Un pedone con le ruote

La prima cosa che si pensa vedendo una Brompton chiusa è:

– “…impossibile!

La prima cosa che si pensa vedendo aprire una Brompton è:

– “…geniale!

La prima cosa che si pensa salendo su una Brompton e cominciando a pedalare è:

– “…è un giocattolo…

La prima cosa che si pensa nel momento successivo, realizzando che quel “giocattolo” si sposta in realtà come una vera bicicletta è:

– “la voglio!!!

Dopo mesi di attesa, le due Brompton che io e Manu avevamo ordinato sono finalmente arrivate. Sono bastati pochissimi giorni di utilizzo occasionale per trasformare radicalmente il mio concetto di “bicicletta”… assieme all’idea di come spostarsi in città. Per essere uno che non indulge ai facili entusiasmi lasciatemelo dire: quest’oggetto è ri-vo-lu-zio-na-rio!

Per capire di cosa stiamo parlando guardatevi questo video in cui si dimostra come una bicicletta possa essere “accartocciata” nella dimensione di un bagaglio a mano e quindi ripristinata in meno di un minuto. L’attore protagonista è il suo progettista.

Il brevetto di Andrew Ritchie data 1979, e da allora le modifiche ed i miglioramenti sono stati pochissimi. Brompton è il primo fabbricante di biciclette della Gran Bretagna, e continua a costruire tutto “in casa” (anche se, come affermato in quest’altro video, potrebbe facilmente e convenientemente trasferire la produzione nel sud est asiatico).

Cosa ci si fa con una bici del genere? Situazione tipo: scendo di casa, la apro, pedalo fino alla fermata di metropolitana/bus, la richiudo, faccio un pezzo di strada col mezzo pubblico, scendo, la riapro, vado in un ufficio/negozio/quellochemipare, la richiudo, entro con la bici ridotta ad un bizzarro ma gestibile groviglio di tubi, faccio quel che devo fare, esco, la riapro, riprendo a pedalare, ecc. ecc.

Il fatto è che questa “bici/non bici” è davvero qualcosa di nuovo, che espande l’idea di intermodalità ad orizzonti “dove nessun ciclista urbano è mai giunto prima“, ogni fermata dei mezzi pubblici è a poche pedalate di distanza, posso ovviare alle incongruenze ed alle inefficienze della rete di trasporti cittadina con una facilità che dà i brividi.

La Brompton, più che una bici, è un’estensione dei piedi. Ecco quello che sono ora: un pedone con le ruote. Mi muovo come prima mi muovevo a piedi, solo mooolto più in fretta: alla velocità di un ciclista. Ma resto un pedone. E la “bici” pesa solo dieci chili, dunque comodamente gestibile anche a salire e/o scendere per le scale. Per i più pigri esiste una “modalità trolley” che la fa rotolare su una coppia di ruotine, come un qualunque bagaglio.

La guidabilità non è strepitosa, ma il “passo” è lungo, ed una volta fatta la mano si dimostra una bici compatta ma ben gestibile ed affidabile, dotata di marce integrate nel mozzo che consentono di affrontare pendenze diverse e garantiscono un’agilità estrema nelle aree pedonali particolarmente affollate.

Non ho il problema di lasciarla legata al palo a rischio furto, non ho il problema di lasciarla arrugginire sotto la pioggia, non ho neppure il problema delle forature, se càpita la chiudo e salgo sul primo autobus che passa.

Vabbé, fin qui i pro, ma ci sono anche i contro. Il primo è il costo, motivo che mi ha tenuto lontano dall’acquisto di questa bici per anni e parzialmente bypassato grazie agli incentivi statali. Poi il peso, il mio modello da 10kg è quello “top”, con parti in titanio. La versione “standard” senza portapacchi (quella di Manu) pesa quasi un chilo in più. Sembra poco, ma tiratevelo su per una rampa di scale e vi renderete conto che può fare la differenza.

