GSA2011 – The Director’s Cut

I lettori di lunga data del blog ricorderanno sicuramente il mio pasticciato tentativo di dar forma ad un video del Grande Sentiero Anulare. Da allora molta acqua è passata sotto i ponti, il GSA è evoluto nel GRAB, l’idea di fare un documentario del GRAB è prima nata e successivamente rimandata a data da definirsi, alla fine mi è presa voglia di rimetter mano al materiale filmato e dargli una forma più digeribile.

I limiti del video originale sono in primis la lunghezza eccessiva (45 minuti) in grado di stroncare la fantasia dei più, in secondo luogo la bassa risoluzione (480px) obbligata dalle dimensioni finali del video e dai limiti imposti all’epoca dalla piattaforma ospitante (Youtube) e dalla velocità in upload della mia connessione ADSL.

Col senno di poi sono riuscito ad impacchettare un oggettino molto più ‘easy’. Un taglio più veloce ed essenziale ha ridotto la lunghezza del video a soli 11 minuti, la minor dimensione del file mi consente di renderne disponibile una versione di qualità migliore (HD720) e la colonna sonora è adesso un po’ più familiare e brillante.

 

Le responsabilità del non fare

Riguardo la recente querelle col neo nominato assessore alla mobilità del comune di Roma ho potuto osservare l’inveterata e tafazziana attitudine dei ciclisti nel darsi addosso gli uni agli altri, incolpandosi a vicenda di ciò che il Comune sceglie di fare o di non fare. È un punto che fortemente non condivido: l’idea che possiamo (o dobbiamo) farci carico, o essere ritenuti responsabili per quello che le istituzioni fanno o non fanno.

Il nostro ruolo, il mio ruolo e quello di tutti, dovrebbe essere fare il proprio lavoro, non già il lavoro di Esposito. Avere le proprie competenze professionali (io progetto macchinari industriali, per dire, non ciclovie), non quelle di altri. Chiunque di noi dovrebbe avere la preoccupazione di portare i soldi a casa, non far fare bella (o brutta) figura al sindaco o chi per lui (oltretutto sbandierando davanti ai giornalisti progetti che nemmeno comprendono).

Al contrario quello che ci raccontiamo da sempre è che siamo noi, privati cittadini, ciclisti, cicloattivisti, ad essere responsabili di quello che il Comune, o lo Stato, fanno o non fanno. È una visione assolutamente distorta dei fatti, e ce la diamo perché stiamo spendendo tempo ed energie a cercare di smuovere una bestia totalmente apatica, spesso acefala. Ora io ho deciso di rinunciare a questa forma di supponenza, di farmi carico del fatto che non conto un ca**o, che sto mettendo il becco (giocoforza, ahimé) in cose che non mi competono, oltretutto da una posizione di totale svantaggio e con prospettive zero di portare a casa risultati.

Ma questo porta con sé delle considerazioni che mi sento di estendere alla quasi totalità dei ciclisti romani (con pochissime demeritevoli eccezioni). Il fatto, per cominciare, che se il Comune non fa un ca**o è per una scelta sua, non mia.
Non di Marco Pierfranceschi, non di Alberto Fiorillo, non di Paolo Bellino, non di Marco Bikediablo, non di Marco Latini, non della Critical Mass, non della FIAB, non di “ciclo-pinco-pallo” o di chicchessia.

La responsabilità del non fare è sempre di chi non fa. Non di chi chiede, prega, implora, suggerisce, minaccia, blogga. Mi sono strarotto il ca**o di questa tiritera servilista per cui se l’amministrazione non fa qualcosa che dovrebbe fare (cose che si realizzano quotidianamente in tutti gli altri paesi civili) la colpa è di chi “lo ha chiesto nella maniera sbagliata”. Non esiste, non dobbiamo cadere in questo tranello. È una narrazione totalmente distorta ed opportunista dei fatti e dobbiamo piantarla di mandarla giù acriticamente e metabolizzarla come se fosse la verità.

