Di graffiti e granchi

Oggi pomeriggio, l’idea relativamente innocente di pubblicare un paio di scatti presi al volo si è trasformata in un interessante mini-esperimento sociale. La passione per la fotografia mi accompagna ormai dalla tarda adolescenza, anche se si è molto attenuata nel corso degli anni. Ho iniziato col bianco e nero e i bagni chimici della camera oscura, ho proseguito con le diapositive per approdare infine all’immagine digitale, con le sue quasi infinite possibilità di controllo. Nell’arco di diversi decenni, però, la motivazione mi è andata progressivamente calando, cosicché ormai mi limito a scattare quando proprio i miei occhi mi raccontano qualcosa di eccezionale.

L’eccezione, oggi pomeriggio, si è verificata sotto il Ponte della Musica, per ben due volte. Prima sotto forma di un ‘graffito’ insolitamente fresco e piacevole, davanti al quale ho posizionato la mia biciclettina pieghevole per uno scatto che raccontasse un po’ la vitalità delle periferie urbane. Il commento a questa foto è consistito di una strofa della canzone “Under the bridge” dei Red Hot Chili Peppers, per rimandare sia la collocazione (il ponte sovrastante), sia una generica cultura del disagio giovanile che la canzone racconta. Una serie di citazioni probabilmente troppo ardua da mettere in fila.

Subito dopo ‘l’eccezione’ ha assunto la forma di un equilibrio di linee geometriche generate dall’architettura del ponte (queste ultime totalmente imbrattate da ‘tag’ e graffiti di nessun valore estetico). In questo caso le linee convergevano su un centro immagine ‘vuoto’ che ho riempito con una figura in bicicletta, chiedendo a mia moglie la cortesia di passarci in bici. Questa seconda foto è stata pubblicata con l’unica didascalia “wife”. Al di là della composizione, l’immagine mi rimanda l’idea di un conflitto tra le architetture possenti e la fragilità umana, un conflitto in cui l’umano non rinuncia alla propria irriducibile libertà, muovendosi fra spazi ostili, disinvoltamente, con un mezzo che non offre alcuna protezione (la bicicletta).

Questi, almeno, sono gli echi culturali che le due foto muovevano in me. Le ho pubblicate senza malizia o secondi fini che non fossero quelli di offrirle agli sguardi ed ai commenti dei miei amici, senza preoccuparmi troppo di lasciarle visibili pubblicamente. Inaspettatamente lo spazio dei commenti ha iniziato a popolarsi di insulti da parte di perfetti sconosciuti, finché uno dei miei contatti mi ha segnalato che le due immagini erano diventate oggetto di un post da parte di una pagina Facebook denominata Romanderground, che deplorava la pubblicazione con questi toni:

“Queste sono le foto che Marco Pierfranceschi, Assessore ai Trasporti, Ambiente e DECORO URBANO (!) del VII Municipio di #Roma, adora pubblicare sul suo profilo Facebook… La sua Brompton appoggiata su un muro completamente vandalizzato con tanto di scritta ACAB. Se volete fargli notare che forse questo non è un comportamento adatto per un assessore al Decoro Urbano, potete farlo commentando il suo post qui: https://www.facebook.com/MarcoPierf

Manca, evidentemente, un passaggio: quello che porta dalla pubblicazione dell’immagine ad una qualsivoglia forma di apprezzamento del contenuto. Qual’è stato il filo di pensiero dei miei critici? Qui si entra in un territorio squisitamente psicologico: la foto non ha commenti dell’autore, né positivi né negativi. Cosa se ne deve desumere? Che chi l’ha pubblicata l’abbia fatto perché quanto rappresentato gli piace, ergo trova bello quello che la foto raffigura, ergo (conclusione un po’ tirata per i capelli) trova bello TUTTO quello che la foto raffigura, ergo (doppio salto mortale con capriola carpiata) trova belli i graffiti, le ‘tag’ ed il vandalismo in genere. Una catena di considerazioni che definire forzate è poco.

Ha probabilmente giocato un ruolo il fatto che, in tanti anni di fotografia, un po’ di “manico” mi è rimasto, quindi le foto, se pur non eccezionali, hanno comunque dei tratti di eleganza. E questo dev’essere stato il cortocircuito definitivo: la foto è bella, quindi mi mostra come bello qualcosa che intrinsecamente è sbagliato (i graffiti e il vandalismo), quindi è cattiva nonostante sia bella, quindi chi l’ha scattata mi sta confondendo le idee (e mettendo in discussione i miei pregiudizi).

Dov’è la verità? Come al solito un po’ in mezzo a tutto. Il graffito colorato della prima foto mi ha colpito perché in quella collocazione effettivamente non l’ho trovato brutto: era fresco di pittura, i colori si intonavano al contesto, copriva le scritte sottostanti (quelle sì brutte ed inutili) riducendole ad una cornice di sfondo. Insomma un intervento che, in quello specifico contesto (il muro di supporto di un ponte, non certo uno spazio urbano frequentato), restituiva interesse a quello che sarebbe stato, altrimenti, solo un freddo e grigio blocco di cemento in un’area del tutto marginale.

Mi ha colpito, soprattutto, perché per solito i graffiti non li sopporto proprio, a cominciare da quelli che imbrattano le metropolitane per proseguire con quelli che imbrattano le mura storiche per non dire i reperti archeologici. Per non parlare delle ‘tag’, per le quali la categoria del ‘bello’ proprio non si applica e ritengo rappresentino solo una forma convoluta e cervellotica di “territorial pissing”.

Quindi, ancora, un paradosso: qualcosa che dovrebbe essere brutto eppure non lo è, qualcosa che fa riflettere. E riflettere è per solito utile, a patto di saperlo, e volerlo, fare.

In conclusione, cosa penso delle ‘tag’: inutili e brutte. Cosa penso dei ‘graffiti’: mediamente brutti, inutili e realizzati in collocazioni sbagliate, con qualche estremamente rara eccezione (tipo quella odierna), quando lo spazio su cui si va ad intervenire è già del suo tremendo ed irrimediabilmente marginale. Cosa penso del dipingere sui muri in generale: se parliamo di street-art si possono raggiungere risultati spettacolari e contribuire alla bellezza ed alla vivibilità dei quartieri della città.

Cosa penso sull’estrapolare il pensiero delle persone (nel caso in questione il sottoscritto) basandosi su una serie di elementi troppo ridotta: si prendono facilmente dei granchi.

P.s.: le immagini, in tutto questo, sono ridiventate private e visibili (e commentabili) solo dai miei contatti. Mi duole, ma è più semplice così che intervenire continuamente a cancellare commenti di Haters, consapevoli o involontari..