Recentemente percorsi diversi, tutti legati alla scrittura, hanno finito con l’intrecciarsi. C’è da un lato questo libro, "Storie di fantasmi", un’antologia di racconti di scrittori anglosassoni vissuti più o meno un secolo fa, che ho da poco finito di leggere. Dall’altro il laboratorio che sto seguendo da un paio di mesi, incentrato sulla scrittura per il teatro. Infine un romanzo, già completo ed in fase di rifinitura, che mi è stato dato in lettura perché esprimessi un parere.
Comincerò col dire che il romanzo è molto bello, tuttavia non credo che sia il caso di scriverne una recensione prima ancora che sia pubblicato. Appena lo sarà, non mancherò di parlarne diffusamente. Però va detto che fa uno strano effetto sentirsi chiedere una valutazione: non mi ci identifico nella veste di letterato, in fondo continuo a vedermi come un disegnatore meccanico che incidentalmente tiri avanti un blog nei ritagli di tempo.
Mi stupisce, soprattutto, che sia un lavoro dannatamente buono, con un protagonista nettamente delineato, personaggi di contorno assolutamente credibili, una storia forte e ben strutturata che si dipana come un giallo su due binari temporali paralleli, fino alle incalzanti battute finali. Un racconto brillante ed intenso, che mi ha lasciato spiazzato e commosso.
Ed è a questo punto che entra in scena l’esperienza del laboratorio di drammaturgia, sebbene scrivere per il teatro sia decisamente diverso dal narrare una storia in un libro. Ci sono evidentemente molti più limiti di tempo, spazio, battute, ambientazioni, personaggi… Dev’essere tutto molto più essenziale e concentrato per risultare efficace in una rappresentazione scenica che può durare, al più, un paio d’ore.
Tuttavia questi maggiori vincoli impongono una disciplina estrema per quanto riguarda l’economia delle battute, delle scene, delle situazioni. E perciò, di fatto, l’unico vero appunto che sono riuscito a muovere alla storia che mi è stata sottoposta riguarda dei piccoli scivolamenti di stile, qua e là. Qualche frase poco efficace, delle parti di contorno leggermente meno definite, dettagli sostanzialmente ininfluenti ma che stonano con l’efficacia del resto.
Il successivo aggancio con le storie di fantasmi del secolo scorso è legato allo stile di scrittura. La suddetta antologia, curata da Fruttero e Lucentini nel 1960, copre diversi autori: da Oliver Onions, di cui ho già scritto, ad Arthur Machen, fino a H. P. Lovecraft. Autori diversi, stili diversi, modi diversi di declinare la paura del sovrannaturale, ma tutti accomunati da una straordinaria qualità nello scrivere, capace di attraversare indenne molti decenni di mutazioni forsennate nel gusto dei lettori, di esplorazioni stilistiche radicali, dell’avvento e declino di interi generi letterari, per approdare ai giorni nostri intatta nella sua capacità di raccontare.
Colpisce, e quasi impressiona, tale facilità nell’agganciare noi lettori, nel trascinarci con poche e sintetiche descrizioni in un altro luogo, in un altro tempo. La capacità, rara, nel farci appassionare alle vicende impossibili di personaggi immaginari, come se si svolgessero qui ed ora. Capacità che si fatica a riscontrare in molti degli autori contemporanei, che paiono per ciò incapaci di far tesoro dell’eleganza del passato.
A cosa si può imputare questo processo? Quest’incapacità non tanto di progredire oltre le vette del passato, quanto perfino di avvicinarvisi? Questo declinare nella qualità di ciò che si scrive e si legge? Difficile, e probabilmente improprio, tentare di indicare un unico "colpevole".
Rispetto a qualche decennio fa l’accesso alla lettura è sì più facile per tutti, ma per contro la crescente ed invasiva concorrenza della televisione e di altre forme di intrattenimento ha fatto si che si legga molto meno di prima. Se da un lato il declinare della lettura come esercizio "alto" l’ha portata progressivamente verso le fasce di popolazione meno acculturate, dall’altro il proliferare di letteratura "popolare" dallo stile spesso scadente ha prodotto un abbassamento della soglia di percezione relativa alla qualità dello scrivere.
In soldoni ci siamo progressivamente assuefatti a stili di scrittura molto poveri e rudimentali, anche e soprattutto nei "bestsellers", fino al punto di non avere più pretese in tal senso. Esattamente il classico cane che si morde la coda: i lettori abituati a lavori grossolani non invogliano gli editori a proporre opere più rifinite, e l’offerta massiva di scritti scadenti (pur se basati a volte su ottime idee) è per forza di cose statisticamente superiore a quelli di qualità, il che non può che peggiorare la situazione.
Come evento transitorio di questo processo globale, la cui futura evoluzione non è al momento prevedibile, accade che un anonimo blogger come il sottoscritto, selezionato in base a non meglio precisate affinità e sicuramente sopravvalutato quanto a capacità si ritrovi a dover portare un contributo critico una "opera nuova" generosa ed emozionante.
E, come fosse una piccola gemma appena estratta, a non saper spiegare dove e come tagliare e lucidare per portarla alla perfezione finale. Ma l’autrice è giovane, il talento c’è, e già così la storia è davvero spettacolare (e chissà poi se valga davvero la pena di perder tempo a perfezionare quello che è già buono, in considerazione del fatto che la maggior parte dei futuri lettori di questi "preziosismi" nemmeno se ne accorgerebbe).
E per finire, Yod, un grande "in bocca al lupo!" (*)
"…so keep on rockin’ girl.
Yeah! Keep on rocking!"
(*) …e non mi rispondere "crepi", che di lupi già ce n’è pochi!