“Perché gli automobilisti ci odiano???” Questa domanda è stata sollevata, qualche sera fa, nel corso della presentazione del libro “No Bici” di Alberto Fiorillo. Nessuno dei presenti ha saputo o voluto rispondere all’interrogativo ed io non me la sono sentita di intervenire dato che ero appena arrivato (in ritardissimo), sudato ed affannato per aver attraversato Roma due o tre volte in sella alla bici. Ma la domanda merita una risposta, provo a darla qui. Gli automobilisti “odiano” i ciclisti per tre fondamentali motivi.
1 – Siamo belli
Ormai se ne è accorta anche la pubblicità: la bicicletta viene usata dalle case di moda per veicolare uno stile di vita “fashion”, e mostrare biciclette accanto ad attori e modelli invariabilmente bellissimi crea un collegamento automatico.
In realtà i ciclisti non sono più o meno belli degli altri, ma il fatto in sé di andare in bicicletta attiva negli altri la percezione di modelli di “bellezza” ben più profondi ed archetipici di quelli superficiali, laccati e stucchevoli elaborati da cinema e televisione.
Tutta la nostra evoluzione sociale e culturale non ha potuto cancellare gli istinti basici della specie umana, sappiamo ancora riconoscere il valore della forza fisica, della prontezza di riflessi, dell’agilità, dell’equilibrio, e non possiamo resistere alla fascinazione dell’intelligenza necessaria a gestire queste capacità in un ambiente ostile e rischioso. La “bellezza” dei ciclisti urbani non è quindi un dato puramente estetico (anche se l’esercizio fisico aiuta a conformarsi ai modelli estetici dominanti), ma qualcosa di molto più profondo, viscerale e percepito ad un livello del tutto istintivo. Fascinazione capace, come ogni forma di esibizione fisica, di ingenerare meccanismi inconsci di rivalità.
2 – Siamo liberi
Il senso di libertà è forse il messaggio chiave al quale le pubblicità martellanti ed invasive delle case automobilistiche sono solite legare i propri prodotti. A ragionarci su un attimo, una forma di libertà ottenibile solo chiudendosi all’interno di una scatola (a ruote) fa abbastanza ridere, eppure l’innegabile successo globale di questo tipo di comunicazione testimonia sicuramente due cose: da un lato una straordinaria capacità di manipolazione delle idee da parte dei pubblicitari, dall’altro una altrettanto straordinaria e simmetrica incapacità, da parte di molti, di articolare una semplice analisi.
Ma è solo dopo aver effettuato l’acquisto che l’automobilista inizia a percepire (e contemporaneamente rimuovere) quale sia il rovescio della medaglia: spese su spese (carburante, bollo, assicurazione, manutenzione, multe…), elevati livelli di stress personale (l’attenzione alla guida, alla segnaletica, la convivenza in spazi urbani sovraffollati di altri veicoli, le code e i rallentamenti, gli inevitabili piccoli incidenti, l’assenza cronica di spazi di sosta, ecc, ecc…), e da ultimo la sensazione sotterranea di essere caduti in trappola ed essersi lasciati fregare. Niente, comunque, che non possa essere curato con una buona dose serale di rimbambimento catodico, farcito di automobili nuove e luccicanti che si muovono libere in scenari aperti e spettacolari e che nel far questo non mancano di sedurre splendide donne.
In questo meccanismo perfettamente oliato di condizionamento mentale ed autoasservimento il ciclista rappresenta il classico granello di sabbia in mezzo agli ingranaggi. Perché l’andare in bici illustra, letteralmente, l’essere fuori dalla “scatola (a ruote)”, ovvero la differenza tra dentro e fuori. Nel vedere un individuo (della propria stessa specie) scorrazzare libero all’aperto, l’automobilista diventa istintivamente consapevole della propria condizione di costrizione.
Oltre all’assenza di un “carapace” metallico, i ciclisti godono di altre forme di libertà derivanti dalla loro leggerezza e dal minimo ingombro dei propri veicoli: potendo utilizzare per i propri spostamenti spazi che agli automobilisti sono preclusi. Di fatto nella circolazione sulle strade i ciclisti subiscono un’organizzazione viaria resa obbligata dalla presenza stessa delle automobili, e sono soggetti a vincoli ed imposizioni che in assenza di automobili cesserebbero semplicemente di aver senso (i semafori, tanto per dirne una, o i sensi unici…).
Non stupisca quindi se molti ciclisti decidono di ribellarsi a queste vessazioni legalizzate praticando modalità “alternative” di utilizzo delle strade e degli spazi condivisi. Modi d’uso “anarchici, sregolati ed illegali” solo se letti in un’ottica totalmente autocentrica (come quella purtroppo condivisa dalla maggior parte della popolazione italiana), ma del tutto sensati e coerenti con le specificità di veicoli strutturalmente e concettualmente diversi.
I ciclisti sono liberi anche e soprattutto mentalmente: liberi dai condizionamenti sociali, dal bisogno di apparire, dal conformismo. Il ciclista sfida la mentalità imperante.
3 – Siamo felici
Le precedenti due affermazioni non possono che portare alla terza ed ultima constatazione: i ciclisti sono mediamente meno sacrificati e quindi più felici degli automobilisti. Chi sceglie di andare in bicicletta lo fa deliberatamente, perché gli/le piace, e normalmente la soddisfazione di fare qualcosa che piace traspare nei volti e nel “linguaggio del corpo”. I ciclisti che si incontrano sulle strade sono in genere sorridenti, o al più concentrati. Non vedrete mai un ciclista schiumare di rabbia impotente perché bloccato in un ingorgo: c’è sempre un marciapiedi, una via secondaria, un passaggio pedonale in cui svicolare, magari bici a mano. I ciclisti sono tali perché non si lasciano intrappolare, nemmeno mentalmente.
Questo per quanto riguarda le mie risposte alla domanda del titolo. In realtà, poi, tecnicamente quello di cui stiamo ragionando non è nemmeno odio. Ciò che gli automobilisti proiettano su di noi è solo la loro stessa frustrazione. La percezione (inconfessabile) di essere “dalla parte sbagliata”, di aver operato scelte di vita discutibili, di stare sporcando, inquinando, consumando risorse senza neppure ricavarne un reale beneficio.
Studi condotti sulle popolazioni cinesi esposte al recente boom economico dimostrano che a fronte di una maggior ricchezza non si registra un corrispondente aumento nella felicità delle popolazioni, che al contrario appare declinare. Pensate a questo la prossima volta che girerete la chiave per avviare la vostra automobile, o vedrete un ciclista (o una ciclista) che vi sorpassa con aria allegra e sbarazzina. Pensate che tutto potrebbe essere diverso. Anche per voi.