Il “disincentivo” più grande è però la nostra limitata capacità d’immaginazione. Questa “bici/non bici” è difficile da immaginare, è un oggetto che mostra continui nuovi risvolti e potenzialità man mano che la si usa, qualcosa in grado di “spiazzare” perfino un ciclista esperto e smaliziato come me. Come diceva un commento letto su YouTube: “nell’uso pratico supera costantemente le aspettative“. Il limite vero, ad approcciare questa bici, sta nella nostra fantasia.

Di Traffico Si Muore

"There’s a progress we have found
A way to talk around the problems"

R.E.M. – "Fall on me" (Da "Lifes Rich Pageant", 1986)

Ad un mese e mezzo di distanza dalla tragica scomparsa di Eva la mobilitazione spontanea dei ciclisti romani ha dato vita ad un nuovo soggetto attivo sui temi della mobilità "leggera": il Coordinamento "Di Traffico Si Muore". Alla prima assemblea, ospitata nella sede dell’associazione Ciclonauti di cui Eva faceva parte, ne sono seguite molte altre. Abbiamo partecipato ad un primo incontro pubblico con i responsabili del Comune, e quindi ad un secondo incontro più ristretto, mirato a gettare le basi per un "tavolo tecnico" sulla mobilità ciclabile.

In queste settimane, dense di incontri e discussioni in rete, ma anche di azioni concrete e di una certa "vitalità mediatica", molte delle barriere che ci dividevano in tribù diffidenti ed incomunicanti hanno cominciato a cadere, il confronto diretto ci ha fatto comprendere che dobbiamo essere uniti contro chi, per leggerezza, ignavia o calcolo economico ci vuole in balia di un sistema di mobilità auto-centrico e nefasto.

Il percorso intrapreso non è semplice. Le "rivoluzioni dal basso" richiedono sempre una rinuncia a parte delle proprie individuali "rigidità" per poter giungere all’elaborazione di una piattaforma ampiamente condivisa. Il fatto che, molto faticosamente, ci stiamo riuscendo testimonia la maturità che i ciclisti romani hanno raggiunto in anni di lotte contro un’amministrazione cittadina fin qui cieca e sorda alle nostre più basilari necessità.

Da pochi giorni ci siamo dotati di nuovi strumenti informatici per comunicare fra noi ed all’esterno. Abbiamo aperto un Blog per dar conto degli appuntamenti, delle iniziative intraprese e di quelle che verranno,  che nelle intenzioni diventerà uno strumento di comunicazione ed un osservatorio aperto sui mille problemi che incontrano i ciclisti in città.

In parallelo è stato creato un Forum per discutere delle molte e diverse iniziative che stiamo sviluppando, a cui si è affiancato un Wiki per elaborare collettivamente documenti e manifesti d’intenti. Ben presto ci sarà la possibilità di aderire a questo progetto mediante una semplice registrazione on-line, e di iscriversi ad una newsletter per tenersi informati sull’evoluzione della situazione e delle iniziative in cantiere.

Quello che per noi è un sogno in altri paesi davvero civili è realtà, basta guardare questo video su Copenhagen tratto dal blog "Nuova Mobilità". Cinque minuti per arrivare fino in fondo e rendersi conto di quanto sia arretrato il nostro paese, ed in quale direzione si muova l’Europa in termini di vivibilità delle aree urbane.


Da noi, invece, di traffico si muore, e tutto quello che è possibile fare per aumentare la sicurezza sulle strade e la vivibilità delle nostre città non solo non è in cantiere, non è neppure nelle teste dei nostri amministratori. Con questa consapevolezza, e con la determinazione che ne consegue, andremo avanti nel nostro impegno per un sistema di trasporti più equo e sicuro per tutti. Chiunque vorrà darci una mano e collaborare a questo progetto collettivo sarà ben accetto/a.

Un paese ordinato


Reduce da una visita lampo in Svizzera, a casa di due amici che vivono dalle parti di Ginevra, cerco un po’ faticosamente di elaborare un’idea coerente delle differenze tra il paese in cui vivo e la terra elvetica. "Così vicini, così lontani" scrivevo un paio d’anni fa
dell’Albania. Lo stesso mi verrebbe da dire oggi, ma da una prospettiva completamente ribaltata.

