L’e-mail era nata come strumento di comunicazione interpersonale, ma con l’evoluzione della rete il confine tra privato e pubblico venne ben presto varcato grazie all’avvento delle "mailing-lists": semplici server capaci di ridistribuire "a pioggia" ogni e-mail ricevuta. In questa maniera, anche con connessioni molto lente e costose com’erano quelle sul finire del secolo scorso, piccole "comunità" potevano dialogare, scambiarsi materiale informativo e "costruire situazioni" in una condizione di quasi perfetta "orizzontalità". Tuttavia queste comunità rimanevano chiuse ed in qualche modo "nascoste" al resto del mondo, cosa che ne limitava fortemente la visibilità e la conseguente crescita numerica.
Una ulteriore risposta a queste esigenze, resa possibile dalla maturazione del web 2.0 e dalla sempre maggior disponibilità di connessioni "flat" economiche e veloci, apparvero essere i blog, che univano alla visibilità universale delle pagine web, unita all’impatto estetico accattivante, la possibilità per i lettori di commentare gli argomenti pubblicati e quindi aprire la "conversazione" verso l’esterno. Per piccole comunità con un forte interesse comune, come l’associazione cicloambientalista di cui ero all’epoca presidente, l’integrazione tra l’ambito di dialogo pubblico consentito dal blog e quello semi-privato delle mailing-lists parve per un po’ la combinazione vincente (almeno a me), ma si scontrò ben presto con l’estrema disuniformità nella padronanza delle tecnologie informatiche da parte dei diversi fruitori (ed, in quel caso, nella scelta deliberata, da parte di alcune persone, di "cavalcare" tale disagio… ma qui scivoliamo nei meandri dell’animo umano, da sempre molto più impredicibile e nocivo rispetto alle tecnologie che di volta in volta si ritrova a gestire).
Da diverso tempo si dibatte di "digital divide", termine usato per definire la forbice, che va purtroppo divaricandosi, tra chi ha accesso alle potenzialità della rete e chi, per limiti economici, o infrastrutturali, non ne ha. Ma esistono forme di "mini digital divide" che discriminano gli utenti con scarse capacità di gestire la sconfinata complessità degli strumenti informatici. Per fare un esempio, l’abilità o meno di applicare "filtri" alla posta in ingresso ha rappresentato un limite alla diffusione delle mailing-list, mentre per altri versi la disponibilità o meno di connessioni "flat" ha fatto altrettanto con i blog. Alcuni utenti sono riusciti a "sbarcare" sulle nuove tecnologie più in fretta di altri, che sono rimasti legati a modalità nel tempo divenute obsolete, vedendo le proprie "communities" lentamente declinare. Un’altra forma di "divide" discrimina ulteriormente quelli che non hanno la possibilità di accedere ad internet dal posto di lavoro, relegandoli ad una fruizione estremamente "asincrona" e di fatto limitandone le possibilità nell’usufruire di determinati "strumenti" più calibrati sull’uso "in tempo reale".
Dopo un paio d’anni di sperimentazioni ho finito con l’allontanarmi dai blog "a più mani", la "variante social" dei blog personali, dopo averne esplorato appunto i limiti in ambito "sociale", ovvero l’inadeguatezza nell’alimentare e far crescere esperienze che potremmo definire di "azione diretta". Mentre per il resto del mondo l’arena digitale pareva assolvere all’unica funzione di mettere in relazione persone lontane, con la "relazione digitale" stessa come unico fine, io continuavo a cercare di "piegare" le potenzialità degli strumenti "virtuali" alla produzione di qualcosa di concreto: iniziative, frequentazioni, contatti reali. Per contro i blog, anche quelli "collettivi", si sono rivelati troppo "verticali", up-to-down, per risultare realmente coinvolgenti nei confronti dei lettori/frequentatori. Ottimi come strumenti di divulgazione e discussione ma estremamente limitanti nel produrre "comunità".
