Con altri occhi

La nebulosa Eta Carinae


Ci sono cose, nella vita, che ti prendono alla sprovvista anche se te le aspetti. Sei lì, che non credi a quello che vedi, ed anche se una vocina in fondo alla testa continua a dire: "beh, sapevi già che questa cosa era fattibile, era solo questione di tempo…" gli occhi si sgranano, la bocca si socchiude in un’espressione ebete e si ha la sensazione prepotente di trovarsi al cospetto di un piccolo miracolo.

Come termine di paragone per questo tipo di esperienza posso rievocare la sensazione che provavo, da bambino, entrando nelle grandi cattedrali di Roma. Il venir circondato da affreschi e dipinti, i colori, le forme, mi lasciavano stordito e boccheggiante, col naso all’insù, perso nei sogni dei grandi pittori del ‘500.

In età più tarde mi è capitato di veder accendersi la fantasia per i maestri della fotografia a colori, primo fra tutti Ernst Haas, un genio in grado di interpretare la magnificenza della natura, e restituirne l’ammaliante fascinazione visiva.

Oggi, dopo aver visto così tanto, con un cervello strutturato per analizzare, dissezionare ed organizzare tutto quello che osservo (come diversamente non può essere la mente di un fotografo, seppur dilettante), fatico a trovare stimoli visivi altrettanto sconvolgenti. Eppure a volte accade.

L’immagine che correda questo post l’ho trovata sul sito "Astronomical Photograph Of the Day", che ho preso a frequentare da qualche mese e non manca di proporre, con cadenza quotidiana, immagini che mi tengono legato all’antica passione per l’astronomia ed il cielo stellato.

In realtà quella piccola "cartolina" non è altro che un frammento, oltretutto a scala molto ridotta, dell’originale: un fotomosaico di immagini riprese a lunghissima posa dall’Hubble Space Telescope, elaborate in falsi colori. Cliccandoci sopra si accede ad una versione a scala molto maggiore e di dimensioni assolutamente notevoli: 6000×2900 pixel (più di 7Mb per una singola immagine).

Visualizzandola in scala 1:1 occupa una superficie che è circa dieci volte quella del mio schermo (che pure è notevole!), e può essere spostata e "navigata" per mezzo del mouse. Beh, ad osservarla mi ci son perso!

È come vedere all’opera un grande artista, come se Michelangelo ed Haas si fossero fusi per consegnarci una rappresentazione dell’immensità e della sconfinata meraviglia del Paradiso dantesco, come occhi umani non potranno mai osservarlo. Una sensazione quasi mistica, che per un ateo come me è abbastanza inusuale.

Ma non è proprio questo che ci affascina nell’alta tecnologia delle immagini: la possibilità di vedere l’Universo con occhi sovrumani, di ammirare cose, pur esistenti, che i nostri sensi non potrebbero mai osservare e la fantasia non è in grado di immaginare?

E, in fondo, il telescopio orbitale Hubble non è altro che un gigantesco occhio meccanico in grado darci la sensazione di poter osservare l’Universo con gli occhi di Dio.

Ti vogliamo bene, Foer!

copertina/><br/>By <a href=Dopo la rivelazione di "Ogni cosa è illuminata" era impensabile non leggere anche il secondo lavoro di Jonathan Safran Foer: "Molto forte, incredibilmente vicino". Lavoro complesso, compatto, meno vario e dispersivo del precedente, ed il cui tema è lo sconfinato dolore derivante dalla perdita insensata dei propri cari, e la fatica dell’elaborazione del lutto.

Foer si cala nei panni di un ragazzino di nove anni, Oskar Schell, che dopo aver perso il padre nell’attentato alle torri gemelle tenta con tutte le sue forze di mantenere un legame con il genitore attraverso una ricerca che lo porterà ad attraversare tutta New York e ad incontrare diversi dei suoi bizzarri abitanti.

Parallelamente a questa storia si sviluppa quella dei nonni, ebrei tedeschi miracolosamente sopravvissuti alla devastazione del bombardamento di Dresda ed anch’essi segnati per sempre dalla perdita delle persone più care.

La scrittura di Foer ha la straordinaria capacità di dar corpo ed anima ad una disperazione sorda, continua ed implacabile, e ci fa entrare nei meccanismi mentali (strategie molto prossime al confine della follia) con cui i suoi personaggi tentano coraggiosamente di farsi forza e sopravvivere allo strazio dell’assenza.

Ma questo libro è anche una requisitoria durissima nei confronti della follia della guerra. Non di un semplice ed isolato "atto di terrorismo", come quello dell’11 settembre che dà inizio alla vicenda, ma di tutte le guerre che si abbattono sulle popolazioni inermi.

