Turisti a Berat

16 agosto
Ci svegliamo senza fretta, dal momento che oggi saremo soltanto dei normali turisti "appiedati". Il balcone della nostra stanza affaccia sul curioso ponte pedonale che unisce le due metà della città vecchia. Ci abbandoniamo ad una pigra colazione prima di salire alla rocca del castello che sovrasta la città.

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Il castello di Berat fu, di fatto, una città fortificata. All’interno della cinta muraria si trovavano alcune centinaia di edifici, tra i quali diverse decine di chiese di rito ortodosso. Al momento ne resta ben poco: una manciata di case antiche, alcune ancora abitate (prevalentemente da anziani), e tre o quattro chiese piuttosto malmesse.

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Iniziamo la visita dal museo di arte iconografica, ospitato nella chiesa principale, cui si accede da un piccolo chiostro.

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Faccio in tempo a catturare una sola foto dell’interno, dopodiché la guida mi informa che è vietato fotografare.

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Valona – Berat: l’entroterra rurale

15 agosto
Stamattina la partenza sarà un po’ dilazionata: devono raggiungerci Antonio e la moglie Angela, con la figlioletta Sara di pochi mesi. Arrivano con un’auto ed una bici sulla quale si alterneranno, dandosi il cambio, per tutto il resto del viaggio. Io e Manu ne approfittiamo per fare due passi, acquistare le batterie per la sua fotocamera e scattare qualche foto.

Valona, vista con gli occhi di un italiano, sembra una città nata dal nulla: non esistono edifici antichi. I vecchi palazzi del periodo comunista, costruiti in economia ed ormai ridotti in condizioni pietose, si affiancano ai nuovi, tirati su in fretta e furia con molto entusiasmo e scarsa cura del dettaglio.

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Non emerge un’idea complessiva, un’unità stilistica. Nulla che suggerisca il fatto che dietro a questa città c’è una popolazione che in essa si riconosce, che abbia un’idea collettiva di sé, o forse, più semplicemente, che gli sia stato dato di conservarla. La sensazione è quella che un gigantesco bambino capriccioso abbia sparpagliato sul suolo i suoi giochi di costruzioni, alcuni lasciati a metà, e li abbia semplicemente lasciati lì, alla rinfusa.

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Magari sono io che non riesco a scendere a patti con la modernità, e probabilmente anche il fatto che sono cresciuto in una città nel cui centro storico le scelte urbanistiche sono state curate nell’arco di secoli, sta di fatto che Valona mi affascina e mi repelle al tempo stesso, senza soluzione di continuità.

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La cosa che più sconcerta, però, è il traffico abnorme che si sviluppa sull’unica arteria cittadina. Centinaia di automobili si spostano nelle due direzioni, creando un sano senso di vivacità, ma anche di estrema confusione, di disorganizzazione: l’improvvisazione elevata ad unico possibile stile di vita.

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Himare – Valona: una piccola impresa

14 agosto
Una cosa che non mi aspettavo, in questo viaggio, è il fatto che in Albania sia pressoché sconosciuto il tè, alimento base della mia colazione. Proviamo ad ordinarlo e per solito i baristi tirano fuori una lattina surgelata di tè freddo, Manu cerca di comunicare a gesti un’infusione, e ci arriva una bella tazza fumante di… camomilla! Lo stesso dicasi per brioches e simili, i bar non ne hanno, segno evidente che il turismo "occidentale" (italiani in testa) è ancora ben là da venire.

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La tappa di oggi, oltre all’altimetria altalenante ed impredicibile, presenta la "Cima Coppi" dell’intero viaggio, uno svalico a 1000 metri di quota. Partiamo sperando, ottimisti, che la strada salga con regolarità. Niente da fare. Da Himare ci arrampichiamo letteralmente su una strada stretta e dissestata con rampe che superano abbondantemente il 10% di pendenza.

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Rocce e vegetazione sono quelle tipiche dell’appennino centrale, e mi sembra quasi di trovarmi dalle parti del mio paesino nelle Marche, a scalare una qualche via meno nota del monte Nerone.