(quanto sopra è l’estratto di una conversazione via WathsApp, l’argomento mi pareva più interessante del solito e, per evitare di dover replicare con altri le stesse argomentazioni, le ho trascritte qui. I miei lettori abituali avranno colto uno stile più “sanguigno” del solito. Poco dopo aver scritto queste righe mi è piombata tra capo e collo la notizia della morte di un amico e compagno di battaglie cicloattiviste in quel di Ancona, investito e macellato da due automobilisti distratti mentre cercava di tornare a casa, di notte, in scooter…)

La cura negata

La novità di ieri sta nel resoconto di un incontro svoltosi tra le associazioni operanti sul tema della sicurezza stradale e l’attuale, neo nominato (dal governo nazionale), assessore alla mobilità del Comune di Roma, Stefano Esposito. La trovate a questo link e suggerisco di leggerla integralmente prima di proseguire.

Sulla riluttanza dei pubblici amministratori ad assumersi responsabilità di scelte controcorrente avevo già scritto. Qui, tuttavia, si compie un salto di livello, esplicitando il vuoto di competenze, e le decisioni da esso prodotte, che prima avevamo semplicemente dovuto dedurre.

Il quadro che ne emerge è francamente imbarazzante: una visione fieramente conservatrice di tutto il peggio che abbiamo ereditato dal passato, il traffico privato “inevitabile” ed “intoccabile”, lo status quo elevato a legge divina, l’orgogliosa affermazione “io non farò nulla”, come se il nulla fosse ammirevole, fino alla più totale abdicazione alle responsabilità che un ruolo dirigenziale comporta ed a ributtare sui ciclisti la responsabilità delle disgrazie causate loro dai mezzi a motore.

Leggere frasi del tipo: “Se un ciclista vuole andare sulla strada lo fa a suo rischio e pericolo” rimanda ad altre situazioni di pericolo. Per me equivale a dire: “Se un rifugiato si imbarca su un gommone lo fa a suo rischio e pericolo”, o “Se un napoletano continua a vivere a Napoli fra i camorristi lo fa a suo rischio e pericolo”. La legge italiana sancisce il diritto a percorrere le strade in sicurezza, ma chi dovrebbe garantire questo diritto ‘se ne lava le mani’ alla Ponzio Pilato.

Come le tre scimmiette ‘non vedo, non sento, non parlo’, i nostri amministratori scelgono una linea di bassissimo profilo, rifiutando la responsabilità di ogni possibile intervento migliorativo. Un conservatorismo imbarazzante, dicevo, prima di tutto a fronte delle esperienze nordeuropee, che rispetto al modello “automotive über alles” (da noi fieramente contrabbandato, dal dopoguerra ad oggi, col risultato di coprire di sangue le strade della penisola) hanno operato una netta e drastica inversione di rotta.

Le problematiche sono note da tempo, i metodi per affrontarle testati e perfezionati negli anni da culture più avanzate della nostra con strumenti ormai evoluti e moderni, come abbiamo appreso in convegni, conferenze, articoli, dispersi nell’arco di decenni.

La cultura delle strade sicure e vivibili, è realtà in molte capitali e grandi città appena fuori dai confini della penisola, eppure nulla di tutto questo pare aver scalfito una mentalità politico-amministrativa fermamente avvinghiata al precetto del “meno faccio, meglio è per me”.

La percezione è che, a fronte di una società “malata di traffico”, il medico incaricato si rifiuti di curarla e continui a praticare salassi ed impacchi vegetali come nell’ottocento, ignorando bellamente l’evoluzione delle terapie avvenuta nell’ultimo secolo.

E mentre l’Europa veleggia verso la civiltà, la riduzione degli incidenti e del traffico, la vivibilità degli spazi urbani, con indicatori di qualità della vita che ci osservano dall’alto di vette irraggiungibili noi restiamo qui, come dei fossili, abbarbicati ad un modello di mobilità demente ed autodistruttivo, a contare morti e feriti, a battibeccare sulle ‘strade killer’ e sui ‘dossi assassini’ come se si trattasse dei risultati delle partite di calcio.

Finirà che recinteranno questa città e ne faranno un parco a tema. Per mostrare ai bambini come si viveva male nel passato e quanto erano stupidi gli uomini preistorici a perseverare in comportamenti sciocchi ed irrazionali. Venderemo i biglietti e i turisti verranno a frotte a guardarci e ridere di noi. O a compatirci, come fanno già.

