La lettura del saggio “Medioevo – un secolare pregiudizio” di Régine Pernoud mi sta portando a rivedere in una diversa ottica molto di quello che credevo di sapere sulla storia europea. L’autrice si fa un punto di restituire ad un’epoca lungamente bistrattata gli onori che le competono, risollevandone la fama negativa di ‘secoli oscuri’ e rivalutando arti, usanze ed evoluzione del costume in una chiave totalmente diversa.
Il volume è del 1977 ed il quadro che descrive ben si presta ad essere ulteriormente riletto sulla base delle idee che si sono venute affermando in anni recenti. In particolare, da un punto di vista strettamente economico, il tema del progressivo esaurimento delle risorse e della necessità di rivedere al ribasso il livello dei consumi in quella che viene usualmente definita ‘decrescita’. Da qui in poi quello che leggerete non sarà farina del sacco dell’autrice del saggio ma in gran parte mie personali considerazioni.
Il Medioevo viene convenzionalmente fatto iniziare nell’anno 476 d.C. con la deposizione dell’ultimo imperatore romano d’occidente, Romolo Augustolo, evento che segna il collasso definitivo di gran parte dell’impero (ne sopravviverà, per alcuni secoli, la controparte bizantina) e l’avvio di una diversa organizzazione politica e sociale in Europa.
Ma tagliare le epoche storiche con l’accetta non può rendere giustizia a processi storici caratterizzati da una continua evoluzione. Per quanto li consideriamo appartenenti ad un unico ‘blocco’ l’impero romano del quinto secolo è completamente diverso da quello del primo secolo, come ci narra Rutilio Namaziano nel “De reditu”: decadente, percorso in lungo e in largo dai barbari, in preda ad un ormai irreversibile declino.
In tempi recenti siamo passati a descrivere l’ascesa e caduta dell’impero romano in termini economici: in una prima fase l’espansione produceva ricchezza (schiavi, bottino, materie prime), quindi la ricchezza produceva altra espansione. Un meccanismo perverso che trovò la sua fine quando l’impero fu ormai talmente vasto che ulteriori saccheggi all’esterno non poterono compensare le aspettative di una popolazione cresciuta a dismisura.
Possiamo fare un parallelo descrivendo negli schiavi il ‘petrolio’ dell’epoca e nei saccheggi di metalli preziosi la ‘benzina’ del comparto militare. L’impero romano estraeva forza lavoro a bassissimo costo dai territori conquistati, ma una volta aggiunti questi territori all’impero essi non potevano più funzionare da serbatoio energetico. Il gioco valse la candela finché le terre da conquistare erano ricche e popolose, ma più ci si avvicinava a nord ai paesi germanici e baltici e a sud al deserto sahariano, meno ‘energia’ era possibile estrarvi per far funzionare la macchina statale nelle forme del passato.
Sul piano sociale il diritto romano era una “lex” decisamente crudele. Agli schiavi non veniva riconosciuta la dignità di esseri umani ed il padrone aveva su di loro diritto di vita e di morte. Una mentalità che oggi potremmo definire ‘consumistica’, dal momento che le nuove conquiste continuavano a produrre ulteriori schiavi e non vi era necessità di economizzare. Ma quello che era possibile fare con gli schiavi non era possibile farlo coi ‘cives’, i cittadini, che non avevano altrettanta disponibilità (obbligata) a fare totale sacrificio delle proprie vite.
In parallelo alla riorganizzazione economica avviene una trasformazione culturale importante con l’avvento del cristianesimo, religione e filosofia di vita molto più attenta ai temi dell’uguaglianza sociale e del rispetto reciproco rispetto al pantheon pagano. È il cristianesimo a guidare la transizione dall’economia ‘consumista’ imperiale all’organizzazione feudale del Medioevo, caratterizzata da una fitta rete di obblighi reciproci tra i diversi strati sociali.
Anche qui il saggio di Pernoud è netto riguardo al fatto che il sistema delle servitù feudali fosse molto diverso, in termini di riconoscimenti reciproci e patto sociale, dai rapporti padrone-schiavo di epoca romana. I contadini sono sì legati alle proprie terre, ma i feudatari non lo sono di meno. Esiste la possibilità di affrancarsi, di cambiare mestiere ed anche una limitatissima mobilità sociale.
In questo contesto il ruolo della chiesa ed i princìpi di uguaglianza promossi dalla filosofia cristiana ottengono di mitigare le spinte bellicose che, in un contesto ormai polverizzato e privo di nemici esterni, producono in continuazione guerre locali che via via si espandono e crescono di scala con la nascita delle nazioni moderne.
Il Medioevo appare quindi come un’epoca dominata dalla necessità di ripensare i consumi energetici ed adattarli ad un nuovo paradigma sociale in maniera non molto dissimile da quella che i teorici della decrescita postulano per un prossimo futuro, nel quale esaurimento dei combustibili fossili e progressivo inquinamento della biosfera obbligheranno l’umanità a porre un freno a decenni di sconsiderato sfruttamento delle risorse globali.
Paradossalmente la frugalità medioevale pone pian piano le basi del proprio superamento, e quando la scoperta del Nuovo Mondo renderà nuovamente percorribile la strada del saccheggio di altre popolazioni tornerà in auge, culturalmente e di fatto, il Diritto Romano, abbandonato per secoli, per giustificare tra le altre cose il ritorno alla pratica schiavista.
Volendo ridurre e semplificare di molto l’analisi e ragionando su larga scala, è come se alla ricchezza di singoli e nazioni andasse di pari passo l’imbarbarimento della morale e delle relazioni sociali (prevalenza della predazione), mentre in tempi di ristrettezze e povertà risultassero più efficaci e funzionali i modelli relazionali basati sulla solidarietà (filosofia cristiana).
Il Medioevo andrebbe quindi considerato come un periodo di riflessione e ripensamento tra le due grandi ‘bolle economiche’ dell’impero romano prima e della rivoluzione industriale poi. Un’epoca in cui emergono e si consolidano filosofie religiose e sociali più orientate alla pacifica convivenza ed al reciproco rispetto (in mezzo anche a mille guerre e guerricciole, va detto).
Filosofie tuttavia non sufficientemente rigide ed auto-evidenti da impedire una pronta retromarcia (laddove il potenziale di predazione riemerga) che le riadatti e riformuli per giustificare guerre di aggressione e saccheggio, come le crociate o la conquista delle Americhe. O da non poter essere messe comodamente in soffitta ed archiviate, e con esse l’intera epoca storica da cui sono emerse, a fronte di un ulteriore cambio di paradigma come la rivoluzione industriale.