La Svizzera è quello che l’Italia non ha saputo, o voluto, essere: la terra dell’ordine e della precisione, proverbiale ed a tratti quasi maniacale. Viverci è semplice, tutto funziona al meglio o è in procinto di migliorare ancora. A partire dalla mobilità.

A Ginevra la viabilità è ben gestita, scorrevole e sicura. In città le corsie ciclabili sono ben evidenziate sul manto stradale, i mezzi pubblici hanno la priorità sul traffico privato, anch’esso ordinato e regolare, la sosta in doppia fila semplicemente impensabile. Fuori città i frequenti "rondeaux" (rotatorie) spezzano la linearità delle strade provinciali imponendo di per sé una velocità moderata ed il rispetto degli altrui diritti di precedenza. Ogni via di transito ha una pista ciclabile in sede propria, o spazi ciclabili chiaramente tracciati sulla sede stradale.

Tutta questa perfetta organizzazione pone però, a noi italiani, un dubbio inquietante: perché noi non possiamo fare altrettanto? Perché non riusciamo, molto banalmente, a far tesoro del lavoro e dell’esperienza altrui? Perché ci ostiniamo a vivere nel caos?

Ricercare soluzioni in grado di migliorare la qualità della vita dovrebbe essere un comportamento profondamente radicato nell’animo umano, qualcosa che attiene all’idea stessa di progresso. Perché quello che avviene di norma in altri ambiti non riesce a funzionare nella gestione del traffico veicolare? O, volendo estendere il discorso, della "cosa pubblica" più in generale?

Quando una tecnologia segna un netto miglioramento rispetto alla precedente, buonsenso vuole che venga adottata con entusiasmo dalla gran parte delle persone. Questo accade in continuazione, ad esempio, per l’elettronica di consumo. Sul finire degli anni ’70 la TV a colori ha reso obsoleti i vecchi apparecchi in bianco e nero, e nessuno li rimpianse. Un decennio dopo il "Compact Disc" mandò in pensione il vinile senza grossi traumi. Più recentemente anche il CD ha dovuto cedere il passo alla praticità e compattezza dei player mp3 portatili.

Per fare altri esempi il vecchio telefono fisso col selettore a disco rotante è stato sostituito dai telefoni a pulsanti, quindi dai cellulari, e comincia a diventare di uso comune la tecnologia VoIP (voice over IP) che consente di dialogare via internet bypassando i contratti di telefonia classici. Nel campo informatico il software progredisce e migliora in versatilità ed usabilità di mese in mese, continuando ad aprire nuovi orizzonti alla conoscenza.

Alla base di questa evoluzione vi è un meccanismo molto semplice: la capacità di sperimentare e comprendere un miglioramento nella qualità dell’esperienza. Non serve essere in grado di elaborare il processo di sviluppo in prima persona, è sufficiente la capacità di comprendere i vantaggi del prodotto finale.

Non è indispensabile, ad esempio, saper progettare un telefono cellulare, un elettrodomestico, un computer. Basta prendere l’oggetto in mano e provarlo, comprendere che può offrirci delle opportunità che prima non avevamo, per decidere di desiderarlo ed, in prospettiva, possederlo.

Questo meccanismo semplicissimo, al limite dell’ovvietà, smette improvvisamente di funzionare se applicato alla gestione della qualità della vita urbana, della mobilità, del trasporto, di tutti quegli ambiti che attengono alla sfera pubblica della nostra esperienza. Non solo non siamo capaci di elaborare un’idea di progresso in questi settori, non siamo nemmeno in grado di copiare dagli altri che platealmente vivono meglio.

Mentre camminavo per Ginevra, ammirando una città moderna e funzionale, non potevo fare a meno di domandarmi quale "blocco mentale", quale condizionamento, impedisca a noi italiani di aspirare ad un analogo livello di qualità della vita urbana. A maggior ragione quanto più la distanza da tale modello cresca spostandosi da nord a sud.

Forse quello che più ci manca è l’esperienza diretta, e la nostra "tara culturale" più grave è il nostro provincialismo, l’incapacità di esplorare, di conoscere, di sperimentare. Non siamo, e probabilmente non siamo mai stati, almeno in secoli recenti, un popolo di viaggiatori, di esploratori. A differenza delle altre culture mitteleuropee gli italiani non viaggiano per conoscere, per imparare. Viaggiano per "divertirsi".