Riappropriazione sensoriale

Pincio

Un senso di me prepotente
Ricavo dall’essere solo
Dal muovermi in fretta nel buio
Pensiero che brilla nel vuoto.
(M. B. – Il volo notturno)

Nella notte tra sabato e domenica una cinquantina di ciclisti romani ha spontaneamente aderito al mio ennesimo esperimento: percorrere tutto l’anello del GRAB al buio.
Avete capito bene: non semplicemente di notte, con le luci, ma proprio interamente al buio. Il tracciato attraversa una serie di aree verdi totalmente prive di illuminazione.

L’evento è stato concettualmente suddiviso in tre parti: un ciclopicnic serale, la pedalata notturna ed una passeggiata all’alba nel centro storico di Roma, zigzagando tra vicoletti poco noti in attesa del sorgere del sole. La possibilità di partecipare anche solo a singole ‘tranche’ ha consentito ad un maggior numero di persone di prendervi parte.

Non è la prima volta che guido gruppi di ciclisti in pedalate notturne al buio, l’ultima è stata pochi mesi fa. La condizione ‘necessaria e sufficiente’ riguarda la disponibilità di una sede pedalabile di sufficiente ampiezza e regolarità, con assenza di ostacoli. Situazione presente in diversi parchi urbani, a patto di scegliere bene dove passare.

Ovviamente c’è da vincere una forte resistenza dei ciclisti stessi, al punto che normalmente un piccolo gruppo preferisce viaggiare ugualmente con le luci accese. In questo caso ci si organizza per mandare avanti quelli che intendono sperimentare la pedalata al buio e lasciare in coda gli ‘illuminati’.

Tipicamente si arriva con la luce dei lampioni fino all’ingresso del parco della Caffarella, si spegne tutto (luci posteriori comprese) e ci si inoltra nell’oscurità. Oscurità che in questo caso è quasi totale: si pedala in un tunnel sotto alberi di latifoglie che bloccano la poca luce lunare e tutto quello che si riesce a vedere è un alone più chiaro in lontananza, dove gli alberi si diradano.

Cosa accade dunque in questa situazione? E’ davvero molto più pericoloso rispetto al muoversi di giorno? La risposta, sorprendentemente, è no. Quello che avviene con la ‘perdita della visione’ è lo sblocco degli altri sensi, che inaspettatamente si “accendono”.

Il fatto è che la vista è a tutti gli effetti il nostro senso dominante, ed avendo l’evoluzione sociale della nostra specie eliminato i predatori, gli altri sensi hanno progressivamente perso importanza. Abbiamo finito col non dedicargli più attenzione.

L’udito serve ancora ad ascoltare le parole, anche se spesso lo teniamo occupato con la musica (o con qualcosa che viene definito tale). L’olfatto è pressoché dimenticato e stordito dalle puzze urbane, le sensazioni tattili sono ridotte al minimo indispensabile.

Pedalando al buio si riproduce una percezione di pericolo intimamente connessa allo stare in equilibrio su due ruote, il cervello si attiva per gestirla e, non disponendo della vista, cerca di ricavare il massimo delle informazioni da ciò che gli resta. All’improvviso si diventa consapevoli della temperatura dell’aria, delle vibrazioni della bicicletta sotto di noi, dei suoni che ci circondano a 360°, degli odori della vegetazione, del nostro stesso senso dell’equilibrio che, scopriamo, non ha bisogno della vista per mantenerci in sella.

Dopo pochi minuti si fa la prima pausa, ed è evidente la sensazione di euforia mista ad incredulità dei partecipanti. Un mondo nuovo ed inatteso gli si è rivelato e sono pronti a proseguire nell’esplorazione. Sabato scorso questa ‘esplorazione’ si è protratta per l’intera nottata, fino alle prime luci dell’alba, quando abbiamo assistito ad uno spettacolo diverso e per molti altrettanto inatteso: la città vuota.

Non molti sanno che c’è, in questa stagione, per pochi mesi, un ‘momento magico’ temporalmente collocato in una finestra molto ristretta, tra le 5.00 e le 6.00 di mattina, corrispondente ad un’ora in cui i nottambuli sono già andati a dormire e i ‘diurni’ non si sono ancora svegliati. Da notare che, in questa stagione, è anche già giorno.