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Raggiungiamo in breve una quota che stimiamo sui 500 m.s.l.m., contenti di trovarci quasi a metà dell’opera, quando la strada riprende a scendere e nel volgere di alcuni chilometri, dopo aver attraversato diversi piccoli paesi, ci ritroviamo a mezzogiorno a non più di un centinaio di metri sul livello del mare, con la salita ancora tutta da fare.

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Saranda – Himare: cartoline dall’Albania

13 agosto
Finalmente si pedala. Salutiamo Artin e Viola, nostri giovanissimi ospitanti, e scortati dal pullmino del fido Altim muoviamo alla scoperta delle strade dell’Albania. Per un lungo tratto costeggiamo il lago salato di Butrinti, con le strutture per la piscicultura che affiorano alla superficie, quindi siamo di nuovo a Saranda.

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I disastri causati dalla cementificazione fuori controllo diventano, in bicicletta, molto più evidenti. Ci sono scheletri di palazzine in costruzione ovunque, sbancamenti, edifici che sorgono davanti ad altri appena finiti coprendo la vista del mare, e polvere, polvere ovunque. Fuori città, sulla strada che va verso Himare, due cave di petra aggiungono il "carico da undici": camion vanno e vengono, polvere a profusione, e come se non bastasse la scarpata della strada è divenuta, per chilometri, una discarica di materiale di scarto, pietre, terriccio, spazzatura. Cerco di consolarmi pensando che probabilmente tutto finirà coperto dall’allargamento della sede stradale, ma certo è una visione apocalittica che mi sarei volentieri risparmiato.

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Superato l’incubo edilizio di Saranda il paesaggio si snoda in una sequenza pressoché ininterrotta di cartoline, una più bella dell’altra. La strada sale e scende mettendo alla prova le nostre gambe, tra valli sconfinate, boschi verdissimi e minuscoli agglomerati che, se belli non si possono dire, ci offrono almeno il conforto di bibite fresche e la possibilità di acquistare un po’ di frutta.

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Argirocastro e dintorni

12 agosto
Considerata la distanza dal luogo dove siamo alloggiati, è prevista una visita in pullmino alla città di Argirocastro. Partiamo accompagnati da Viola (Vjollca), che insieme al fratello Artin fa parte del progetto “Vivalbania” e ci ospita a Ksamil, in qualità di guida alla volta dell’antica città. Percorriamo quindi all’indietro la strada già fatta il giorno prima da me e Manu sul “furgon”.

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La piana di Argirocastro si sviluppa in direzione nord-sud fin quasi al confine con la Grecia, e vista dall’alto pare tale e quale un altopiano dell’Abruzzo.

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Viaggiando l’occhio cade inevitabilmente sulle decine e decine di bunker che costellano il paesaggio. Hoxha ed i suoi strateghi devono aver ritenuto questa valle un potenziale corridoio privilegiato di invasione del paese, provvedendo a collocarci alcune centinaia (se non migliaia) di questi orribili funghi di cemento armato, ognuno del peso di cinque tonnellate, che in numero di circa 700.000 infestano l’intero paese.

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Un viaggio nel viaggio

Quando si parte con le bici al seguito il fatto stesso di raggiungere il luogo di partenza è un piccolo viaggio nel viaggio. Il nostro inizia venerdì 10 agosto, alle 5.45, con la sveglia che ci butta giù dal letto. Colazione frettolosa, poi si sale in sella e si raggiunge pedalando la stazione Termini, con una mezz’ora di margine per smontare ed “insaccare” le due biciclette e farle viaggiare sull’Eurostar per Brindisi.

Salito sul treno occupo uno dei due sedili singoli posti alle estremità del vagone, sistemandoci accanto le due bici in modo da non ingombrare il passaggio. Non mi spetterebbe, ma all’atto della prenotazione abbiamo potuto verificare come non fosse possibile prenotare tale posto, che viene accomunato ad “lato finestrino” non valorizzando la sua effettiva peculiarità.

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Arriviamo a Brindisi in relativa tranquillità. Finite di rimontare le bici sono le due passate e spendiamo un po’ delle ore del pomeriggio a riposare ed a visitare la città. La differenza rispetto al 1990, quando mi imbarcai per una vacanza a Corfù, è enorme. Sembra un’altra città, rimessa a nuovo.

