Discriminazione modale

Oggi vi chiedo uno sforzo di fantasia. Immaginate una società, una cultura, che discrimini le persone in base al veicolo che scelgono per spostarsi. Immaginate che chi utilizzi il veicolo caldeggiato da detta società (o proposto… o imposto con un capillare martellamento pubblicitario, se preferite) venga premiato in ogni maniera possibile, e chi ne conduca altri, per scelta o per necessità, venga continuamente penalizzato.

Vi fa arrabbiare? Ora immaginate che chi sceglie il “veicolo A” abbia a disposizione strade a due o tre corsie, che gli sia consentito di occupare spazi pubblici per la sosta del proprio veicolo, che gli sia tollerato il lasciarlo in sosta in ogni dove ed in qualunque momento, che gli sia perdonato il mettere criminalmente a rischio la vita degli altri guidando in maniera spericolata superando i già troppo permissivi limiti di velocità, che gli sia consentito intasare le arterie cittadine impestando l’aria di fumi di scarico e producendo un frastuono fastidioso e nocivo.

Immaginate ora che chi sceglie il “veicolo B” sia obbligato a rischiare la propria incolumità condividendo le strade coi conducenti del “veicolo A”, a respirare i veleni emessi da tali veicoli, ad occupare il margine della carreggiata, quello più sporco, malmesso e scarsamente manutenuto, a sopportare i conducenti dei “veicoli A” che sorpassano ad alta velocità ed a brevissima distanza, spocchiosi, incuranti ed ignoranti della pericolosità di tale comportamento.

Immaginate che per la costruzione, cura e la manutenzione delle strade destinate ai guidatori dei “veicoli A” vengano spese somme ingenti, mentre per i guidatori dei “veicoli B” siano destinate solo le briciole, impiegate oltretutto per realizzazioni scadenti, inefficaci, scarsamente manutenute e rapidamente condannate all’abbandono. Immaginate che i voluminosi ed ingombranti “veicoli A” abbiano a disposizione spazi sconfinati per la sosta, e nonostante ciò strabordino in ogni dove, creando intasamenti e problemi a tutti gli altri utenti della strada, mentre per i leggeri e poco ingombranti “veicoli B” non esistano in pratica punti di sosta attrezzati e funzionali.

C’è da arrabbiarsi o no? C’è o no da domandarsi cosa mai possa motivare una simile ingiustizia? Bene, stupirà realizzare che la situazione appena descritta non sia affatto immaginaria, ma si verifichi qui ed ora, in questo stesso paese dove tutti noi viviamo, ogni giorno. Per comprenderlo è sufficiente sostituire a “veicolo A” la parola “Automobile” ed a “veicolo B” la parola “Bicicletta”.

Tempo addietro ebbi a scrivere: “Quando una minoranza opprime una maggioranza, si può chiamare in molti modi: Dittatura, Oligarchia, Tirannide… Quando invece è una maggioranza ad opprimere una minoranza, si può anche chiamare Democrazia”

Questo è il quadro attuale, una “democrazia di fatto” che tuttavia non impedisce alla maggioranza di automobilisti di irridere, svilire ed attentare con leggerezza all’incolumità fisica di una minoranza di ciclisti che chiedono solo di potersi spostare in sicurezza.

Letteralmente un regime di apartheid del tutto analogo a quello in voga negli U.S.A. fino agli anni ’50, ed in Sudafrica fino a tempi più recenti, che discrimina le persone non in virtù del colore della pelle ma del mezzo che hanno scelto di utilizzare per spostarsi. Una discriminazione non meno stupida e non meno odiosa.

Cosa ancor più grave: una discriminazione di cui neppure i ciclisti stessi sono consapevoli fino in fondo. Quello che hanno rappresentato Rosa Parks, Martin Luther King, Malcolm-X, Stephen Biko, Nelson Mandela per i diritti dei neri, i ciclisti non l’hanno ancora trovato, e le catene mentali ed i condizionamenti della società dei consumi li portano ad oggi ad accettare passivamente la propria presunta inferiorità, ad ignorare i propri diritti negati, ad accettare, se non addirittura giustificare, l’oppressione.

L’industria ed il mercato hanno imposto negli anni una sorta di pensiero unico orwelliano che afferma sottilmente che le automobili sono gli unici veicoli ad avere pieno titolo di percorrere le strade, senza subire l’intralcio di altre forme di mobilità (pedoni e ciclisti) destinate ad essere emarginate e ghettizzate. La grancassa pubblicitaria continua a veicolare modelli arroganti e cafoni, che nel tempo sono stati acriticamente introiettati da molti.

Ma una presa di coscienza collettiva ha ormai iniziato il suo cammino, e voglio credere che non si fermerà finché a tutti i veicoli che circolano sulle strade siano garantiti gli stessi diritti, primo fra tutti quello all’incolumità personale. Il gruppo Facebook “Salviamo i ciclisti” ha ormai superato i 7500 iscritti e si sta rivelando un ottimo focolaio di “infezione culturale”, aiutando tutti noi a strutturare idee fin qui poco definite. Sono convinto che ci porterà lontano.

Rosa Parks

Un ciclista da marciapiede

Premetto che sono molto arrabbiato. Da ormai due settimane partecipo attivamente alla campagna “Salviamo i ciclisti”, promotrice di un ripensamento del luogo comune che vuole i ciclisti corresponsabili della pericolosità delle strade. È un lavoro iniziato a Roma due anni fa, avviato dalla morte di Eva, proseguito attraverso il coordinamento Di Traffico Si Muore, e che è finalmente approdato ad una dimensione nazionale.

Giusto ieri la fatidica goccia che fa traboccare il vaso: il comune di Milano commemora la memoria di Giacomo, ragazzo di dodici anni schiacciato da un tram per colpa dell’apertura distratta della portiera di un’auto parcheggiata in seconda fila. Lo fa con un “Manuale per la sicurezza del Ciclista” in formato e-book (non intendo linkarlo, cercatevelo) nel quale, per l’ennesima volta, di tutto l’onere della sicurezza sulle strade si fanno carico unicamente i ciclisti, oltretutto ribadendo l’obbligo di “rispettare le regole” del CDS.

Difficile far comprendere a dei non ciclisti la rabbia che sto provando in questo momento, come pure la vergogna che provo nei confronti di quell’amministrazione comunale, specchio di ogni altra amministrazione pubblica italiana, sottoprodotti di un elettorato pigro, opportunista e conformista, appiattito sui luoghi comuni che i mass media e la pubblicità delle case automobilistiche veicolano da decenni.

Difficile, dicevo, ma ci proverò. Con degli esempi.