In quest’ora magica si possono percorrere, in totale solitudine, le viuzze del centro storico, riappropriandosi di una città normalmente invasa da traffico, rumore, turisti. I palazzi storici appaiono come una quinta teatrale in paziente attesa del ritorno degli attori. E’ persino possibile affacciarsi dal Campidoglio su via dei Fori Imperiali e vederla totalmente deserta, da Piazza Venezia fino al Colosseo.

E’ possibile, per un’ora soltanto a cavallo tra la notte ed il giorno, scoprire la magia di una città fuori dal tempo, prima che i suoi abitanti si affannino nuovamente per cancellarla. A seguire alcune considerazioni postate sull’evento dai partecipanti.

“…è stata una navigazione pazzesca paragonabile ad un viaggio in barca in notturna: mi ha stupito molto la mia/nostra capacità di riuscire a vedere, quasi sentire il percorso, nonostante il buio e addirittura, dopo un po’, andare anche meglio che di giorno (il basolato dell’appiantica era ‘na crema).” – Piero Ventura

“E’ stata un’esperienza piena, intensa di quelle che ti ricordi. L’esperimento di riappropriazione sensoriale è stato fortissimo. Presenza e attenzione ti fanno attraversare indenne percorsi sconosciuti all’interno di un parco al buio. La stanchezza rischia di regalarti una transenna in faccia di giorno nel centro di roma. Grazie Marco per la splendida follia nell’aver concepito e guidato questo tour e grazie a tutti i compagni di avventura.” – Lorenzo Dina

La concentrazione notturna mi ha fatto riappropriare anche di muscoli che non conoscevo, oggi ancora tutti ben contratti!! Bellissima avventura, grazie Marco alla prossima! – Livia Corazziari

(foto di Alboreto DelVecchio)

Aspettando l’app (del GRAB)

Nell’attesa del futuro rilascio di un’app per smartphone che dovrebbe finalmente consentire a tutti di percorrere il Grande Raccordo Anulare delle Bici, vado sperimentando soluzioni alternative ed immediate, anche per testare limiti e potenzialità di una simile soluzione.

Il problema, come ben sanno tutti quelli che hanno difficoltà ad orientarsi, è che non sempre si ha a disposizione qualcuno che conosca il tracciato ad accompagnarci. Nei secoli si è cercato di porre rimedio a questo inconveniente creando la branca scientifica della geografia, purtroppo neppure questo è bastato, rimanendo il livello di astrazione delle mappe alla portata di molti, ma non di tutti.

Più recentemente la tecnologia GPS (Global Positioning System) ha cambiato nuovamente le carte in tavola, trasferendo le mappe all’interno di dispositivi in grado di rilevare automaticamente la propria posizione calcolandola in base ad una costellazione di satelliti in orbita.

Fino a qualche tempo fa questi dispositivi esistevano unicamente come oggetti a sé stanti, più recentemente le tecnologie GPS sono entrate a far parte, come il 99% del mondo informatico, del telefono che abbiamo in tasca.

La tecnologia GPS consente di fare molto più che guardare le mappe con un bel puntolino che vi strizza l’occhio come a dire “voi siete qui”. Quello che è il vero motivo di forza è la possibilità di disegnare sulle mappe un tracciato e seguirlo fedelmente, guidandoci con sicurezza in posti mai visti prima. Per fare questo occorre che il tracciato sia disponibile in un file con estensione .gpx o simili (gpx è lo standard più diffuso). Per questo abbiamo messo online, nell’ultima pagina del sito del GRAB, le tracce .gpx nelle due versioni:

Classic = percorrenza in senso antiorario
Reverse = percorrenza in senso orario

Le tracce possono essere scaricate anche cliccando sui link qui sopra.
(n.b.: le versioni dei tracciati scaricabili dal sito del GRAB sono state aggiornate successivamente alla pubblicazione di questo post… per uno scrupolo filologico si è qui scelto di mantenere disponibili le versioni pubblicate originariamente)

Le due tracce si differenziano essenzialmente per la presenza di strade a senso unico che, qua e là, obbligano a piccole deviazioni, oltre al fatto che il “Reverse” è immaginato per chi abbia già percorso il “Classic” ed evita perciò il passaggio bellissimo ma farraginoso per il centro città, preferendo collegare Caracalla al Tevere passando per la direttrice Circo Massimo anziché passare per Via dei Fori imperiali – Campidoglio – Portico d’Ottavia.