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Verso le sette di sera veniamo raggiunti dal gruppo dei “Cicloamici” di Mesagne, ci consegnano i biglietti ed andiamo in porto a prendere due diversi traghetti. Loro viaggeranno, grazie ai passaporti non scaduti, via Corfù, per arrivare a Saranda nella tarda mattinata, noi andremo direttamente a Valona, e cercheremo di raggiungerli con un bus nel pomeriggio del giorno successivo.

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Superata la barriera burocratica del controllo dei documenti (lentissima, soprattutto per gli altri viaggiatori che sono davanti a noi), la situazione all’imbarco è decisamente inusuale: sul traghetto, greco,  ci sono praticamente solo albanesi, individuiamo soltanto una coppia di italiani giovanissimi, forse in vacanza come noi. L’Albania non sembra ancora terra di conquista da parte del turista italico.

Ci accomodiamo alla bell’e meglio sulle poltrone e ci apprestiamo a passare la notte in mezzo a gente che, in barba ai divieti, fuma tranquillamente al chiuso.

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Manu prende sonno abbastanza in fretta, io sonnecchio, mi sveglio, passeggio sui ponti esterni, osservo le stelle.

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L’alba sul mare è uno spettacolo fantastico, preceduto da una sottilissima falce di luna.

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Sbarchiamo a Valona di prima mattina, la città appare più moderna di quanto mi aspettassi. Sbrighiamo le formalità burocratiche ed andiamo a cercare la piazza da cui partono gli autobus per il sud in mezzo ad un traffico già caotico. Siamo sfortunati, l’autobus è partito alle sette e non ce ne sarà un altro prima di domani, forse ne passerà uno, ma probabilmente troppo piccolo per portare le biciclette… L’unica alternativa, ci dicono, è provare ad arrivare a Fier, 35km, crocevia tra Tirana e Sarande.

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Dopo un breve consulto decidiamo di andare. 35Km in bici significa meno di due ore, dovremmo poter prendere un autobus intorno alle dieci. Usciamo dalla città su quella che, realizziamo dopo, è praticamente l’unica strada carrozzabile che colleghi l’importante porto alla capitale. I boschi intorno sono bruciati e puzzano di fumo e carcasse di animali morti, l’asfalto è in condizioni pessime ed il traffico continuo ed incessante, oltreché pericolosissimo (lo stile di guida dell’albanese medio è terribile) e gli scarichi delle autovetture asfissianti. Affrontiamo a testa bassa questa sorta di girone infernale terrorizzati dalla prospettiva di dover sopportare condizioni simili per tutto il resto del viaggio.

In un paio d’ore scarse raggiungiamo Fier, ex popoloso capoluogo industriale uscito malissimo dal crollo dell’economia statalista, e la cui periferia fa rimpiangere perfino le zone più degradate del sud Italia, rammentando semmai, per chi non le ha mai viste, i racconti e le foto della Turchia e della periferia di Istanbul.

Ci fermiamo ad un incrocio dove si avvicendano corriere vecchissime, scalcinate e polverose, quasi tutte strapiene, e mentre il nostro umore rischia un brusco collasso ci si ferma davanti un “furgon” che ha in bella mostra il cartello “Sarande”. Scopriamo così che il principale mezzo di trasporto collettivo dell’Albania sono questi mini-pullman a otto posti, che si muovono su tratte più o meno usuali, caricano e scaricano gente in qualsiasi punto gli faccia comodo e contrattano il pedaggio sul momento.

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Ci accordiamo per venti euro a testa, smonto le ruote anteriori per far entrare le bici nell’angusto spazio posteriore, carichiamo tutti i bagagli e ci accingiamo alla traversata del sud dell’Albania, quasi duecento chilometri per percorrere i quali ci occorreranno cinque ore. Ci faranno compagnia due famiglie, e fortunatamente uno dei capofamiglia parla un discreto italiano, cosicché per il resto del viaggio chiacchieriamo (soprattutto Manu) e ci confrontiamo sulle differenze tra Italia e Albania.

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La strada si fa leggermente meno trafficata e fuori dai finestrini scorrono paesaggi selvaggi, poco abbelliti dalla luce grigia che filtra dalle nubi dense.