Non è un caso se l’attentato alle torri gemelle viene idealmente accostato al bombardamento di Dresda ed all’atomica di Hiroshima, entrambi atti di rappresaglia nei confronti di popolazioni civili inermi (ed entrambi, per una scelta dell’autore che pare non casuale, effettuati per volontà del governo degli Stati Uniti).

Un libro toccante, che mostra quanto in profondità lo straordinario talento di Foer riesca a scavare nell’animo umano. E ad insegnarci l’importanza assoluta di certe piccole cose. Come il dire "ti voglio bene" alle persone che amiamo.

"Ti voglio bene, Emanuela!"

Making Movies

Il filmato che potete vedere qui sopra è stato realizzato per pubblicizzare l’appuntamento di fine maggio-inizio giugno noto come “Ciemmona“, ovvero una grande “Ciemme” (dove CM sta per Critical Mass). La Massa Critica Interplanetaria che, a breve, invaderà Roma.

Sono ormai quattro anni, e questo sarà il quinto, che a Roma si svolge questo evento, una sorta di “festa dell’andare in bicicletta” spontanea e del tutto non gestita. Non esiste un “comitato organizzatore” formalizzato, né un percorso predefinito, né si sa quanta gente parteciperà, è un “happening”, accade e basta.

Tuttavia c’è stato, direi inevitabilmente, un lavoro di promozione e pubblicizzazione dell’evento, o meglio dei vari eventi, ché le proposte riguardano ben quattro giorni distinti. Sono stati prodotti ed affissi manifesti, stampati e distribuiti volantini, pubblicate pagine web, lanciati appuntamenti, come puntigliosamente documentato sul sito Ciemmona.org.

Il mio “pezzetto” di impegno ha riguardato la realizzazione di questo video, immaginato per sfruttare il “passaparola” spontaneo di internet. Partendo, inutile dirlo, da una personale esperienza di “videomaker” del tutto inesistente (ma non è la prima volta che mi invento un mestiere che non conosco…).

Tutto è nato dalla somiglianza del mio amico e ciclista Giuseppe, l’attore del video, con Nanni Moretti. Scherzando abbiamo pensato di rifare alcune delle scenette più famose dei suoi film, e la scelta è caduta sulla “telefonata” di “Ecce Bombo“, in cui compare la famosa battuta “…mi si nota di più se non vengo?” (per chi non la ricordi, è visibile QUI)

Abbiamo registrato la parte parlata con una fotocamera digitale (sic!), in bassa definizione, dal momento che il progetto prevedeva la collocazione su YouTube, che del suo non offre una gran qualità. Poi, pian piano, abbiamo aggiunto gli spezzoni girati lo scorso anno, i titoli di coda, ed alla fine la musica. Il montaggio è stato fatto da Paolo “Cybertuareg“, la musica originale è di Luciano, le foto dei titoli sono mie.

Peccato solo che la “produzione” abbia richiesto tempi del tutto non preventivati, portandoci a “rilasciare” il filmato un po’ troppo tardi. Magari la prossima volta riusciremo a fare di meglio.

Riluttanze

Se c’è una cosa che distingue i giovani dagli anziani (al di là, ovviamente, delle condizioni fisiche) è la capacità di sperimentare cose nuove. I giovani tendono a correre più rischi, ad esplorare, a mettersi in gioco. Gli anziani sono in genere più cauti, cercano di conservare le cose che hanno accumulato nel corso della vita e dalle quali si sentono "definiti".

Oggetti ed abitudini demarcano i confini della psiche, li usiamo per tracciare il discrimine tra ciò che è "me" e ciò che è "non me". I giovani hanno una percezione meno netta di questi confini, una definizione meno precisa del "sé", e sono propensi ad espanderli fin dove possibile, correndo anche dei rischi. Gli anziani no.

Da questa mia "età di mezzo" posso osservare l’evoluzione nei comportamenti nei coetanei, e scoprire i piccoli segnali di trasformazione che lentamente marcano il passaggio tra l’età giovanile, quella della scoperta, e l’età adulta, quella della "consolidazione". Sono per solito cose minime, e quasi sempre negazioni.

"Non posso fare questo gesto", oppure: "non mi sento più portato a prestare le mie cose"; o ancora: "sono troppo stanco e domani mi aspetta una giornataccia". In genere si è consapevoli di quando si comincia a fare una cosa nuova, ma non lo si è altrettanto di quando si smette di fare una cosa prima abituale.

È vero anche che il cercare di andare "oltre" raramente lascia indenni: spesso si resta feriti, e le ferite si accumulano nel tempo. Avvicinandoci ai limiti della nostra esperienza si incontrano cicatrici. Alcune leggere, che ci provocano solo disagio, altre più profonde, che ci sbarrano il passo.

