In seguito alla recente vicenda dell’investimento ed uccisione di due ragazze per mano di un quasi coetaneo ho sostenuto numerose discussioni. Nella maggior parte di esse, la questione che più pareva interessare i partecipanti al confronto consisteva nello stabilire le responsabilità, nell’attribuire le colpe.
Le ragazze hanno attraversato la strada di notte, al buio, sotto la pioggia. Un autista si è fermato a farle passare, un altro le ha travolte (questa la ricostruzione più realistica, da quanto ho potuto appurare). Il conducente del veicolo viaggiava in stato di alterazione alcolica, probabilmente a velocità elevata.
Più o meno tutti sono risultati concordi che al di là di tutto, la causa prima della tragedia sia consistita nel mancato rispetto delle regole della circolazione stradale. Questo è incontestabile, e corrisponde ad un primo livello di analisi e comprensione.
Ma, andando a scavare un po’ più a fondo, dobbiamo confrontarci col fatto che l’essere umano, e noi italiani in particolare, tende a non aderire strettamente alle regole che la società gli impone. E questo è un fatto noto e risaputo. Proprio perché noto e risaputo potremmo legittimamente aspettarci che l’impianto normativo (in ciò comprendendo le norme di realizzazione delle infrastrutture, quelle relative al loro utilizzo e quelle legate ai controlli) lo prenda in considerazione.
Andando a ragionare per assurdo, nessuno penserebbe di impedire a delle mucche di uscire da un pascolo semplicemente stabilendo un divieto e mettendo dei cartelli del tipo “si fa divieto alle mucche di uscire dal pascolo”. Le mucche non sanno leggere ed ignorerebbero il divieto. La soluzione sarà semmai di tipo infrastrutturale (nella maggior parte dei casi si utilizza un cancello, in qualche caso ho visto sistemazioni più originali, come le cattle grid in Scozia).
La soluzione al problema degli umani che non vogliono rispettare le regole è sicuramente più complessa, nondimeno l’impianto normativo deve tenerne conto, perché è una realtà. È l’impianto normativo che deve adeguarsi alla natura umana, non il contrario. La natura umana, il contesto culturale, o in altre parole la realtà, sono quello che sono, non quello che l’estensore della norma decide che debbano essere.
Un impianto normativo non può essere considerato valido e funzionale se dà luogo, in maniera sistematica, a centinaia di migliaia di sinistri, con migliaia di morti, ogni anno, per decenni. Un impianto normativo adeguato deve tenere in conto il problema dell’irresponsabilità umana e prevedere adeguati strumenti di contrasto.
Si può lavorare sul piano della consapevolezza e della repressione dei comportamenti devianti (maggiori controlli, ritiro della patente in caso di recidive), si può lavorare sull’adeguamento delle infrastrutture viarie (limitazione delle velocità, ridisegno delle sedi stradali, zone 30), si può lavorare sul piano culturale (campagne informative e promozione di stili di guida virtuosi). Si può e si deve.
Quello che non può essere più tollerata è l’inazione, a fronte di una strage stradale continua e reiterata. Non è tollerabile l’assenza di interventi rispetto all’evidenza eclatante di un piano normativo fortemente disancorato dalla realtà, indifferente rispetto alla natura irrazionale ed autodistruttiva dell’essere umano.
È il nostro l’unico modello normativo possibile? Evidentemente no! Notizia di questi giorni è che sulle strade di Oslo, città di 670.000 abitanti, nel 2019 si è registrato un solo morto. Facendo una proporzione con la popolazione di Roma (2.847.000 abitanti) dovremmo attenderci solo quattro morti in sinistri stradali, mentre la conta al 2018 (i dati 2019 non sono ancora disponibili) è di 143 decessi.
Al netto delle inevitabili differenze culturali (quella cultura che in Norvegia si è riuscita a costruire e qui no), qualunque antropologo potrà rassicurarvi sul fatto che tra i sapiens norvegesi ed i sapiens mediterranei non esistono differenze significative di tipo biologico, né nell’ambito delle reazioni istintive, né tantomeno in termini di attitudini innate al rispetto delle regole.