Immaginate di voler “commemorare” la memoria di una donna stuprata ed uccisa con un manuale di comportamento che inviti le donne ad indossare il Burqa, a non uscire da sole, a rinunciare alla propria autonomia e libertà.

Immaginate di voler “commemorare” i bambini mutilati ed uccisi dalle mine anti-uomo fabbricate in Italia con un manuale che suggerisca ai bambini che vivono nei teatri di guerra di non raccogliere oggetti strani, e se possibile che le famiglie stesse non li facciano uscire di casa.

Non vi sembrerebbero delle beffe crudeli? Non vi sembrerebbero proposte oscene?

Beh, qui siamo in una situazione del tutto analoga. Le strade italiane mietono più vittime “civili”, ovvero utenti disarmati come pedoni e ciclisti, di un qualsiasi teatro di guerra. Vediamo i funerali di stato per occasionali soldati uccisi in Afghanistan, ma le migliaia di vittime della motorizzazione di massa passano quotidianamente sotto silenzio.

La stampa parla di “incidenti”, ma migliaia di morti ogni anno, per decenni, sempre con le stesse dinamiche non sono classificabili come incidenti, sono l’indicazione di un meccanismo fallace, sbagliato, sostanzialmente criminale e purtroppo impossibile da rimettere in discussione. La pericolosità delle automobili, la loro parificazione con armi di offesa, è un tabù immenzionabile, un tragico “rimosso” della cultura contemporanea.

A questi signori, che pontificano dall’alto di lussuosi scranni di cose che non conoscono, che non hanno mai percorso in prima persona in bicicletta quelle stesse strade sulle quali veniamo falciati ed uccisi quasi ogni giorno, che si limitano a buttarci un occhio annoiato mentre vengono scarrozzati sulle auto blu, che hanno abbandonato le pubbliche strade all’arroganza del più forte, alla cafonaggine del “più grosso”, all’abbandono ed al “far-west”, e nonostante questo pretendono di insegnarci quello che “dobbiamo fare” per la nostra sicurezza, vanno tutta la mia disistima ed il mio disprezzo.

Io lo so benissimo cosa devo fare per la mia sicurezza. L’ho imparato sulla mia pelle in ventiquattro anni di ciclismo urbano sulle strade di una città violenta e selvaggia come Roma. L’ho imparato vedendo amici e conoscenti incidentati, traumatizzati, finiti in coma, morti. Domandandomi ogni volta che si usciva insieme “Chi sarà il prossimo? A chi toccherà la prossima volta?” L’ho imparato e sono sopravvissuto.

E la dura lezione della strada è semplice e brutale: “dimenticati delle leggi fatte dagli altri… se vuoi sopravvivere le leggi fattele da te, e rispetta solo quelle”. Il Codice della Strada italiano ha delle norme in teoria molto valide. Ma se vengono sistematicamente ignorate e disattese, se non vengono fatte rispettare a quelli che rischiano la pelle altrui e non la propria, diventa ancor meno utile della carta igienica.

Il Codice della Strada ci obbliga a stare sulla carreggiata, ma non è in grado di obbligare le automobili a sorpassarci ad una distanza di sicurezza, negandoci di fatto la fruizione di quello spazio. Non stupisca se a quel punto me ne prendo altri. Ho bici ammortizzate in grado di salire e scendere al volo dai marciapiedi: mi prendo i marciapiedi. Non sono meglio della strada, mi rallentano e mi fanno litigare coi pedoni, ma rappresentano comunque un male minore rispetto alle fratture o alla morte.

Le piste ciclabili sono fatte male, sconnesse, spezzettate, sporche, semi-abbandonate, ingombre di pali, raffazzonate… se ho fretta mi riprendo la strada, con buona pace del fatto che il CDS mi obblighi a stare sulla pista.

E quando sono sulla sede stradale, se posso avvantaggiarmi di un tratto libero dal traffico “bruciando” un semaforo in sicurezza non ci penso su due volte. Più lontano mi tengo dalle automobili più difficilmente potranno urtarmi. Passo sui prati, scendo scalinate, imbocco strade contromano, ma non per divertimento o allegra incoscienza, semplicemente per tutelare la mia sicurezza, dal momento che né la legge né lo stato se ne preoccupano minimamente.

Non pretendo che questo mio comportamento venga preso a modello, non sto qui ad incoraggiare altri a seguirlo, è semplicemente il risultato di un’evoluzione personale. Non copiatemi perché su di voi potrebbe non funzionare: servono riflessi pronti, esperienza, freddezza ed una esatta percezione dell’istante.

Ma ho già visto troppi ciclisti rispettare le leggi e venir falciate da altri che non le rispettavano, il tutto nell’indifferenza o con la connivenza delle pubbliche amministrazioni a qualsiasi livello, nel perenne rimasticamento di luoghi comuni dei mass-media, nelle “lacrime di coccodrillo” del politico di turno. Non si può pretendere il rispetto delle leggi da parte dei soggetti maggiormente penalizzati da quelle stesse leggi, quando poi si abbandonano le strade al totale arbitrio, all’anarchia, alla giungla.

Quello che mi sento di dire ai ciclisti è molto semplice: il rispetto delle leggi non vale la vostra vita. Rispettate voi stessi, perché le leggi non vi rispettano, né tantomeno gli utenti “corazzati” della strada lo faranno. Tutelate voi stessi, perché il codice della strada non vi tutela, gli organi preposti non vi tutelano, gli amministratori pubblici non vi tutelano, i legislatori non vi tutelano.

Indossate pure il casco, ma non fidatevi del casco.

Accendete pure le luci di notte, ma non fidatevi delle luci.

Rispettate pure il CDS, ma non fidatevi del CDS.

Condividete pure la strada con gli automobilisti, ma non fidatevi degli automobilisti.

E soprattutto… state attenti là fuori, è un mondo spietato.

E tale rimarrà finché non l’avremo cambiato.

Caro Sindaco, #salvaiciclisti

Caro Sindaco,

Come avrà già avuto modo di apprendere dalle notizie degli ultimi giorni, l’Italia si posiziona al terzo posto in Europa per mortalità in bicicletta. Negli ultimi 10 anni, ben 2.556  ciclisti hanno perso la vita sulle nostre strade ed è per porre freno a questa situazione che due settimane or sono abbiamo lanciato in Italia la campagna #salvaiciclisti con cui abbiamo chiesto al Parlamento italiano l’applicazione degli 8 punti del Manifesto del Times.
In questi i giorni il Parlamento sta facendo la propria parte ed una proposta di legge sottoscritta da (quasi) tutte le forze politiche è pronta per la presentazione alla Camera e al Senato. Senza il suo preziosissimo contributo di amministratore locale, però, anche la migliore delle leggi rischia di restare lettera morta ed è per questo che siamo a chiedere la sua adesione alla campagna #salvaiciclisti per il miglioramento della sicurezza dei ciclisti nella sua città.