Li si trova a torme nelle grandi capitali, o nei "villaggi vacanze", ma basta spostarsi appena fuori dai percorsi ormai scontati del turismo massificato e pacchiano e subito spariscono, mentre non mancano mai tedeschi, francesi, inglesi. E quest’incapacità di viaggiare per conoscere è probabilmente motivata dalla necessità di fuggire dallo "stress quotidiano", di fermarsi a riposare dal caos della vita, così chiudendo il cerchio che a quel caos ci condanna.

Noi italiani siamo famosi all’estero, e celebrati, per la nostra creatività. Il vivere in un caos perenne, il dover inventare soluzioni continuamente per continui problemi, ha come contropartita una estrema elasticità mentale. Ma la paghiamo con l’incapacità di distinguere quale tra le mille soluzioni "inventate" sia davvero la migliore. Paghiamo con la supponenza di sapere sempre meglio degli altri quello che è giusto per noi, mentre spesso non è così. Quasi sempre non è così.

Notizia di oggi è la morte di una bambina di sette anni, investita sulle strisce pedonali da un’auto che correva ad al di sopra dei limiti di velocità. I genitori chiedono giustizia nei confronti dell’automobilista, che aveva sì la sua parte di colpe. Ma un attraversamento pedonale rialzato avrebbe garantito la sicurezza ed obbligato il rispetto dei limiti di velocità in quel punto. In Francia li hanno, in Svizzera li hanno, in Germania li hanno… noi no. A chi daremo la colpa la prossima volta?

Raccontino

Questo "raccontino" è girato recentemente su un po’ di liste e forum legate alla ciclabilità. Lo propongo anche qui.

"Stamattina mi sono alzato ed il sole era appena sorto. Ho fatto colazione, preparato le cose per la giornata, quindi sono uscito di casa in sella alla mia fedele bicicletta per andare in ufficio.
Per percorrere i sette chilometri che mi separano dal centro direzionale dove lavoro la bicicletta è una scelta ottimale. Pedalando senza fretta impiego meno di mezz’ora, e mi diverto anche. Lungo il percorso, lontano dalle arterie del pesante e rumoroso traffico veicolare, incrocio parecchi altri ciclisti, intere famiglie che accompagnano i bambini a scuola, ragazze che pedalano cantando, ed anche quando mi ritrovo da solo ci sono i gorgheggi degli uccelli a farmi compagnia.
L’esercizio fisico mette in moto muscoli e cervello, ed il mio corpo ritrova la sintonia. Insomma, la maniera perfetta di iniziare una giornata. Arrivato in ufficio lascio la mia bici nel parcheggio coperto e vigilato dell’edificio e provvedo a cambiarmi d’abito. Su un percorso così breve non ho neppure bisogno delle docce, comunque a disposizione per i miei colleghi che vengono da più lontano.
Penso che la scelta del mio paese di investire sulle forme di mobilità leggere sia stata vincente sotto tutti i punti di vista: le persone sono meno stressate di prima, più in salute e di buon umore, meglio disposte ad affrontare le difficoltà, ed anche il numero di morti e feriti in incidenti stradali è ridotto a cifre insignificanti."
Ma… aspetta… c’è qualcosa che non mi torna…

Poi mi sveglio. Era solo un sogno.

"Fuori è ancora buio, mi aspetta il solito tragitto in macchina: un’ora in fila indiana per percorrere sette stupidissimi chilometri, compreso il tempo di trovare parcheggio, con gente maleducata che ti taglia la strada, suona il clacson, sorpassa dove non può, ed i pedoni che attraversano quando gli pare. Se mi andrà bene avrò speso a fine giornata quattro o cinque euro solo di carburante, cento euro al mese netti, più bollo, assicurazione, meccanico, autolavaggio… e dopo due o tre anni mi toccherà cambiarla di nuovo. Maledetta macchina mangiasoldi e mangiavita. Ma andare in bicicletta in queste condizioni è impensabile. Troppo rischioso, non me la sento…"