Guardiamo i fatti per quello che sono: la sinergia negativa tra le cattive abitudini (che fanno parte del nostro retaggio culturale) ed un quadro normativo che bellamente le ignora, causa ogni anno migliaia di morti e centinaia di migliaia di feriti. Per quanto ancora vogliamo raccontarci che questo non sia un problema?

La città di Oslo, capitale della Norvegia
Per quanto ancora vogliamo raccontarci che questo non sia un problema? Tempo: ZERO. Nel Parlamento è in iter la modifica delle norme del Codice della strada che da 28 anni ha partecipato a costruire quella tua rappresentazione: resta tutta quella annuale barbara mattanza umana. Siamo al gattopardismo senza vergogna: inasprimento delle multe (resta la immunità chi non rispetta le norme alla fermata pubblica dei bus?); per le zone scolastiche previsto l’attraversamento rialzato; la disciplina negli orari di entrata e uscita; la cintura di sicurezza sui scuolabus dal 2024; per i ciclisti: la banda sonora e la distanza di sicurezza metri 1,5. L’ADP ha proposto di variare la denominazione ovvero il nome all’attraversamento pedonale rialzato – lasciando immutato, non toccando niente – denominandolo “marciapiede ortogonale”. Proprio perchè hanno capito l’obiettivo umanizzante di quel cambio da noi proposto sembra che stia nel bidone . . . . La nostra proposta della “Strada Scolastica” per i “piedibus” (sembra) non raccogliere consensi. La “Strada Scolastica” (è simile alla corsia riservata ai bus pubblici e alla pista ciclabile per i ciclisti): è il percorso “in piano”, senza scendere e salire per altrui territori, che da casa porta alla scuola camminando sul marciapiede normale collegato dai marciapiedi ortogonali. La campagna 2020 della ADP è “UMANIZZIAMO LA MOBILITA’ UMANA ITALIANA”. Il primo atto già eseguito è avvenuto il 6 gennaio a Bologna. (vedo che non posso all. il volantino di Bologna; lo mando in email)
Rispondo alla tua domanda finale: finché le persone saranno dipendenti dall’automobile.
Da qui una seconda domanda ancora più scabrosa: come renderle libere dall’automobile?
Mia proposta: mettere una tassa del 100% sulle auto e del 50% sulle moto, poi investire tutto quel denaro in più per riprogettare le città e potenziare al massimo il trasporto pubblico.
La gente continuerebbe comunque ad acquistare le auto sebbene in misura minore, quindi lo Stato incasserebbe miliardi di Euro ogni anno. Una volta che il trasporto pubblico è veramente efficace, vietare progressivamente le auto sino a farle sparire del tutto come stanno facendo ad Oslo.
Solo che dovremmo delegare la gestione dello Stato Italiano agli svizzeri o ai norvegesi, altrimenti tutto quel denaro finirebbe nelle tasche di qualcuno.
In Danimarca hanno imposto una tassa di possesso sui veicoli pari non al 100%, bensì al 180%. E non nasce da una volontà vessatoria. Hanno semplicemente calcolato i costi sociali complessivi determinati dall’utilizzo dell’automobile nell’arco di vita del veicolo, giungendo a questa cifra. Costi che nel nostro modello italiano sono totalmente esternalizzati ed a carico della collettività, non degli acquirenti. Ti lascio immaginare che razza di disincentivo ciò rappresenti al possesso ed all’utilizzo di veicoli privati, e di quanto denaro disponga quella nazione per promuovere stili di vita sostenibili e modalità di spostamento più umane (trasporto pubblico e ciclabilità).
Non sapevo di questa tassa così alta in Danimarca!
Uffa però, che rabbia vedere che siamo sempre così indietro a livello di mentalità.
Che amarezza vedere che gli italiani non vogliono mai cambiare nulla per paura di perdere qualcosa (però si lamentano).