 

Aderendo a #salvaiciclisti si impegnerà quindi a:
1.        Garantire l’applicazione a livello locale degli 8 punti del Manifesto del Times per
           le aree di competenza comunale,
2.        Formulare le opportune strategie per incrementare almeno del 5% annuo gli
           spostamenti urbani in bicicletta nei giorni feriali,
3.        Contrastare il fenomeno del parcheggio selvaggio (sulle strisce pedonali, in
           doppia fila, in prossimità di curve ed incroci, sulle piste ciclabili),
4.        Far rispettare i limiti di velocità stabiliti per legge e istituire da subito delle
           “Zone 30” e “zone residenziali” nelle aree con alta concentrazione di pedoni e
           ciclisti,
5.        Realizzare, qualora mancante, un Piano Quadro sulla Ciclabilità o Bici Plan,
6.        Monitorare e ridisegnare i tratti più pericolosi della città per la viabilità ciclistica
           di comune accordo con le associazioni locali,
7.        Redigere annualmente un documento pubblico sullo stato dell’arte nel proprio
           comune di competenza della viabilità ciclabile indicando i risultati dell’anno
           appena trascorso e gli obiettivi futuri,
8.        Dotare ogni strada di nuova costruzione o sottoposta ad interventi straordinari di
           manutenzione straordinari con un percorso ciclabile che garantisca il pieno
           comfort del ciclista,
9.        Promuovere una campagna di comunicazione per sensibilizzare tutti gli utenti
           della strada sulle tematiche della sicurezza,
10.      Dare il buon esempio recandosi al lavoro in bicicletta per infondere fiducia nei
           cittadini e per monitorare personalmente lo stato della ciclabilità nella sua città

 

È perché riteniamo che la campagna #salvaiciclisti  sia dettata dal buon senso e da una forte dose di senso civico che chiediamo un suo contributo affinché anche in Italia il senso civico e il buon senso prendano finalmente il sopravvento.
Chiunque volesse contribuire al buon esito di questa campagna può condividere questa lettera attraverso Facebook, attraverso il proprio blog o sito, attraverso Twitter utilizzando l’hashtag  #salvaiciclisti e, ovviamente, inviandola via mail al sindaco della propria città e ai sindaci delle città capoluogo di regione.
Puoi scaricare da qui la lista degli indirizzi mail delle città capoluogo: lista.
Se non conosci l’indirizzo mail del tuo sindaco, puoi trovarlo a questo sito: link.
Il  gruppo su Facebook sta aspettando nuove idee per continuare la campagna.

Hanno  lanciato la seconda fase della campagna #salvaiciclisti:

  1. http://piciclisti.wordpress.com
  2. http://amicoinviaggio.it
  3. http://rotafixa.it
  4. http://biascagne-cicli.it
  5. http://nuovamobilita.wordpress.com
  6. http://mazzei.milano.it
  7. www.ediciclo.it
  8. www.ciclomundi.it
  9. http://festinalente.ztl.eu
  10. http://milanonmybike.blogspot.com
  11. http://areabici.blogspot.com
  12. www.greenme.it
  13. www.bicizen.it
  14. http://Fiab-onlus.it
  15. http://LifeGate.it
  16. http://lifeintravel.it
  17. http://Lucaconti.blogspot.com
  18. www.raggidistoria.com
  19. http://www.ciclonauti.org
  20. http://riky76omnium.wordpress.com
  21. http://34×26.wordpress.com
  22. http://ilikebike.org
  23. http://rotalibra.wordpress.com
  24. https://mammiferobipede.wordpress.com
  25. http://Urbancycling.it
  26. http://biciebasta.com
  27. http://muoviequilibri.blogspot.com

DDL Ferrante: “Interventi per lo sviluppo e la tutela della mobilità ciclistica”

(l’attività del gruppo #Salvaiciclisti inizia a produrre i primi risultati)

DISEGNO DI LEGGE

d’iniziativa del Sen. Francesco Ferrante,……

“Interventi per lo sviluppo e la tutela della mobilità ciclistica”

On. Colleghi: questo disegno di legge ha lo scopo di recepire nella nostra legislazione le richieste formulate nell’appello “Salviamo i ciclisti”. In sostanza si vuole intervenire per fermare il drammatico numero di incidenti, spesso mortali, del quale sono testimoni le strade delle nostre città.

Il tutto è partito dalla campagna “Cities fit for cycling” del Times a sostegno della sicurezza dei ciclisti. Il noto quotidiano di Londra, il 2 febbraio scorso, dopo un grave incidente subito in novembre da una sua giornalista ora in coma, aveva aperto la sua homepage con un appello, chiedendo al governo inglese una serie di azioni da porre immediatamente in campo per tentare di fermare una strage che ha contato, in 10 anni, ben 1.275 ciclisti uccisi.

Successivamente è arrivato anche in Italia, rilanciato da decine di blogger e di siti dedicati al mondo delle mobilità ciclistica. Raggiungendo in pochi giorni oltre 20 mila adesioni, che di giorno in giorno stanno aumentando.

Anche perché in Italia il dato inglese drammaticamente raddoppia. In 10 anni in Italia sono stati 2.556 i ciclisti vittime della strada. Nel 2010 il nostro è stato il terzo Paese europeo per numero di morti tra i ciclisti che percorrono le strade, 263 contro i 462 della Germania e i 280 della Polonia.

Questi numeri drammatici derivano anche dal cronico ritardo delle nostre città, rispetto al resto dell’Europa, di dotarsi di piste ciclabili.

E’ giunto il momento di riconoscere, ad ogni livello amministrativo e politico, la ciclabilità non solo come parte integrante della moderna mobilità quotidiana ma come soluzione efficace e a impatto zero per gli spostamenti cittadini personali su mezzo privato. Deve essere riconosciuto l’elevato valore sociale della mobilità ciclistica. Il suo sviluppo e la sua tutela, nel nostro Paese lungamente sottovalutati e anzi depressi dall’attenzione centrata sulla mobilità a motore gli attuali standard europei, già da anni a livelli altissimi e in Italia quasi inesistenti. La sicurezza delle persone che scelgono di spostarsi in bici deve essere considerata una priorità, da raggiungere soprattutto e in prima battuta attraverso la limitazione e la moderazione del traffico veicolare a motore. L’attenzione del legislatore alla sicurezza si deve concentrare su decise azioni di limitazione della velocità in ambito urbano.