Chi già possieda un dispositivo GPS non avrà bisogno di spiegazioni ulteriori, chi voglia sperimentare l’uso di uno smartphone dovrà necessariamente installare un’app in grado di visualizzare le tracce .gpx. Delle molte disponibili ho alla fine scelto Oruxmaps, che consente di scaricare le mappe sul telefono e viaggiare con la connessione dati disabilitata, cosa che riduce enormemente il consumo di batteria.

 

Valutazione qualitativa di una ciclovia

Il lavoro che stiamo portando avanti sul GRAB continua a pormi di fronte questioni sulle quali avevo fin qui sorvolato. L’ultima in ordine di tempo concerne una valutazione complessiva della fruibilità dei tratti percorsi in termini per quanto possibile neutrali.

Chi va in bici sa perché ci va, sa quali strade gli piace percorrere e perché sceglie determinati tracciati rispetto ad altri, o magari è semplicemente guidato/a da un istinto non consapevole, ma comunque molto preciso. Chi si imbarca nel progetto di proporre ad altri (preferibilmente turisti, non necessariamente italiani) un itinerario in bici si trova di fronte alla necessità di quantificarne la ‘bontà’ utilizzando criteri il più possibile oggettivi.

Da qui la necessità, anche a fronte di richieste istituzionali di ‘maggior dettaglio’ riguardo al percorso, di definire uno schema di valutazione in grado di restituire nei numeri il grado di piacevolezza che proviamo mentre attraversiamo determinati luoghi.

La complicazione maggiore, nel caso del GRAB, è che si tratta di un percorso ‘patchwork’, individuato sulla base dell’esistente e non progettato a monte. Un itinerario realizzato mettendo insieme piste ciclabili, strade bianche, sentieri nel verde, marciapiedi, viabilità secondaria ed in qualche raro caso anche strade trafficate.

Oltre a questo l’esigenza è di individuare una modalità semplice da applicare, evitando formulazioni eccessivamente complesse che risulterebbero accessibili solo ai super-esperti, e scarsamente comprensibili dagli utenti finali. La via che ho individuato parte dall’analisi delle sensazioni provate dal ciclista fruitore, ed individua cinque parametri, assegnando ad ognuno di essi un valore compreso fra 0 e 2 per poi sommarli ed ottenere una valutazione complessiva da 0 a 10.

Il metodo consente di valutare con semplicità ed efficacia più o meno ogni situazione nella quale il ciclista può venirsi a trovare percorrendo un itinerario cittadino, e tiene conto sia della percezione di sicurezza rispetto al traffico motorizzato (separazione), sia del comfort complessivo (ampiezza e scorrevolezza del fondo), e non da ultimo del panorama sensoriale, rappresentato da vista (contesto), udito ed olfatto (rumore).

Separazione
La separazione dal traffico motorizzato è il dato qualificante di una ciclovia. Idealmente un percorso per cicloturismo dovrebbe svilupparsi per la sua totalità in sede propria (2), accettando per alcuni tratti l’uso di piste ciclabili in prossimità di vie trafficate (1) e riducendo al minimo la condizione di condivisione della sede stradale col traffico veicolare (0).

Ampiezza
Un altro dato essenziale per la godibilità di un cicloviaggio è l’ampiezza della sede impegnabile, perché da essa dipende la possibilità di dialogare coi compagni di viaggio e condividere l’esperienza. Una sede ideale per il transito di gruppi in entrambe le direzioni richiede da 4 a 6 metri (2). Sedi da 2 a 4 metri (1) producono in genere la necessità di dedicare buona parte della propria attenzione a quello che si trova sulla carreggiata davanti a noi (pedoni, ciclisti più lenti o che provengono in direzione contraria, gente in sosta). Sedi di dimensione inferiore a 2 metri (0), tipicamente marciapiedi, possono essere percorse solo con molta attenzione ed in fila indiana, presentando problematiche non banali in caso di incrocio con ciclisti provenienti in senso opposto o presenza di pedoni.