L’esperimento sociale successivo non poteva che essere un forum, spazio on-line variamente modulabile, con la caratteristica peculiare di consentire ai frequentatori di avviare e partecipare a diverse "conversazioni", attive in parallelo e contemporaneamente. Nasceva così, poco più di un anno fa, Cicloappuntamenti. Non avendo alcuna esperienza di Forum lo immaginai come un sistema finalizzato a "produrre escursioni", con gli spazi principali intenzionalmente finalizzati all’obiettivo di promuovere pedalate di gruppo, ed altre aree a disposizione per le discussioni "affini", ma defilate rispetto al "target" principale.
Sebbene le persone che avevo in mente quando diedi vita a Cicloappuntamenti sparirono quasi tutte nel volgere di poche settimane, non trovando una propria dimensione in uno strumento relazionale diverso da quelli di cui avevano esperienza, in breve tempo il forum cominciò a popolarsi di nuovi frequentatori che seppero apprezzarne le caratteristiche e promuoverne le attività. Inutile dire che senza di loro il Forum sarebbe tristemente "naufragato", e con esso l’idea stessa di una comunità di ciclisti capace di organizzare iniziative totalmente estemporanee, senza bisogno di sovrastrutture associative, regolamenti vincolanti, gerarchie ed obblighi imposti. Ad oggi il forum e la relativa "community" si identificano reciprocamente, e lo strumento pare rispondere egregiamente alle esigenze dei suoi fruitori.
Ma veniamo a Facebook: cos’ha da offrire di diverso rispetto agli altri strumenti di "social networking" che l’hanno preceduto? Indubbiamente la "personalizzazione" dell’esperienza. Il limite primo delle mailing list è risultato consistere nella capacità dei lettori, mediamente scarsa, di strutturare ed organizzare l’informazione che pioveva nella propria casella di posta. Utilizzatori più smaliziati hanno saputo fare tesoro di strumenti come il filtraggio selettivo e l’organizzazione delle discussioni (in base all’oggetto o al "reply-to"), ma la stragrande maggioranza si è dovuta arrendere alla propria inadeguatezza a fronteggiare la mole disordinata di informazioni che li raggiungeva. Questo ha posto un "tetto" alla quantità di informazione che aveva senso far circolare sulle liste, creando un collo di bottiglia oltre che alla quantità di informazione scambiata alle dimensioni delle communities.
Facebook risolve brillantemente il problema polverizzando una mole sconfinata di utenti in una rete di cui ognuno/a gestisce e sperimenta un unico nodo che condivide con le persone con cui ha scelto di "comunicare". In pratica non una singola "community", ma innumerevoli, con diversi gradi di separazione le une dalle altre. Se da un lato questa parcellizzazione lo rende del tutto inadatto a qualsivoglia utilizzo "pratico" che vada al di là del farsi una pizza tra amici, dall’altro ne fa uno strumento comunicativo capace di esportare le innumerevoli sfaccettature di ogni singolo individuo, in un calderone caotico nel quale spuntano, qua e là, piccoli oggetti interessanti e frammenti di umanità.
Per ora non ho un’idea chiara di quanto questo strumento possa rendersi utile nei mille campi in cui disperdo la mia attenzione, ma penso che mi consentirà di aprire il mio ventaglio d’interessi a più persone che non avrebbero altrimenti tempo e modo di seguirmi. Ho già iniziato a dar conto degli interventi più interessanti che sparpaglio in giro per il web, su blog, Forum, sul Mammifero Bipede, ecc… Per ora è un esperimento, pian piano qualcuno/a mi dirà se ha senso o meno. Resta il fatto che non si può far troppo conto su un singolo strumento, perché le communities si popolano e si spopolano continuamente, col progressivo emergere di strumenti sempre più adatti alle necessità degli utenti. Chissà la prossima cosa sarà?
Nel frattempo, per chi volesse impicciarsi di quello che combino "laggiù"… qui c’è il mio profilo.