L’approvazione di questo disegno di legge, a costo zero per le casse dello Stato, vorrebbe dire che anche in Italia, finalmente, si vuole favorire la cultura del rispetto delle regole della circolazione stradale, dando maggiore tutela e sicurezza a chi utilizza la mobilità ciclistica, in modo anche di favorirne la sempre maggiore diffusione, inoltre sarebbe anche un contributo a ridurre, ove possibile, la quota di spostamenti su auto privata a vantaggio di un sistema di mobilità che porterebbe innegabili vantaggi da diversi punti di vista, quali solo ad esempi esplicativi quelli ambientali e trasportistici.

DISEGNO DI LEGGE

“Interventi per lo sviluppo e la tutela della mobilità ciclistica”

Articolo 1

(Finalità)

1. La presente legge ha la finalità di favorire la cultura del rispetto delle regole della circolazione stradale, dando maggiore tutela a chi utilizza la mobilità ciclistica, nonché ad incentivare e sviluppare l’uso della mobilità ciclistica.

Articolo 2

(Obbligo per gli autoarticolati di dotarsi di strumenti tecnici a tutela della mobilità ciclistica)

1. Al fine di realizzare gli obiettivi di cui all’articolo 1, il Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture emana entro 90 giorni, dall’approvazione della presente legge, un decreto che introduca, nel Decreto Legislativo N. 285 del 30/04/1992, e successive modificazioni, e nel regolamento di attuazione di cui al D.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495, l’obbligo per gli autoarticolati che transitano nei centri urbani di essere dotati di sensori, allarmi sonori che segnalino la svolta, specchi supplementari e barre di sicurezza e altri strumenti tecnici che tutelino la mobilità ciclistica e le relative norme tecniche di applicazione

Articolo 3

(Impiantistica e strumenti tecnici incroci pericolosi)

1. Al fine di realizzare gli obiettivi di cui all’articolo 1, il Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture sentite le Regioni e gli enti locali, entro 90 giorni, dalla approvazione della presente legge, realizza, senza oneri aggiuntivi a carico del bilancio dello Stato, il monitoraggio degli incroci più pericolosi affinché entro i successivi 90 giorni siano impiantati, nelle suddette aree, semafori preferenziali per i ciclisti, specchi e altri strumenti tecnici che permettano ai guidatori di autoarticolati, autovetture e di moto e ciclomotori di individuare la presenza dei fruitori della mobilità ciclistica.

Articolo 4

(Monitoraggio mobilità ciclistica)

1. Al fine di realizzare gli obiettivi di cui all’articolo 1, il Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture entro 90 giorni, dalla approvazione della presente legge, realizza, senza oneri aggiuntivi a carico del bilancio dello stato, un’indagine nazionale per determinare il numero di persone che utilizzano la mobilità ciclistica, le aree interessate dalla mobilità ciclistica, il numero totale di chilometri di piste ciclabili e la loro dislocazione nelle diverse aree del Paese, nonché il numero dei ciclisti oggetto di incidenti. Tale indagine deve avere cadenza annuale e deve essere illustrata, entro il 31 dicembre di ogni anno alle competenti Commissioni Parlamentari.

Articolo 5

(Trasferimento del 2% del budget delle società gestori autostradali per la realizzazione di piste ciclabili)

1. E’ fatto obbligo alle società che gestiscono strade e autostrade di destinare il 2% del proprio budget agi enti locali per la realizzazione di piste ciclabili. Il Ministero dell’economia e delle Finanze d’intesa con il Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture emana entro 90 giorni, dalla approvazione della presente legge, un decreto che stabilisce le modalità e i criteri del trasferimento di risorse di cui al presente articolo.

Articolo 6

(Test di guida)

1. Al fine di realizzare gli obiettivi di cui all’articolo 1, il Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture entro 90 giorni, dall’approvazione della presente legge, emana un decreto che introduca, nel Decreto Legislativo N. 285 del 30/04/1992, e successive modificazioni, e nel regolamento di attuazione di cui al D.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495, i criteri, le modalità e i principi per la realizzazione di corsi di formazione, atti a migliorare la sicurezza per quanti usufruiscono della mobilità ciclista. La partecipazione ai corsi di cui al presente articolo diventa requisito obbligatorio per il conseguimento della patente di guida.

Articolo 7

(Limiti di velocità in aree residenziali)

1. Al fine di realizzare gli obiettivi di cui all’articolo 1, il Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture entro 90 giorni, dall’entrata in vigore della presente legge, emana un decreto che introduca, nel Decreto Legislativo N. 285 del 30/04/1992, e successive modificazioni, e nel regolamento di attuazione di cui al D.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495, l’obbligo del limite di 30 km/h di velocità massima nelle aree residenziali sprovviste di piste ciclabili.

Articolo 8

(Affidamento ad aziende private e pubbliche delle realizzazione e gestione delle piste ciclabili)

1. Le aziende private o pubbliche o a persone fisiche possono sponsorizzare la creazione di piste ciclabili e superstrade ciclabili anche attraverso l’attività di gestione di noleggi biciclette nelle suddette aree.

Articolo 9

(Istituzione di un commissario alla mobilità ciclistica)

1. Al comma 1 dell’articolo 3 del decreto ministeriale del 27 marzo 1998 dopo le parole “… responsabile della mobilità aziendale…” sono aggiunte le seguenti parole “…e uno con specifiche competenze in materia di mobilità ciclistica…”;

2. al comma 3 dell’articolo 3 del decreto ministeriale del 27 marzo 1998 dopo le parole “…struttura di supporto e coordinamento,…” aggiungere le seguenti parole “…all’interno della quale devono essere individuate specifiche responsabilità con competenze sulla mobilità ciclistica,…”.

Articolo 10

(Aumento delle sanzioni amministrative)

1. Le sanzioni amministrative pecuniari previste dall’articolo 141 del Decreto Legislativo N. 285 del30/04/1992, e successive modificazioni, sono raddoppiate.

Articolo 11

(Entrata in vigore)

1. Le disposizioni della presente legge entrano in vigore il giorno successivo alla pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale

“Salva i ciclisti. Salva il mondo intero…”

Sulla strada

(Il brano che segue è stato scritto molti anni fa, e successivamente pubblicato in diversi siti e blog della rete. Lo ripropongo qui con minimi aggiustamenti…)

Qualche tempo fa, con alcuni amici ed amiche, mi trovavo a pedalare sul confine tra l’Umbria e le Marche. La strada correva sulla cresta di una dorsale collinare, ed il panorama si apriva ora a nord ora a sud, a volte su tutti e due i versanti contemporaneamente rivelando, complice la bella giornata primaverile, da un lato il morbido digradare delle colline in direzione del lago Trasimeno, dall’altro lo scabro paesaggio della Serra di Burano, alle cui spalle, in distanza, incombevano i massicci del monte Nerone e del monte Catria. La strada era così bella, e la giornata talmente perfetta, che ci siamo ripromessi di inserire fra le iniziative dell’anno seguente un’escursione che effettuasse quel percorso.