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Purtroppo parecchie pendici montane sono state bruciate dagli incendi, un’altra delle conseguenze della prolungata siccità che sta affliggendo il paese. Dopo una breve sosta alla sorgente di Tepelene per rinfrescarci, incrociando continui rallentamenti per i lavori in corso del raddoppio stradale, scendiamo sulla piana di Argirocastro per affrontare, infine, l’ultimo svalico per Sarande.

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Sarande sembra una qualsiasi cittadina di mare del sud Italia devastata dalla cementificazione abusiva. A guardar meglio molte delle palazzine sono ancora in costruzione, o non del tutto completate, un “sacco” urbanistico recentissimo, sregolato e non ancora completato. Contattiamo gli altri grazie al cellulare di Manu (il mio “gestore” in Albania non è ancora sbarcato) e ci facciamo venire a prendere, nell’attesa ordino una “pita” e la spazzolo in quattro e quattr’otto.

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Mentre io e Manu attraversavamo eroicamente l’Albania gli altri avevano avuto tempo e modo di visitare Butrinti, antica città romana le cui rovine sono ancora in buone condizioni (non avessi Ostia Antica a due passi da casa forse me ne rattristerei un po’). Scopriamo quindi che siamo alloggiati una dozzina di chilometri più a sud, a Ksamil, separati dall’isola di Corfù da un braccio di mare largo solo due chilometri.

Il pomeriggio finisce, giustamente, con un bagno in un mare splendido. Dopo circa trentasei ore di viaggio siamo finalmente giunti al punto di partenza.

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Il pomeriggio finisce, giustamente, con un bagno in un mare splendido. Dopo circa trentasei ore di viaggio siamo finalmente giunti al punto di partenza.

Così vicini, così lontani

24 agosto

Eccoci di nuovo a casa. L’avventura in Albania è conclusa ed il nostro mondo abituale e consueto non ci è mai sembrato tanto strano. Rileggendo il post scritto prima di partire si può affermare che abbiamo trovato quello che andavamo cercando. Ma come sempre la realtà è diversa da qualsiasi fantasia o immaginazione, galoppa per conto proprio ed anche per questo l’esperienza diretta è insostituibile.

L’Albania è un mix delirante di antico e moderno, di tradizione e novità, di povertà e ricchezza, un caos rutilante e polveroso in cui nessuno ha ben chiaro cosa stia accadendo, ma tutti si danno un gran daffare, come a rincorrere disperatamente la modernità che per quarant’anni il regime di Hoxha gli aveva negato.

Ed in questa rincorsa frenetica ed inconsulta quello che tragicamente sembra più essenziale è l’apparenza. Gli Albanesi si sono ritrovati esposti alla modernità senza aver realmente avuto tempo di metabolizzarla e maturare un approccio critico, così ne riprendono solo la parte più esteriore: le automobili di grossa cilindrata, i palazzi di dieci, dodici piani, la musica hip-hop… e finiscono col ripetere, in maniera se possibile ancora più drammatica, gli stessi errori sociali ed urbanistici commessi dall’Italia negli anni ’60 e ’70.

Se nei miei viaggi in bici in altri paesi Europei avevo avuto modo di vedere un’organizzazione sociale e del territorio più avanzata di quella italiana, stavolta è successo il contrario. E da questo doppio livello di lettura, dal confronto Albania/Italia paragonato ad Italia/Europa, che si possono trarre gli insegnamenti più utili.

Ad un certo punto del viaggio mi sono reso conto come il modo in cui noi sperimentavamo sulla nostra pelle le mille carenze e i disagi dell’Albania fosse probabilmente molto simile a quello di un tedesco in visita in Italia. Un vedersi da fuori in una sorta di lente deformante, e tuttavia in grado di restituire una comprensione nuova di sé e degli altri.

Questo post è una sorta di apertura/chiusura rispetto al racconto di viaggio che verrà pubblicato a puntate sul blog, e richiede una ulteriore puntualizzazione. Mi aspetto infatti che i ragazzi che ci hanno ospitato a Saranda ed a Tirana (e probabilmente anche altri albanesi) finiranno col leggerlo, e vorrei evitare, se possibile, di offendere la loro sensibilità. Si tenga conto, quindi, che questo è un racconto scritto da un italiano per altri italiani, senza giri di parole e senza “indorare la pillola”.

