Saldamente incatenati agli anni ‘50

Perché non riusciamo davvero ad imporre una svolta, una trasformazione, alle nostre città? Perché gli interventi di ammodernamento procedono col contagocce, riuscendo a risultare insufficienti fin dal momento stesso del loro completamento? Perché, sostanzialmente, siamo immobilizzati in un eterno presente che si trascina, sempre più a fatica, dall’epoca del boom economico?

Il problema principale, per quel che posso vedere, consiste nel non aver mai realmente voluto fare i conti con le contraddizioni prodotte da un sistema di mobilità basato sull’automobile privata. Modello al quale siamo saldamente ed entusiasticamente incatenati, senza la minima possibilità di evadere.

Fin dal suo apparire l’automobile è stata narrata come un simbolo di modernità, di libertà, di affrancamento dalla fatica, e come tale è stata culturalmente metabolizzata. Un assunto privo di fondamento ma a tal punto martellato, ribadito, ripetuto, con ogni singolo strumento mediatico disponibile, da far sì che sia ormai percepito alla stregua di una realtà oggettiva, non discutibile, per la maggioranza di noi. Sebbene molti dei lati negativi prodotti della mobilità privata fossero evidenti in partenza, a cominciare dall’elevato tasso di mortalità stradale, si scelse di ignorarli.

Ora di tempo ne è trascorso parecchio, ed i problemi causati dalla fascinazione collettiva per l’automobile si sono andati accumulando, anziché risolversi. L’automobile, da simbolo di libertà di movimento, è diventata la causa prima della paralisi dei centri città, e già solo questa semplice evidenza dovrebbe indurre un ripensamento. Tuttavia il dibattito politico su questi temi è totalmente assente, e sempre lo è stato, a destra come a sinistra.

Il paese appare immobilizzato in una visione arcaica, immutata dagli anni ‘50, in cui l’automobile soddisfa un diritto alla mobilità individuale che gli organi istituzionali sono tenuti a garantire. Tale visione è attualmente portata avanti con maggior vigore, direi paradossalmente, proprio dai partiti di sinistra (PD in testa), che invece di preoccuparsi della qualità della vita dei cittadini si concentrano nel salvaguardare un indifendibile ‘diritto al possesso ed all’uso dell’automobile’.

Inutile dire che ciò rappresenta un errore prospettico enorme, perché l’automobile privata, per dimensioni, ingombri ed esigenze di spazi per la movimentazione e la sosta, non è più compatibile (ammesso che lo sia mai stata) con la maturata domanda di mobilità propria della dimensione urbana.

Il principale appunto che devo fare all’amministrazione attuale, M5S, riguarda proprio la totale assenza di un dibattito pubblico su questi temi. Si è partiti a costruire infrastrutture ciclabili senza aver prima costruito una comprensione, un consenso popolare, senza aver spiegato adeguatamente per quali motivi le si stavano realizzando. Probabilmente illudendosi che una popolazione come la nostra, bombardata per decenni unicamente da propaganda a favore dell’automobile, avrebbe fatto da sé il salto culturale necessario.

Evidentemente ciò non è avvenuto, come dimostrano le discussioni sui social ed i comitati che quotidianamente si oppongono a qualsiasi intervento sulla viabilità. Quello che è stato ragionato e compreso, in realtà meno culturalmente fossilizzate della nostra (situate in prevalenza nel Nord Europa), è che proprio l’utilizzo dell’auto privata, anziché aumentare la capacità individuale di spostamento, rappresenta un collo di bottiglia per la mobilità dei cittadini all’interno degli spazi urbani.

Le automobili private ingombrano gli spazi pubblici, li rendono insicuri per pedoni, ciclisti ed utenti ‘deboli’ come anziani e disabili, intasano i corridoi stradali rallentando il trasporto pubblico, producono rumore ed inquinamento e richiedono sistemazioni (asfalto+cemento) che confliggono con la presenza di alberature, la cui ombra riduce il calore diurno rendendo le strade più piacevoli da vivere e da percorrere a piedi e in bicicletta.