Subito è sorta una discussione sul nome da dare alla gita e, dal momento che non era presente sul tracciato alcuna località degna di nota, qualcuno si è domandato come si chiamasse la strada; gli è stato risposto, leggendo sulla cartina: “S.P. 628”. Sembrava una battuta: “Weekend in bicicletta sulla strada provinciale n°628”; il commento unanime è stato: “…improponibile, non ci verrebbe nessuno”.

Siamo ripartiti. La strada era sempre bellissima, mentre scendevamo verso Gubbio fra morbidi tornanti immersi nel verde, e io mi chiedevo perché non ci fosse modo di convincere i nostri amici a venire a vedere un luogo così bello, e non mi davo pace. Perché, mi domandavo, la gente si muove per andare a visitare un paese, una città, e non una strada? Alla fine del rimuginare ho compreso la natura del problema, in realtà molto più profonda e complessa di quanto non appaia a prima vista.

La conclusione a cui sono approdato è che le strade sono ormai diventate dei “non luoghi”, la gente le percorre in automobile a velocità tali da renderle nulla più che un fastidioso intermezzo tra la località di partenza e quella di arrivo, una specie di “tassa” da pagare per “arrivare” da qualche parte. Questo è già un primo distinguo importante: l’automobile è un veicolo che serve per “arrivare”, a differenza della bicicletta, un veicolo che serve per “viaggiare”, si tratta di due condizioni notevolmente diverse.

Analizzando più a fondo, a differenza dell’andare in bici lo spostamento in automobile è composto di due fasi nettamente distinte: la prima in cui il veicolo è fermo e il passeggero/autista si trova all’esterno, nella condizione di muoversi liberamente, di camminare, di guardarsi intorno a trecentosessanta gradi, di percepire i suoni e gli odori, in poche parole: libero; la seconda in cui il veicolo è in movimento e lo stesso passeggero/autista si trova rinchiuso (pressoché immobilizzato) all’interno dell’abitacolo, col rumore del motore o dell’autoradio nelle orecchie e, sempre più spesso, l’aria condizionata che ricicla gli odori di plastica e deodoranti artificiali. A tutto ciò, nel caso del guidatore, vanno aggiunti lo stress e la fatica indotti dal condurre il veicolo (checché ne dica la pubblicità, che mostra sempre persone felici e sorridenti). Ridefinire nell’immaginario collettivo, e far percepire come “piacevole”, la condizione di passeggero/autista rappresenta, attualmente, uno dei più grossi sforzi portati avanti dall’industria automobilistica.

Ovviamente, per salvaguardare l’immagine del prodotto e sfruttando l’inconscio desiderio, da parte dell’acquirente dell’automobile, di avere conferma della bontà dell’acquisto fatto, tutti i disagi sofferti vengono da sempre addebitati alla strada.

Strada che diventa “brutta” perché “piena di curve” e il fatto di percorrerla a velocità sostenuta provoca nausea e vertigini (laddove le vie montane più belle e panoramiche sono quasi sempre ricavate su percorsi tortuosi, a causa dell’irregolarità dei fianchi delle pareti).

Strada che diventa “pericolosa” perché stretta, dal momento che l’automobilista è abituato, e spesso incoraggiato, a correre (basti pensare allo spazio riservato dai media alle gare di Formula 1, competizioni che ancora in molti considerano uno sport).

Strada che rimane, sempre e comunque, uno spazio “morto”, impossibile da apprezzare e fruire in alcun modo proprio a causa delle limitazioni intrinseche dell’oggetto automobile, spazio da percorrersi alla massima velocità possibile per riguadagnare al più presto, una volta giunti a destinazione, la propria libertà di movimento.

Strada che, nell’unica prospettiva di diventare funzionale ad una forma di spostamento che deve essere sempre e solo veloce, frettolosa, distratta (dal momento che è indispensabile essere concentrati sulla guida se si vogliono evitare incidenti), finisce col diventare sempre più spesso un oggetto mostruoso.

Ed ecco, quindi, sterminate ed orribili lingue d’asfalto perfettamente rettilinee e perfettamente noiose, delimitate da guard-rails metallici che nascondono i panorami ed evocano le sbarre di una gabbia, sulle quali sfrecciare a non meno di 100 km l’ora. Ed ecco il territorio ridursi ad una serie di “microluoghi”, borghi, paesi, frazioni, uniti da direttrici più o meno “comode” da percorrere, più o meno “funzionali” a quello che l’industria dell’automobile vuole convincerci a fare, ovvero rinunciare all’uso delle gambe (ed, eventualmente, anche del cervello).

Ma io, pensavo, sono un ciclista (o, meglio, un cicloturista) a me servono fondamentalmente due cose: una è la bicicletta, l’altra è la strada.

La strada, però, come spazio ricavato “nel” territorio, come elemento qualificante del territorio stesso, come percorso di conoscenza ed apprendimento di quanto il territorio contiene ed offre. Uno spazio da percorrere metro dopo metro, per avere realmente la possibilità di entrarvi a contatto; uno spazio da conoscere, da ascoltare, da annusare, in qualche modo anche da toccare; uno spazio che mi sfida, con le sue salite e le asperità del terreno, che mi seduce con le sue discese, nel quale muovermi o fermarmi, in qualunque momento, per meglio apprezzare uno scorcio o un nuovo panorama. Uno spazio mai ostile, perché mai ostile è il mio modo di approcciare ad esso. Uno spazio per essere vivo, felice, consapevole.

Tanto può essere “diversa” la stessa strada, per un ciclista ed un automobilista che la percorrano, quanto diverso è il modo che hanno di utilizzarla, ovvero quanto diverse sono le possibilità che il mezzo che conducono consente loro di fruire. Il rischio, che in molti casi si è già tramutato in realtà, è che il numero soverchiante di automobilisti finisca col trasformare il tessuto stradale, l’intera rete viaria, ad immagine propria e del veicolo da essi prescelto.

Per questo, prima che interventi dissennati in nome di una maggior tutela e sicurezza degli automobilisti producano la trasformazione delle nostre belle strade di campagna in corridoi recintati per bolidi a motore, sarebbe auspicabile la crescita di una maggior consapevolezza da parte dei pubblici amministratori, che faccia della tutela delle strade secondarie, sotto il profilo estetico e paesaggistico, un bene da salvaguardare.

Che poi, col tempo, ci auguriamo si finirà pure col comprendere e riscoprire.

