrutti culturali, ragionerò sui processi economici e sociali seguiti alla rivoluzione industriale, che hanno condotto alle società contemporanee ed all’attuale strutturazione sociale globale.
La finalità di questa analisi è offrire una chiave interpretativa in grado di dar conto di una ampia varietà di processi non espliciti che condizionano le nostre esistenze, orientano le nostre scelte e ci rendono facilmente manipolabili dalle entità indefinite cui si fa abitualmente riferimento attraverso l’astratta definizione di ‘mercato’.
Se non sono riuscito a spaventarvi fin qui, potete procedere nella lettura. (continua)
[2] Effetto Babele