E’ “interessante” scoprire che siete così ammaliati dall’idea di pagare altre tasse. Facciamo un ragionamento “altro”: cosa impedisce di rendere impossibile alle automobili il superamento dei limiti di velocità collegando le centraline (che ormai controllano la maggior parte delle funzioni del veicolo) a GPS e a mappe che “conoscano” i limiti tratto per tratto? Con un sistema del genere, che non credo possa costare più di qualche decina d’euro a veicolo, visto che il necessario è già tutto “in essere”, sarebbe IMPOSSIBILE infrangere i limiti di velocità. Il problema? Chi le incassa più le multe, che sono la finalità ultima dei sistemi di controllo “a sanzione”?
Cambiamo angolazione: non varrebbe la pena escogitare metodi (e credo proprio che ce ne siano) fare in modo che la mobilità coatta si riduca al lumicino o, meglio, venga azzerata? Ne indico un paio. 1) Incentivare le botteghe di paese, detassandole e sottoponendole a forme di controllo che permettano e obblighino a contenere i prezzi entro limiti equivalenti a quelli praticati dalle catene della grande distribuzione. 2) Riconsiderare e rivalorizzare la preziosità del “posto fisso”, abbinato alla disponibilità di alloggi di servizio ad esso connessi. 3) Ripensare i metodi e il peso della propaganda commerciale, in modo da favorire un ritorno a un clima meno frenetico dell’attuale, che permetta di vivere BENE (no, non arricchirsi — vivere in condizioni non precarie) con situazioni monoreddito. Insomma, in un certo senso “tornare indietro per andare avanti”.
Non succederà. Sarebbe redditizio per le persone sbagliate, cioè quelle che non hanno voce in merito alle decisioni “che contano”.
Il sistema che descrivi esiste già, si chiama Intelligent Speed Adaption (ISA). https://en.wikipedia.org/wiki/Intelligent_speed_adaptation (metto la voce in inglese perché quella italiana non dice praticamente nulla).
Ad osteggiarlo non sono gli stati, ma l’azione di lobbying delle case automobilistiche. Avendo venduto camionate di macchine sfruttando il mito della velocità, l’idea di passare a veicoli che non si possano spingere ‘oltre i limiti’ appare pochissimo attraente.
Quanto alla riduzione dei veicoli circolanti, non so quale sia la tua esperienza diretta, ma in testa c’è la ridensificazione dei centri urbani, una strategia diametralmente opposta a quella che ha dominato gli ultimi decenni, caratterizzata da edificazioni sempre più lontane dai centri città e dalla progressiva espulsione dei residenti verso le periferie.
Non succederà finché la società continuerà ad essere dominata dall’ideologia consumista e da un sistema economico capitalista. Btw, quando questo due paradigmi crolleranno per la loro stessa insostenibilità, non sarà facile né indolore trovare un diverso assetto globale.
Mi sembrava impossibile che nessuno ci avesse ancora pensato, alla regolazione remota della velocità al posto della via sanzionatoria! Se pure io che sono un pirla qualunque son riuscito a immaginarne la fattibilità. Grazie per l’informazione.
“Densificare” la popolazione non mi sembra invece una buona strategia. Piuttosto, vedrei di buon occhio una “polverizzazione”, un decentramento in una miriade di microunità semiautonome dove gli abitanti possano reperire tutto l’occorrente senza necessità di correre in qua e in là. Ovviamente “tutto l’occorrente” andrebbe ridefinito entro termini ridotti molto più all’essenziale rispetto alla ipertrofia attuale, ma si potrebbe stare davvero bene anche con poco, purché ben calibrato e, soprattutto, certo (nel senso di garantito, affidabile). Da tener presente: il senso di soddisfazione/insoddisfazione che proviamo è PESANTEMENTE condizionato dall’immaginario che ci viene insufflato nel cervello fin dalla più tenera età. Per dire, io che ho superato i cinquanta, da bambino non ho MAI sentito l’esigenza della PlayStation o del cellulare. Fossi nato cinquant’anni prima, non avrei sentito l’esigenza neppure del motorino. Altri cinquant’anni, e neppure la bicicletta! E se il discorso vale per il superfluo, vale anche per tante cose che consideriamo, sbagliando, “indispensabili”. E’ un bel po’ di tempo che stiamo DAVVERO esagerando, ci hanno portato a perdere il senso della concretezza, e abbiamo accettato di perderlo con grande entusiasmo.
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