Democrazia l’è morta

“I partiti sono ormai solo strutture parassitarie incistate all’interno di un sistema in cui chi ha valanghe di soldi decide cosa dobbiamo sapere e cosa dobbiamo pensare (attraverso la televisione, i giornali, la pubblicità), ed i politici di professione solo pupazzi che prestano la propria faccia a mascherare questa triste verità”

(mio commento su mantellini.it)

Salviamo i ciclisti

Gentili direttori del Corriere della Sera, Repubblica, La Stampa, Gazzetta dello Sport, Corriere dello Sport, Il Messaggero, Il Resto del Carlino, il Sole 24 Ore, Tuttosport, La Nazione, Il Mattino, Il Gazzettino, La Gazzetta del Mezzogiorno, Il Giornale, Il Secolo XIX, Il Fatto quotidiano, Il Tirreno, Il giornale di Sicilia, Libero, La Sicilia, Avvenire.

La scorsa settimana il Times di Londra ha lanciato una campagna a sostegno delle sicurezza dei ciclisti che sta riscuotendo un notevole successo (oltre 20.000 adesioni in soli 5 giorni).

In Gran Bretagna hanno deciso di correre ai ripari e di chiedere un impegno alla politica per far fronte agli oltre 1.275 ciclisti uccisi sulle strade britanniche negli ultimi 10 anni. In 10 anni in Italia sono state 2.556 le vittime su due ruote, più del doppio di quelle del Regno Unito.

Questa è una cifra vergognosa per un paese che più di ogni altro ha storicamente dato allo sviluppo della bicicletta e del ciclismo ed è per questo motivo chiediamo che anche in Italia vengano adottati gli 8 punti del manifesto del Times:

1. Gli autoarticolati che entrano in un centro urbano devono, per legge, essere dotati di sensori, allarmi sonori che segnalino la svolta, specchi supplementari e barre di sicurezza che evitino ai ciclisti di finire sotto le ruote.

2. I 500 incroci più pericolosi del paese devono essere individuati , ripensati e dotati di semafori preferenziali per i ciclisti e di specchi che permettano ai camionisti di vedere eventuali ciclisti presenti sul lato.

3. Dovrà essere condotta un’indagine nazionale per determinare quante persone vanno in bicicletta in Italia e quanti ciclisti vengono uccisi o feriti.

4. Il 2% del budget dell’ANAS dovrà essere destinato alla creazione di piste ciclabili di nuova generazione.

5. La formazione di ciclisti e autisti deve essere migliorata e la sicurezza dei ciclisti deve diventare una parte fondamentale dei test di guida.

6. 30 km/h deve essere il limite di velocità massima nelle aree residenziali sprovviste di piste ciclabili.

7. I privati devono essere invitati a sponsorizzare la creazione di piste ciclabili e superstrade ciclabili prendendo ad esempio lo schema di noleggio bici londinese sponsorizzato dalla Barclays

8. Ogni città deve nominare un commissario alla ciclabilità per promuovere le riforme.

Cari direttori, il manifesto del Times è stato dettato dal buon senso e da una forte dose di senso civico. È proprio perché queste tematiche non hanno colore politico che chiediamo un contributo da tutti voi affinché anche in Italia il senso civico e il buon senso prendano finalmente il sopravvento.

Vi chiediamo di essere promotori di quel cambiamento di cui il paese ha bisogno e di aiutarci a salvare molte vite umane.

Chiunque volesse contribuire al buon esito di questa campagna può condividere questa lettera attraverso Facebook, attraverso il proprio blog o sito, attraverso Twitter utilizzando l’hashtag #salvaiciclisti e, ovviamente, inviandola via mail ai principali quotidiani italiani.

Scarica qui la lista degli indirizzi mail.

Tutti gli aderenti all’iniziativa saranno visibili sulla pagina Facebook: salviamo i ciclisti

Raccogliendo i cocci

(UPDATE: dalla data di pubblicazione di questo post Dropbox.com ha modificato l’accessibilità ai files in modalità HTML, rendendo tutti i link interni all’articolo di nuovo irraggiungibili. Cercherò una maniera per rimetterli nuovamente online)

Sulla scomparsa del blog RomaPedala, inghiottito dalla dissoluzione della piattaforma che lo ospitava, ho avuto modo di scrivere una settimana fa un post che si concludeva con: “Tutto quello che ho potuto fare, in extremis e con qualche acrobazia, è stato di salvare almeno i miei post (…) A giorni conto di rimetterli on-line.”

In realtà di tentativi per salvare i contenuti del blog ne avevo fatti diversi, fin dal momento in cui è stato chiaro che Splinder sarebbe andato a fondo e l’owner del blog, SempreOltre, non avrebbe mosso un dito per salvare anni e anni di dibattiti e confronti.

Tentativi tutti naufragati, purtroppo, vuoi a causa di un template privo degli “agganci” necessari a rendere fattibile il backup del sito da parte di programmi automatici (nella fattispecie l’archivio delle mensilità), vuoi a causa della progressiva dismissione dei server e delle linee dati utilizzate da Splinder, che ne rendevano lentissima ed inaffidabile la navigazione.

Tuttavia, nelle sue ultime ore di “vita”, probabilmente a causa dell’abbandono in massa anche degli ultimi utenti, in un ultimo sprazzo di esistenza RomaPedala è ridiventato fruibile e navigabile, consentendomi di salvare in locale se non i passa tremila post complessivi quantomeno le poche decine da me inseriti.

Fatto ciò ho realizzato che potevo sfruttare le potenzialità di DropBox per rimettere on-line quella manciata di pagine web recuperate in extremis, e rimetterle a disposizione di tutti quelli per cui Romapedala aveva significato qualcosa. Si è reso necessario un discreto lavoro di editing per reindirizzare i link, ma alla fine il risultato non è disprezzabile.

Ovviamente ora le pagine sono “statiche”, quindi non è più possibile usufruire delle funzioni del motore di blog ed aggiungere ulteriori commenti… né, a mio parere, avrebbe senso. Per la navigazione si possono utilizzare le pagine di indice, partendo dalla meno recente che trovate a questo link. Le successive sono accessibili a fondo pagina, sotto l’ultimo post, alla voce: “Archivio delle pagine”, numerate da 1 a 11. Le pagine sono ordinate “a rovescio”, alla maniera dei blog, con i contenuti più recenti in alto e quelli più vecchi in basso. Dalle pagine di indice, cliccando sui titoli dei post, si accede alle singole discussioni.