Queste nostre nuove "barriere" vengono archiviate solitamente sotto l’etichetta "esperienza", e le consideriamo una forma di auto-protezione. Ma sono anche segnali di una progressiva "perdita di slancio", di opportunità che ci neghiamo, di soglie che non riusciremo più ad oltrepassare, se non a prezzo di grande fatica.

Da giovani si ritiene di poter compiere gesti anche sconsiderati a cuor leggero, perché la nostra definizione di "sé" è sufficientemente vaga da portarci a ritenere che le conseguenze dei notri gesti non la influenzerà più di tanto. Da adulti sappiamo già che la nostra definizione di "sé" dipende da tanti, troppi, fattori concomitanti, e diventiamo via via meno inclini al cambiamento.

L’idea che abbiamo di noi stessi si irrigidisce, ci immobilizza ed infine ci imprigiona.

Benvenuto, Leonardo


Ci sono eventi di fronte ai quali possiamo solo arrenderci, buttare alle ortiche il nostro scafandro di pessimismo e concederci il lusso di essere felici. Questo meraviglioso neonato si chiama Leonardo, compie oggi una settimana ed io ne sono il fortunato zio.

Sarà anche scritto nel mio DNA, saranno reazioni istintive della specie umana, ma di fronte ad una creatura così indifesa vengo inevitabilmente invaso da un senso di tenerezza e dal desiderio prepotente di proteggerlo dal Mondo.

E mi domando: in che Mondo vivrà questo bambino? Come sarà la sua adolescenza? Cos’avrà intorno nel tempo della sua maturità? Cosa vedranno i suoi occhi ormai anziani dopo che i miei saranno ormai spenti da tempo?

Già oggi, a volerli leggere, i segnali sono preoccupanti: mutamenti climatici, esaurimento delle risorse, deforestazione e desertificazione, lo spettro della fame. Consegnare un bambino ad un futuro così incerto richiede una buona dose di incoscienza.

Ma l’Uomo, con tutto il suo sapere, rimane un animale fondamentalmente incosciente, capace nonostante tutto di sperare nel futuro, e di aggrapparsi a questa speranza come ad una zattera. Leonardo avrà l’occasione di vivere la sua vita, qualunque essa sia, e sarà comunque l’occasione più fortunata ed incredibile che chiunque possa mai sperare di avere.

Ed avrà anche accanto, voglio sperare, questo zio un po’ "strano", appassionato di mondi improbabili e depositario di un sapere tanto capillare ed onnivoro quanto superficiale.  Uno zio che cercherà in tutti i modi di aiutarlo a comprendere ciò che lo circonda, e a diventare una persona buona e giusta.

Chissà se poi, da grande, l’ex neonato leggerà mai queste riflessioni, e cosa ne penserà…

Rari esercizi sul linguaggio

In un commento al post precedente Manfred ne apprezzava il titolo. Non è nato da sé, l’ho scelto perché echeggiava uno dei miei ultimi, rari, "esperimenti sul linguaggio" (scusate, ma non mi sento ancora di definirli poesie), nato con un titolo simile: "Luogo Fuori Tempo" (ed anche questo non è originalissimo, echeggiando il titolo della traduzione italiana di un romanzo di Philip K. Dick, "Time out of joint", diventato nel nostro paese "Tempo fuori luogo").

Lo inserisco nel "flusso di idee" del Blog, un po’ per farvene partecipi, ma soprattutto perché in fondo rappresenta abbastanza il senso di straniamento che permea questi ultimi mesi.

Luogo Fuori Tempo

la strada che percorro
non desta più attenzione
I luoghi son gli stessi
di ieri e ieri l’altro
minime differenze
si accumulano lente
le cose troppo note
non si notano più.

Eppure tutto cambia
impercettibilmente
un giorno dopo l’altro
nel lento macinare
di sogni ed illusioni,
speranze disattese,
lo scorrere del tempo
produce assuefazione.

Assisto alla mia vita
seduto nel presente
lo sguardo nel passato
futuro alle mie spalle
la osservo in diagonale
colgo fatti slegati
la mente li riassembla
in forme sconcertanti.

È questo già il mio tempo
lo abito distratto
l’osservo spaesato
mi muovo con cautela
la macina mi morde
mi sposto obliquamente
provo a crearmi spazio
nel luogo fuori tempo.