Nelle realtà urbanisticamente più progredite si sta portando avanti un lavoro di progressiva riduzione degli spazi e dei servizi destinati alla mobilità privata, destinando quegli stessi spazi e servizi per usi pubblici: eliminazione di sosta e parcheggio, riduzione delle possibilità di transito in aree particolarmente affollate (pedonalizzazioni, ZTL e ‘zone 30’), limitazione, mediante tariffazione, degli accessi alle aree centrali.

Il nuovo paradigma della città moderna punta il focus sulla mobilità dei cittadini, non dei veicoli, mettendo al centro gli spostamenti delle persone anziché delle automobili. E dove si colloca l’Italia in questo processo? In coda, evidentemente. Il percorso di elaborazione culturale sulla compatibilità tra spazio pubblico e mobilità privata qui non è mai iniziato: siamo fermi, saldamente inchiavardati ad una visione vecchia di settant’anni, che vuole l’automobile al centro della vita urbana.

L’ideologia della modernità, che l’automobile ha incarnato fin dalla sua comparsa, ha tra i suoi pilastri fondanti l’idea che ad ogni problema si troverà soluzione, in un futuro più o meno lontano, grazie ad invenzioni non ancora disponibili al momento attuale. Gli ideologi del futuro dell’automobile stanno riempendo le proprie narrazioni di veicoli futuristici, auto a guida autonoma, elettriche, ad idrogeno, cercando ostinatamente di nascondere l’evidenza.

L’evidenza, inconfutabile, che l’automobile stessa è un mezzo di trasporto obsoleto ed antimoderno, noto per causare più problemi di quanti ne risolva e tale da contribuire pesantemente al degrado dei centri urbani. Non a caso, le città dove si vive peggio, nel mondo, sono proprio quelle dove circolano più automobili.

Quando riusciremo a sbarazzarci di questa visione stantia e disfunzionale della vivibilità urbana? La sensazione è che passeranno altri decenni. Il dominio economico del comparto automotive sui mass media è evidente, e tanto basta a mettere la sordina alle voci in grado di produrre un cambiamento culturale. La macchina statale è totalmente appiattita e complice, destinando fondi pubblici ad una varietà infinita di incentivi e sovvenzioni all’attuale sistema di produzione e mobilità. La politica tace o balbetta.

Il patto faustiano siglato dall’Italia col culto dell’auto privata, e firmato col sangue delle vittime della strage stradale, non sarà certo annullato per scelta della mefistofelica controparte, né combattuto da una classe politica incapace di vedere al di là del proprio naso né, in ultima istanza, sciolto da una volontà popolare che appare, ancora oggi, totalmente assente e distratta.

4 pensieri su “Saldamente incatenati agli anni ‘50

  1. Eccoci qua Marco, di nuovo a discettare sulle motivazioni socio-antropologiche del perché gli italiani siano così attaccati all’automobile. Hai tenuto conto del fatto che il governo, in silenzio, ha approvato il finanziamento di 6,3 miliardi di euro a FCA, reiterando il costume dei governi della 1^repubblica a finanziare una azienda che era in costante perdita, soggiogati dallo spettro dei licenziamenti in massa?

    • In un post di pochi mesi fa scrivevo:
      “Possiamo attenderci un teatrino della politica in cui i partiti ‘di destra’ promulgano impunemente politiche a favore dei grandi gruppi industriali, mentre i partiti sedicenti ‘di sinistra’ mettono in atto anch’essi politiche di destra anteponendo l’interesse dei grandi gruppi privati a quello pubblico, al più mascherandole da misure necessarie o scegliendo di rinunciarvi e perdere la successiva tornata elettorale per fare in modo che le stesse scelte politiche possano essere portate avanti dai loro teorici oppositori.”
      https://mammiferobipede.wordpress.com/2020/03/11/capitalismo-vs-democrazia/

  2. L’automobile in Italia produce essenzialmente debito con l’estero. Ormai per almeno i 2/3 le vetture che immatricoliamo sono di produzione straniera – una voragine che compete con quella connessa all’acquisto dei carburanti. Parliamo di un fiume di soldi, spesi malissimo, che dovremo poi pagare assieme a montagne di interessi.

    Davvero non si capisce bene dove stiamo andando a parare. Gli ultimi dieci anni li abbiamo buttati via, insistendo con sciocchezze che producono solo ed esclusivamente danni. Un comportamento incomprensibile.

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