24 agosto
Eccoci di nuovo a casa. L’avventura in Albania è conclusa ed il nostro mondo abituale e consueto non ci è mai sembrato tanto strano. Rileggendo il post scritto prima di partire si può affermare che abbiamo trovato quello che andavamo cercando. Ma come sempre la realtà è diversa da qualsiasi fantasia o immaginazione, galoppa per conto proprio ed anche per questo l’esperienza diretta è insostituibile.
L’Albania è un mix delirante di antico e moderno, di tradizione e novità, di povertà e ricchezza, un caos rutilante e polveroso in cui nessuno ha ben chiaro cosa stia accadendo, ma tutti si danno un gran daffare, come a rincorrere disperatamente la modernità che per quarant’anni il regime di Hoxha gli aveva negato.
Ed in questa rincorsa frenetica ed inconsulta quello che tragicamente sembra più essenziale è l’apparenza. Gli Albanesi si sono ritrovati esposti alla modernità senza aver realmente avuto tempo di metabolizzarla e maturare un approccio critico, così ne riprendono solo la parte più esteriore: le automobili di grossa cilindrata, i palazzi di dieci, dodici piani, la musica hip-hop… e finiscono col ripetere, in maniera se possibile ancora più drammatica, gli stessi errori sociali ed urbanistici commessi dall’Italia negli anni ’60 e ’70.
Se nei miei viaggi in bici in altri paesi Europei avevo avuto modo di vedere un’organizzazione sociale e del territorio più avanzata di quella italiana, stavolta è successo il contrario. E da questo doppio livello di lettura, dal confronto Albania/Italia paragonato ad Italia/Europa, che si possono trarre gli insegnamenti più utili.
Ad un certo punto del viaggio mi sono reso conto come il modo in cui noi sperimentavamo sulla nostra pelle le mille carenze e i disagi dell’Albania fosse probabilmente molto simile a quello di un tedesco in visita in Italia. Un vedersi da fuori in una sorta di lente deformante, e tuttavia in grado di restituire una comprensione nuova di sé e degli altri.
Questo post è una sorta di apertura/chiusura rispetto al racconto di viaggio che verrà pubblicato a puntate sul blog, e richiede una ulteriore puntualizzazione. Mi aspetto infatti che i ragazzi che ci hanno ospitato a Saranda ed a Tirana (e probabilmente anche altri albanesi) finiranno col leggerlo, e vorrei evitare, se possibile, di offendere la loro sensibilità. Si tenga conto, quindi, che questo è un racconto scritto da un italiano per altri italiani, senza giri di parole e senza “indorare la pillola”.
Potrei scrivere cose molto drastiche, e dare giudizi “tagliati con l’accetta”… Penso che se dovessi presentare gli stessi ragionamenti ad un pubblico albanese probabilmente userei forme meno dirette e più diplomatiche, ma mi è impossibile, allo stato attuale, accontentare tutti. Spero che nessuno/a si senta offeso o umiliato da quanto scriverò.
Nel corso del viaggio abbiamo incontrato quasi ovunque persone molto ospitali, generose e disponibili, non responsabili, di per sé, della generale arretratezza del proprio paese, vissuto per quarant’anni sotto un bunker di cemento senza poter sapere nulla di quanto stava accadendo al di fuori dei propri confini.
– leggi il racconto del viaggio –