Non tutti i post sono disponibili perché non tutte le discussioni sono state salvate, principalmente per limiti di tempo. Ho cercato di conservare quelle che mi sono parse più significative per argomento o numero di commenti. Parliamo di 70 su 109 complessive. Molte delle restanti restano comunque interamente leggibili direttamente nelle pagine di indice, o sono state ripubblicate su questo blog. Anche diverse foto sono andate perdute, rimosse dai server gratuiti su cui le avevamo inserite prima ancora della scomparsa del Blog.

Rimetter mano a questa parte importante del mio passato ha riportato in vita ricordi, situazioni e persone con le quali nel corso degli anni, per i motivi più disparati, ho finito col perdere i contatti. In questo centinaio di post si racconta una fetta di vita mia, strettamente intrecciata ad una fase di crescita della ciclabilità romana. È evidentemente un set limitato, che non rende giustizia della ricchezza e complessità dell’intero RomaPedala e delle sue varie anime, ma questo sono riuscito a fare e non di più.

Partendo a stilare un elenco delle cose più significative, ovviamente dalla prima pagina di indice, non posso trascurare, ovviamente, il primo post di presentazione (maggio 2006), quello sulle mie montagne, poi “Numeri” (il cui contenuto avevo completamente rimosso) e la nascita del Ciclopicnic (che in diverse “incarnazioni” è giunto fino ai giorni nostri, peraltro in ottima salute).

Nella seconda pagina troviamo l’immortale post dove schiattano i tacchini, preludio a future incomprensioni tra l’anima svacco/picniccara del sottoscritto e quella atletico/sportiva di SempreOltre e IlGallus, oltre ad un po’ di “locandine” del neonato ciclopicnic e l’inizio del racconto del Camino dé Santiago.

A pagina tre, dopo l’arrivo a Santiago, c’è la prima “stesura ufficiale” del G.S.A. – Grande Sentiero Anulare, oltre alla cronaca dell’inaugurazione del Parco di Centocelle (attualmente già in stato di semi abbandono…).

Pagina quattro è dominata dalla grancassa del ciclopicnic (temevamo che l’iniziativa avrebbe perso slancio e la “fomentavamo” a più non posso), ma ci sono anche l’inaugurazione del G.S.A. e la riscossa del Tacchino.

Pagina cinque inizia con l’inaugurazione della raffazzonata Ciclovia della Musica, mio primo tentativo di “citizen journalism”, contiene una bella riflessione sull’andare in bici (che copierò qui) e si conclude con la prima tracciatura on-line completa del G.S.A.

Da pagina sei segnalo solo il post sarcastico sulla nuova cartellonistica per le piste ciclabili, mentre del set successivo è interessante quasi tutto, dal reportage in tre parti sulla costruenda Ciclabile Togliatti (“Fornéscion style” 1, 2 e 3), la grande sfida tra Pierfranco e Pierfuffo (un giro in bici da me proposto in cui mi ero ritrovato da solo) per concludere con la Conferenza di Pace del 25 aprile.

Da pagina otto, con la primavera del 2007, tornano i Ciclopicnic ed io inizio una lunga riflessione in quattro parti (1, 2, 3, 4) sul superamento delle divisioni tra i ciclisti romani… parte del percorso che porterà, mesi dopo, alla nascita del forum CicloAppuntamenti (e ad ulteriori divisioni tra i ciclisti romani).

Pagina nove si apre col sopralluogo sulla Togliatti con i responsabili ATAC, prosegue con la cronaca della Ciemmona, avanza con un post deluso e sconsolato sull’incapacità di opporsi all’immobilismo della politica e finisce col lanciare l’idea di un happening sull’incidentalità stradale.

Di pagina dieci segnalo la discussione sulla diffusione del cicloambientalismo (foriera di ben 73 commenti, ben presto degenerati in rissa verbale…), quindi il mio primo abbandono (temporaneo) del blog, la nascente idea dei CicloKidz (idea poi sviluppata su CicloAppuntamenti) ed un weekend in Toscana con gli amici del Ciclopicnic.

In conclusione torna la mia voglia di ragionare, poco condivisa dai più (alla riunione convocata eravamo quattro gatti), l’incontro col X Municipio per il Biciplan comunale (che a cinque anni di distanza segna ancora il passo), la prima incarnazione di CicloAppuntamenti (un modesto calendario “crossover”) per finire col varo del Biciplan del X Municipio, praticamente redatto a quattro mani da me e Chiara Ortolani.

Da lì in poi le strade del sottoscritto e di RomaPedala prendono a divergere, continuerò ancora a leggere, con discontinuità, ed a commentare quanto inserito. Ma lo slancio iniziale del Blog, quello che solo un anno e mezzo prima mi aveva indotto a contribuire, cominciava già a scemare, fiaccato dalle continue polemiche, liti e dissapori, oltreché dall’ignavia dei referenti politici che sanciva la sostanziale inutilità dei nostri sforzi.

Abbiamo combattuto battaglie di civiltà e progresso con armi spuntate, ingenuamente ritenendo che le idee ragionevoli dovessero alla fine prevalere. Ci siamo sbagliati, e questo è tutto quello che ne rimane.

Un sabato da leoni

Nel 1978 il regista John Milius girò “Un mercoledì da leoni”, film su tre amici surfisti californiani. Nella storia i tre crescono nell’attesa di una mareggiata speciale, con le onde giganti, di cui hanno sentito raccontare da un surfista più anziano. Poi si perdono, per anni, ognuno va per la sua strada ma quando finalmente la radio annuncia che la mareggiata sta arrivando, si ritrovano tutti e tre sulla stessa spiaggia della loro gioventù, armati di tavole da surf speciali mai usate prima, a cavalcare onde alte una decina di metri.

Qualcosa del genere è successa ieri, quando l’evento meteorologico rarissimo si è finalmente verificato qui a Roma: una nevicata di grandi proporzioni. L’ultima volta era accaduto a metà degli anni ’80 e io non ero in città, poi più nulla per quasi trent’anni, ma finalmente a metà settimana l’allerta meteo pareva confermato. Già da giovedì ero in piena fibrillazione sia come ciclista che come fotografo.

Quindi ho provveduto a lanciare un avviso sul forum Cicloappuntamenti, al quale hanno risposto in pochissimi, obiettivo Appia Antica. Venerdì pomeriggio la situazione pareva ancora incerta, dopo che una forte nevicata in mattinata era stata parzialmente sciolta dalla pioggia. In serata aveva ripreso a fioccare ma in maniera poco convinta. Nella notte però…

Sabato mi sono svegliato alle sette di mattina, un’ora prima del previsto, e già la luce che filtrava dalla finestra mi avvisava che qualcosa di incredibile era successo. Considerato lo spettacolo incredibile che avevo sotto gli occhi, di aspettare fino all’orario previsto non se ne parlava proprio, mi sono vestito in fretta e furia e sono uscito fuori in sella alla Santacruz con al fianco la fotocamera, direzione Tor Fiscale.