Potrei scrivere cose molto drastiche, e dare giudizi “tagliati con l’accetta”… Penso che se dovessi presentare gli stessi ragionamenti ad un pubblico albanese probabilmente userei forme meno dirette e più diplomatiche, ma mi è impossibile, allo stato attuale, accontentare tutti. Spero che nessuno/a si senta offeso o umiliato da quanto scriverò.

Nel corso del viaggio abbiamo incontrato quasi ovunque persone molto ospitali, generose e disponibili, non responsabili, di per sé, della generale arretratezza del proprio paese, vissuto per quarant’anni sotto un bunker di cemento senza poter sapere nulla di quanto stava accadendo al di fuori dei propri confini.

– leggi il racconto del viaggio –

Albania in bicicletta

albania.jpgQuest’anno la meta del nostro viaggio estivo in bicicletta è l’Albania. Decisamente una destinazione improbabile, mi rendo conto, ma quando ho letto che un gruppo di Mesagne (Br) stava organizzando la spedizione ho fatto il possibile per esserci.

Risolti i problemi legati ai passaporti scaduti, che ci impedivano il passaggio di frontiera tra Grecia ed Albania, con una iniziale variazione di percorso (Brindisi – Valona – Sarande anziché Brindisi – Corfù – Sarande), dopodomani saremo nel "paese delle aquile", tristemente famoso per l’ondata di immigrazione clandestina dei primi anni ’90, che fece seguito alla caduta del muro di Berlino ed al crollo del regime comunista (già orfano del suo fondatore Enver Hoxha).

Perché l’Albania con tante mete più esotiche? Curiosità. Vogliamo andare a scoprire un paese vicinissimo eppure culturalmente lontano, rimasto isolato per quarant’anni da uno dei regimi comunisti più intransigenti del 20° secolo, povero e gravato da una pessima reputazione. Vogliamo scoprirlo, soprattutto, prima che la sua "diversità" venga riassorbita dall’occidente, che a partire dall’industria del turismo sta già investendo miliardi per trasformarlo nell’ennesima meta globalizzata ed omologata al resto dell’Europa.

Cosa ci aspettiamo di trovare? Beh, sicuramente una cultura diversa dalla nostra, dal momento che secoli di occupazione ottomana hanno lasciato il segno, ma anche un territorio per molti versi ancora vergine, con montagne che da 1000 metri di quota scendono a picco sul mare. Questa è "l’anteprima" che ci mostra Google Earth del tratto di costa tra Sarande e Valona. Ci sarà da pedalare!

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Strani viaggi nel tempo

Image Hosted by ImageShack.usLe politiche editoriali di "Urania" non mancano di stupirmi. Personalmente trovo privo di senso che da una settimana all’altra possano essere pubblicati romanzi o raccolte di racconti relativamente recenti, oppure narrativa vecchia di mezzo secolo. E senza andare a spulciare le date di pubblicazione dei singoli racconti (non sempre facili da reperire) si rischia di ritrovarsi in mano un pezzo di archeologia del futuro, al posto di qualcosa di fresco ed intellettualmente stimolante.

Un po’ come se fosse possibile far viaggiare nel tempo i racconti, "Urania" tenta di spacciare materiale narrativo scritto più di mezzo secolo fa insieme alle proposte attuali, creando un pout-pourrì non raramente indigesto.

Quanto a questo "I segreti del paratempo" di H. Beam Piper, probabilmente la sua colpa principale (oltre all’illustrazione di copertina, francamente inguardabile) è di essere uscito nel 2006 senza una esplicita dichiarazione d’età. È un po’ come se, ad un appuntamento al buio, al posto di un’avvenente fanciulla vi si presentasse una simpatica ed arguta settantenne… magari si passerebbe lo stesso una piacevole serata, ma forse le "aspettative mancate" finirebbero col renderla meno piacevole di quanto avrebbe potuto.