(11 marzo 2008)

Uomo fuori tempo

Questo lungo ponte del primo maggio l’ho passato in parte con degli amici, a Fondi, in parte con Emanuela, in Toscana. Da un lato sentivamo entrambi la necessità di un po’ di relax, dall’altro la scelta di rinunciare all’auto per spostarci in bici, unita ad alcuni altri fattori contingenti, ha reso il tutto più faticoso e stressante di quanto auspicato.

Tornare in Val d’Orcia dopo più di dieci anni è stato, a suo modo, un gesto difficile. Troppo bello il ricordo di quest’angolo di mondo, troppo il degrado cresciuto ovunque. Il timore di ritrovare anche qui le deturpanti villette a schiera apparse in ogni dove me ne aveva tenuto lontano per molto tempo. Oltretutto le notizie su Monticchiello non erano rassicuranti.

Invece, dopo diversi chilometri decisamente poco piacevoli tra Chiusi e Chianciano Terme, immersi nel viavai automotoristico dei turisti "del ponte", l’affaccio sulla valle mi ha un po’ rincuorato: le dolci colline coperte di grano e ulivi, punteggiate di casali, sono ancora lì, e Pienza continua ad affacciarsi su uno degli angoli più verdi d’Italia.

Certo, nonostante il patrocinio dell’Unesco, molte cose sono cambiate. Praticamente la totalità dei casali è stata convertita in agriturismo, e l’andirivieni di vacanzieri, in questi giorni, era continuo. Pienza è diventata una delle ormai tante "città museo", con le stradine intasate di turisti e piena di botteghe di souvenir senz’anima. Una sorte probabilmente non fra le peggiori, ma ugualmente poco desiderabile.

E già questo è un punto su cui soffermarsi a riflettere: uno dei maggiori richiami turistici è oggi la visita alle soluzioni urbanistiche del 1400, rispetto alle quali gli standard moderni gridano vendetta al cielo. Invece di città, piazze, spazi pubblici e privati sapientemente intersecantisi abbiamo oggi quartieri dormitorio, villini unifamiliari, centri commerciali ed immensi stradoni perennemente intasati di traffico. Esattamente il contrario di quello che vorrebbe il semplice buonsenso.

Domenica sera, rientrati a casa, la puntata di Report su Rai3 ha, per così dire, "chiuso il cerchio", mostrando senza veli (ad elezioni ormai perse), le vergogne degli ultimi quindici anni di amministrazioni di centro-sinistra a Roma. L’agro romano regalato all’ingordigia di pochi palazzinari, sterminate periferie prive di collegamenti e servizi essenziali, un disastro urbanistico annunciato e scientemente realizzato.

Queste "nuove centralità" sono una bomba innescata, che probabilmente ci scoppierà in mano nei prossimi anni, decine di migliaia di persone sono state illuse dalla bolla immobiliare, hanno acquistato case prive di collegamenti e trasporto pubblico, si sono condannate da sé a code interminabili in automobile, ore di vita bruciate e frustranti, col prezzo della benzina in costante aumento.

Le banlieu parigine dovrebbero averci insegnato che tutto questo disagio, presto o tardi, in qualche maniera finirà con l’esplodere. Le colpe dei padri, da che mondo è mondo, ricadranno sui figli.

Nel frattempo, chi può, se ne va in vacanza in Toscana, ammira senza comprenderla la qualità della vita altrui e non ha, probabilmente, le risorse culturali per fare un banalissimo collegamento tra l’urbanistica "spontanea" fatta di case che, in passato, venivano costruite per sé e per i propri figli e la follia speculativa che li rinchiude quotidianamente in assurdi palazzoni di cemento armato, o in villini lussuosamente isolati dal mondo.

Quanto a me, osservo tutto questo e mi sento sempre più estraneo, come un lemming che provi a muoversi controcorrente ma ugualmente trascinato avanti dagli altri nella collettiva corsa suicida(*). Stavolta, nel percorrere in bici strade letteralmente infestate dalle automobili e motociclette di un popolo stolidamente vacanziero, mi sono sentito profondamente a disagio. Ho colto l’assoluta inutilità del mio oppormi agli eventi.

Sono ormai un uomo fuori dal mio tempo, di cui non condivido i sogni grossolani, i sentimenti stereotipati, le aspirazioni vuote e banali. La mia unica speranza consiste nel continuare a trovare spazi "altri" in cui collocarmi, esistere e resistere, dimensioni distinte da questo ormai insostenibile "tempo presente".

Che poi, a guardarmi indietro, in fondo è quello che ho sempre fatto. Ciò che cambia, con gli anni, sono solo la consapevolezza e la disillusione.

(*) P.s.: anche questa storia dei lemmings che si suicidano in massa era inventata, ma una metafora migliore non mi viene, sebbene il passato dell’umanità sia in fondo pieno di scelte folli e suicide.