Verso le nove e mezza ho incontrato Sergio al Parco degli Acquedotti, ed insieme abbiamo proseguito fino all’Appia Antica, dove ci ha raggiunti Alfredo. Abbiamo ripercorso l’Appia all’indietro fino a via dell’Almone, qui ci siamo separati di nuovo ed ho proseguito in solitudine fino al parco della Caffarella. Per l’una passata ero di nuovo a casa, dopo sei ore passate a pedalare nella neve.

Nel complesso una giornata straordinaria che ha ripagato tutte le aspettative, tra l’emozione e la difficoltà di pedalare sulla neve morbida e gli occhi che si aprivano su paesaggi trasfigurati ed onirici. Se un evento capita una volta ogni trent’anni, quando accade è obbligatorio esserci. Queste sono le foto.

Requiem per RomaPedala

Il naufragio della piattaforma Splinder, che mi ha obbligato lo scorso mese a fare le valigie in fretta e furia per traslocare questo blog, si è pienamente compiuto solo ieri, finendo col mietere una vittima illustre: “Romapedala – il blog dei ciclisti romani”. Il “blog collettivo”, nato da un’intuizione di Alberto “SempreOltre”, dopo una fortunata stagione sul finire dello scorso decennio aveva registrato negli ultimi anni un progressivo declino, dettato da tutta una serie di concause.

La mia personale partecipazione a Romapedala, da inseritore oltre che commentatore, iniziata a metà del 2006 è proseguita per poco più di un anno e mezzo. All’epoca, dopo la chiusura del capitolo “Fiab-Ruotalibera”, stavo cercando un modo per continuare a lavorare sui temi della ciclabilità, ed Alberto mi offrì di partecipare al suo blog, vicino alla massa critica, alle ciclofficine ed alle istanze più radicali del ciclismo romano.

Nell’arco di quei pochi mesi, tra le altre cose, fu realizzata la tanto discussa “Ciclabile Togliatti”, inaugurata la “Ciclabile della Musica”, fu iniziato il percorso per la definizione del Biciplan comunale, nacque il “Ciclopicnic”. Personalmente posso annoverare il viaggio in bici al Camino de Santiago, un paio di stagioni teatrali, la nascita del blog Mammifero Bipede, la definizione ed il collaudo del Grande Sentiero Anulare, il viaggio in bici in Albania e, nell’ultimo periodo, la gestazione e la nascita del Forum Cicloappuntamenti.

In quest’arco di tempo la mia convivenza con i frequentatori, i commentatori e le varie anime rappresentate nel blog non fu semplice: diverse le posizioni sulla collaborazione con l’amministrazione cittadina, sul tipo di scelte urbanistiche da perorare e finanche sul modo di intendere ed usare la bicicletta per il ciclismo quotidiano e per lo svago domenicale. Le schermaglie, battibecchi ed i distinguo che si sviluppavano nei commenti in coda alle diverse iniziative portarono, alla lunga, al deteriorarsi di diverse amicizie.

Niente di nuovo sotto il sole. Quando si fa fronte comune per un obiettivo la solidità della coalizione è vincolata all’ottenimento di risultati, mancando questi è facile scaricare sugli altri la responsabilità dell’insuccesso, ed ogni minima divergenza di opinioni sulla linea da seguire diventa il pretesto per accuse e recriminazioni.

Per quanto riguarda me, riconosco un’intransigenza che mi accompagna da sempre, la stessa che all’epoca si scontrò con intransigenze di segno opposto innescando un’escalation via via meno gestibile. Il tutto giunse ad un punto di non ritorno con la nascita del forum Cicloappuntamenti, interpretato da alcuni come una sorta di “tradimento” degli obiettivi del blog, tra i quali figurava la promozione dell’uso della bicicletta anche con “finalità ludiche”.

Il fatto è che ragionando, nel corso dei mesi, mi ero reso conto di limiti intrinseci allo strumento Blog che si sarebbero potuti ovviare solo per mezzo di uno strumento diverso, come poteva essere un forum. La verticalità obbligata, determinata dal fatto che solo alcune persone potessero inserire post, fungeva da “collo di bottiglia” impedendo l’entrata in circolo di nuove energie e risorse. Purtroppo questo concetto non riuscii a farlo comprendere alle persone con cui collaboravo al blog, o piuttosto da parte loro non ci fu alcuna intenzione di provare a comprendere.

In un’ottica più allargata la mia idea era di dar vita ad un network di strumenti diversi ed intercomunicanti, un forum per l’autorganizzazione delle iniziative ed un blog a mo’ di “testata on-line” sui problemi della ciclabilità. Fu nel corso di un’animata telefonata che Alberto stesso mi chiarì come una cosa del genere non lo interessasse affatto. Da lì in poi, da parte del blog Romapedala e dei suoi partecipanti non ottenni nessun aiuto, nessun incoraggiamento, nessuna pubblicità per il nascente forum, solo indifferenza e malcelata ostilità.

Fu a quel punto, circa quattro anni fa, che la mia strada e quella del Blog Romapedala si separarono di nuovo e definitivamente. Nei mesi successivi, mentre io investivo energie nella crescita della nuova creatura, Alberto iniziava una carriera lavorativa che gli impediva di seguire il blog con la continuità che vi aveva dedicato in precedenza, mentre i frequentatori del blog continuavano ad azzannarsi fra loro nello spazio dei commenti, iniziando il declino che ha portato la community alla quasi estinzione già sul finire del 2011.

Col fallimento di Splinder, “SempreOltre” ha lasciato che tutto quello che era stato Romapedala nel corso degli anni venisse spazzato via dalla rete, senza far nulla per opporvisi. È una scelta che non condivido, continuando a ritenere che un blog appartenga a tutti quelli che vi hanno scritto nel corso degli anni, e non solo al suo fondatore. Purtroppo le modalità di migrazione decise da Splinder non hanno consentito che altri operassero il salvataggio, ed Alberto deve aver preferito chiudere definitivamente questo capitolo della sua vita.

Ritengo, nonostante tutto, che quella di Romapedala sia stata un’esperienza positiva e fruttuosa per la ciclablità romana, meritavole di essere ricordata e tramandata. La mia intenzione era di trasferire il blog in blocco su un’altra piattaforma e chiuderlo, rendendo tutto il suo contenuto consultabile senza più la possibilità di operare modifiche. Tutto quello che ho potuto fare, in extremis e con qualche acrobazia, è stato di salvare almeno i miei post. È poco, certo, un centinaio scarsi a fronte dei passa tremila complessivi, ma lo stesso non intendevo rinunciarvi. A giorni conto di rimetterli on-line.