Sabato scorso, tra la pedalata con i bambini al mattino e l’uscita in mountain bike del giorno dopo, ho partecipato ad un incontro sul “ciclismo urbano nella Roma dell’auto”, promosso dal blog RomaPedala ed ospitato presso la libreria Rinascita di via Prospero Alpino.
L’obiettivo di questo incontro, nell’intenzione il primo di una serie, era fare il punto sull’infrastrutturazione ciclabile della città, sulle sue potenzialità di sviluppo e sui tanti, insormontabili, problemi di realizzazione, primo fra tutti il menefreghismo e l’ignavia dei cittadini stessi. Per me, al di là di tutto, una bella occasione per ritrovare diversi amici ed amiche, compagni di battaglie vecchie e nuove, ed ancora una volta tastare il polso alla situazione attuale del cicloattivismo romano.
A vent’anni di distanza, più o meno, dalla mia prima partecipazione ad una riunione di Pedale Verde (associazione che, peraltro, non esiste più) la situazione è molto mutata. Il numero di ciclisti è aumentato, la consapevolezza è cresciuta, ma la città, al contrario, è molto peggiorata, e sotto diversi profili: urbanizzazione forsennata, cementificazione, aumento esponenziale del traffico e mancata realizzazione di infrastrutture ciclabili essenziali consegneranno ai posteri delle periferie già pronte al collasso.
Mentre gli interventi si susseguivano, uno dopo l’altro, mentre rivedevo passare davanti ai miei occhi immagini già viste, ascoltavo discorsi già fatti, sentivo gravare su di me il peso di tutti questi anni di battaglie semi-inutili. Dopo un po’ ho cominciato a sentirmi vecchio, superato, fuori posto.
Domenica mattina, mentre percorrevo in bici, quasi all’alba, una via del Mandrione deserta, riflettevo proprio su questo. Poco prima, mentre mi infilavo la salopette invernale da ciclista, lo specchio mi aveva restituito una figura sovrappeso, ingombrante, pesante di tutta la carne cresciuta addosso a quel ragazzo pieno di ideali di vent’anni prima.
Pensavo: “sono vecchio, è vero, eppure eccomi qui, alle sette di una domenica mattina, mentre tutta la città dorme, a correre in bici per prendere un treno che mi porterà a Latina, da dove scalerò una montagna. Sono vecchio, ma non riesco a star fermo, non accetto la resa, non fa parte di me. E sono ancora qui, vivo!”
È stato lì che ho capito che tipo di “vecchio“, negli anni, ero diventato. Inguainato in quella tuta nera aderente mi sono rivisto come in un lontano, immortale fumetto della fine degli anni ’80: “Il ritorno del Cavaliere Oscuro”, di Frank Miller.
“Dark Knight” mi capitò per le mani completamente ‘fuori tempo massimo’, dopo che da ragazzo ero stato un consumatore famelico ed accanito di fumetti, anche e soprattutto di quelli di supereroi. Ma da almeno dieci anni avevo smesso, finendo col trovarli troppo rudimentali per i miei maturati gusti di adulto ed iniziando ad alimentare la mia fame di ‘fantastico’ con la narrativa fantascientifica.
Poi, un pomeriggio, bighellonando per librerie com’ero solito fare, buttai l’occhio su questo voluminoso ciclo di storie, iniziai a sfogliarlo e ne rimasi totalmente affascinato. Niente a che vedere con il linguaggio dei comics della precedente generazione: impaginazione, tecniche narrative, impatto visuale… un mondo nuovo!
Parlare oggi di quest’opera, che in vent’anni ha fatto versare fiumi d’inchiostro, appare quasi inutile. Dopo quel ciclo narrativo il fumetto mondiale non è più potuto essere lo stesso. Il percorso iniziato da Stan Lee negli anni sessanta, immaginare super-eroi con super-problemi, trovava finalmente compimento nell’opera di Miller.
“Dark Knight” spazza via le vecchie regole fin dall’inizio, fin dalla premessa. Il protagonista del fumetto è un Bruce Wayne ormai cinquantenne che, come tutti gli altri supereroi, è stato costretto dal Congresso degli Stati Uniti ad abbandonare la propria attività. Ma non ci riesce.
Il mondo, nel frattempo, continua ad andare a rotoli, in un’escalation di violenza gratuita che i governanti preferiscono cavalcare anziché reprimere, finché ad un certo punto il “lato oscuro” del nostro eroe non si risveglia, Wayne indossa di nuovo l’identità dell’uomo pipistrello e si rituffa nella notte, a dare la caccia ai criminali.
Ma non è più ‘come prima’, e la narrazione ne dà atto alternando i dialoghi ai pensieri del protagonista. Questo ‘Batman invecchiato‘ sente il peso degli anni, ha i capelli grigi, ma resta ugualmente un gigante in mezzo ai comuni mortali, anche senza super-poteri riesce ancora a fare cose che la gente normale nemmeno si sognerebbe.
Un gigante sul piano fisico e morale, che guarda l’umanità dall’alto del proprio ‘superomismo‘ e la vede nettamente distinta in vittime, carnefici e giustizieri, facendo propria una scelta di campo quasi inevitabile. Ma al tempo stesso un eroe tragico, prigioniero di un dualismo schizofrenico tra bene e male di cui molto spesso si perde il confine.
Il capolavoro di Miller è un affresco a mille tinte, prevalentemente fosche, un manifesto umano e politico (peraltro dalle connotazioni fortemente destrorse), spietato nel restituirci una rilettura della società attuale, per quanto grottesca, purtroppo tragicamente verosimile.
Sono rarissimi i casi in cui la cosiddetta ‘cultura pop‘ riesce a saltare il fosso e farsi ‘cultura‘ tout court, a farsi arte, e questo è uno di quelli. Difficile da apprezzare per chi non padroneggi già i linguaggi del fumetto d’azione, per chi non si sia precedentemente ‘sporcato le mani‘ (e gli occhi) con una forma narrativa ‘pulp‘ e ghettizzata. Ma se ha ancora senso, nel nostro tempo, parlare di ‘narrativa epica‘, il “Dark Knight” di Miller ne fa parte a pieno titolo.
E quale scopo più nobile, in fondo, per l’arte, che non insegnarci a leggere e comprendere il mondo e noi stessi? Alla luce di questo, nelle fantasie di un ragazzo ormai invecchiato, rileggo la mia storia e tutto quello che è successo intorno a me, negli anni, come sono cambiato, com’è cambiato il mondo.
Sono, nel mio piccolo, solo un supereroe stanco, non ho più speranze di salvare il mondo, ma pure non posso fare altro che andare avanti, a testa bassa, a combattere per le cose che ritengo giuste. Un vecchio guerriero testardo…