La soglia del dolore

Uno dei temi che più mi sta a cuore, da anni, è quello dell’incidentalità stradale. Ho cercato di portare il mio contributo attraverso diverse forme di attivismo, e molti dei post pubblicati su questo blog ne sono a testimonianza. Nell’ennesimo tentativo di dare risposta alle esigenza di riduzione della mortalità stradale ho finito col seguire una linea di analisi che mi ha portato, ancora una volta, a conclusioni sconfortanti.

Invece di ragionare, come al solito, delle innumerevoli possibilità tecniche in grado di intervenire sul fenomeno, ho spostato il mio osservatorio sulle ragioni a monte, ovvero le cause prime dell’incidentalità stradale. L’assunto del ragionamento è che a determinare un fenomeno sono sempre volontà contrapposte, dalle cui dinamiche si determina un equilibrio. Le volontà contrapposte, in questo caso, sono abbastanza chiare.

Andando ad analizzare i dati, le cifre sono da bollettino di guerra: “Nel 2018 sono stati 172.553 gli incidenti stradali con lesioni a persone in Italia (…), con 3.334 vittime (morti entro 30 giorni dall’evento) e 242.919 feriti” (fonte ISTAT). Dal punto di vista delle organizzazioni che si occupano di sicurezza stradale non si comprende l’immobilità rispetto ad un fenomeno che ha ricadute umane, sociali ed economiche tanto terribili.

Ragionando sulle cause ultime, l’incidentalità stradale è prodotta dalla presenza sulle strade di un numero elevato di veicoli a motore a conduzione umana (con tutti i limiti che questo comporta) a velocità tali da causare gravi danni in caso di impatto. Stabilito questo, è abbastanza semplice dedurre che si può ridurre l’incidentalità semplicemente riducendo il numero di veicoli circolanti e/o le relative velocità.

Entrambe le misure suggerite, tuttavia, comportano ricadute economiche e sociali. La riduzione del numero di veicoli circolanti è fortemente invisa all’intero comparto economico legato all’automobile, ed in cascata ai consumatori di tale forma di mobilità, il cui pensiero diffuso è artatamente pilotato per mezzo delle principali forme di intrattenimento.

La proposta di riduzione del numero di veicoli circolanti viene solitamente osteggiata con l’argomentazione che si tradurrebbe in una limitazione delle libertà individuali. A poco serve, a questo punto, far presente che si tratterebbe, nell’immediato, di un semplice giro di vite sulle utenze più pericolose come alcolisti e pirati della strada.

Alla stessa maniera ogni legittima proposta di limitare le velocità finisce con l’attentare a quello che l’italiano medio considera il ‘diritto alla guida sportiva’: un atteggiamento di disprezzo dei rischi connessi agli spostamenti in automobile che è parte integrante della comunicazione commerciale, esplicita (spot pubblicitari) ed occulta (film e serie televisive che rappresentano in chiave positiva la conduzione di autoveicoli al limite delle loro possibilità e competizioni agonistiche incentrate sulla guida di veicoli a motore).

La cifra risultante dei morti e feriti rappresenta quindi l’equivalente di una ‘soglia di tolleranza (al dolore)’. Al di sopra di tale soglia l’opinione pubblica tende spontaneamente a ridurre l’utilizzo di autoveicoli, a causa di una maggior comprensione dei rischi connessi, al di sotto c’è ancora margine, per le realtà che ricavano profitti dal mercato automobilistico, per vendere qualche autovettura, o litro di carburante, in più.

La presenza di morti e feriti negli incidenti stradali alimenta, oltretutto, il mercato dei dispositivi di sicurezza (non a caso tutti orientati alla sicurezza degli acquirenti dei veicoli e quasi mai a quella di chi si trovi al di fuori dell’abitacolo). In questa categoria rientra le recente moda dei SUV, veicoli platealmente sovradimensionati nei quali una significativa parte dell’appeal è rappresentata proprio dal senso di protezione fornito.

Le conclusioni di questa analisi sono, come anticipavo, sconfortanti. L’incidentalità non riesce a calare in maniera significativa semplicemente perché non è un fenomeno a sé, ma la mera conseguenza di fattori esterni e concomitanti. Il dato risultante da un equilibrio di volontà, buona parte delle quali avente, come unico fine, la conservazione di abitudini e modelli di business legati a forme di mobilità pericolose e mortifere.

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Photo: dfirecop