E in fondo è la solita storia, la fantascienza è genere talmente di nicchia che i suoi appassionati finiscono, volenti o nolenti, ad accettare tutto quello che passa il convento, e a far buon viso a cattivo gioco. Se non fosse che, contemporaneamente a questo, mi sono trovato a leggere alcuni racconti molto più recenti ("Year’s best sf 2004" pubblicato come "Venti galassie", Urania Millemondi di luglio) probabilmente non me ne sarei lamentato troppo neppure io.

Fare un salto indietro di cinquant’anni, leggere l’etica e le aspettative di una società attraverso le sue rappresentazioni del futuro, resta comunque un gioco interessante. Colpisce, ad esempio, come tutti i personaggi delle storie siano fumatori accaniti, e torna in mente il film "Good Night and Good Luck", di George Clooney, dove appunto si racconta il giornalismo degli anni ’60 attraverso una spessa coltre di fumo di sigaretta.

Lo stile di Piper è ancora segnato dal gusto "pulp" degli anni a cavallo dei ’40, le sue trame sono intricate e le soluzioni plateali, ma in una maniera ingenua, non ancora viziata dal gusto hollywoodiano degli ultimi decenni (coi finali che sembrano scritti apposta per essere proiettati su uno schermo). I racconti di questa antologia si lasciano ancora leggere piacevolmente, nonostante certe soluzioni tecnologiche appaiano ad oggi datate, e lo scenario complessivo pecchi sovente di semplicismo.

L’idea dei mondi paralleli non è nuova, ma qui viene affrontata immaginando una cultura in grado di padroneggiare il viaggio tra essi, innumerevoli mondi. Come in molte delle fantasie di natura scientifica il paradosso è in agguato dietro ogni angolo, ed anche in questo caso si preferisce lo sviluppo di una trama avventurosa ad una riflessione matura sulle reali complessità prodotte da una simile eventualità. Come in molta della fantascienza di quegli anni.

Purtroppo dalle parti di "Urania" non si vuole proprio comprendere come questo tipo di narrativa, ormai prossima all’obsolescenza, meriti uno spazio a sé, anziché finire incoerentemente mescolata ai prodotti più recenti. Che, se è vero che non sempre risultano all’altezza dell’epoca in cui vengono scritti, in qualche caso mostrano davvero impietosamente la distanza esistente tra l’immaginario fantascientifico degli anni ’60 e quello attuale.

Riluttanze

Che l’idea di proporre la data del 3 agosto come prima possibile realizzazione dell’iniziativa sulla mortalità stradale non fosse una scelta particolarmente felice avrebbe dovuto essere intuibile: poco tempo per coinvolgere altre persone e le poche già coinvolte alle prese con le partenze estive, o già in vacanza. 

Fatto sta che a Piazza dei Mirti ci siamo ritrovati in una decina scarsa, con l’amplificazione finalmente funzionante ma poca convinzione sulla fattibilità della cosa, ed ancor meno sulla possibile riuscita. A conti fatti, togliendo chi avrebbe gestito la parte audio, chi avrebbe scattato le foto e le due, tre persone che avrebbero dovuto posare le lenzuola, a "morire" sarebbero state solo quattro o cinque persone. Ed in più, nessuno/a aveva preparato i volantini da distribuire agli astanti…

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Arrivati a largo Agosta la distanza tra l’idea iniziale di un happening con decine di ciclisti coinvolti in una piazza del centro cittadino in un’ora di grande affollamento ed una messinscena di otto persone in una piazza periferica ad agosto ci è parsa drammatica. Ma a far pendere definitivamente il piatto della bilancia è stato probabilmente il fatto che a quell’ora la piazza fosse affollata in prevalenza di bambini che giocavano spensierati, più che di adulti in grado di comprendere e di elaborare il messaggio.

È finita che non ce la siamo sentita, e messa ai voti la maggioranza ha deciso di soprassedere. Pur di non disperdere il lavoro fatto ci siamo quindi spostati a villa Gordiani, ed abbiamo rappresentato il nostro spettacolino sull’erba, in mezzo al nulla.


 
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All’atto pratico siamo pronti, la rappresentazione funziona, manca ancora il numero, la "massa critica". Cercheremo per l’autunno di realizzare un maggior coinvolgimento, cosa che finora, causa impegni ed altro, è mancata quasi del tutto.