Se questo parametro è chiaramente applicabile ai percorsi in sede propria, un criterio analogo può essere utilizzato per le tratte effettuate su sede stradale. In questo caso la principale discriminante è rappresentata dall’intensità del traffico. Una sede stradale poco o nulla utilizzata dai mezzi a motore (come se ne trovano all’interno di aree residenziali non interessate da traffico di attraversamento) può essere temporaneamente occupata per intero (2). Sedi stradali interessate da traffico occasionale (1) consentono alle vetture in fase di sorpasso di mantenere una distanza sufficientemente ampia (impegnando la carreggiata opposta) da non rappresentare un grosso disagio. Al contrario, sedi stradali interessate da traffico continuo in entrambe le direzioni lasceranno al ciclista un margine di manovra estremamente esiguo (0) e la totale impossibilità di viaggiare appaiati, anche per brevi tratti.

Fondo
La scorrevolezza del fondo stradale è anch’essa un fattore determinante nella fruizione di un itinerario cicloturistico. Un fondo perfettamente liscio consente, al pari di una sede ampia, di mantenere l’attenzione sul paesaggio circostante anziché sulla sede stradale: un fondo sconnesso obbliga a tener d’occhio dove si mettono le ruote. Anche in questo caso si individuano tre opzioni: fondo asfaltato o terra battuta liscia (2), fondo leggermente irregolare come sterrato o sampietrini, scomodo da percorrere con bici non ammortizzate (1) e fondo sconnesso al limite del fastidio (0), con radici, pietre, buche o altro.

Rumore
La presenza di traffico motorizzato danneggia la qualità del percorso in molti modi, non soltanto con la sua pericolosità. La presenza di rumore e la puzza dei gas di scarico rendono i percorsi in prossimità del traffico veicolare comunque spiacevoli, anche in presenza di una sede viaria separata. Anche in questo caso valgono considerazioni sul livello di fastidio percepito: nessun rumore (2), rumore avvertibile ma non tale da impedire la conversazione (1), rumore oggettivamente fastidioso (0). Questa valutazione va effettuata sul posto perché influenzata da troppi fattori (intensità del traffico, distanza dalla sede stradale, presenza di elementi fono-assorbenti o fono-riflettenti, ecc…).

Contesto
Ultimo punto chiave e fattore qualificante nell’interesse di una ciclovia è rappresentato dal contesto, ovvero dalla qualità dei luoghi attraversati e dalla loro particolarità. Nel GRAB sono presenti diversi tratti in contesti ‘monumentali’ (2), moltissimi altri in contesti ‘piacevoli’ (1) come parchi naturali ed argini fluviali ed una percentuale di tratti di raccordo semi-obbligati non particolarmente significativi da nessun punto di vista (0).

Una volta definiti questi parametri ho provveduto a dividere i 44km del GRAB in una sessantina di segmenti di diversa lunghezza ma uniformi per tipologia, assegnando ad ognuno di essi i relativi valori e calcolandone la somma. Ecco alcuni esempi.

Ciclovia del Tevere – voto 10
Praticamente ogni fattore è al suo massimo. Anche se la sede asfaltata è larga solo 2,5m il resto della banchina è ampio a sufficienza e non eccessivamente sconnesso da consentire il transito di gruppi in entrambe le direzioni, il contesto è ‘monumentale’ e la separazione dal traffico, anche in termini acustico/olfattivi, totale.

Ciclabile Aniene – voto 8
Contesto ‘piacevole’ (1) e sede inferiore a 4m (1) rendono questa porzione di ciclovia appena meno appagante di quella del Tevere.

Riserva dell’Aniene – voto 7
Il parco è piacevole ma non ‘monumentale’ (1). Il tracciato non è ampio (1) né liscio (1). Restano ai massimi valori sia la separazione (2) che il rumore(2).

Ciclabile Aniene (intorno allo svincolo di via Salaria) – voto 6
Rispetto al tratto adiacente al fiume (valutato 8) qui la separazione scende a (1) ed il ‘rumore’ diventa significativo (1), causando la perdita di due punti.

Corridoio ‘informale’ di via dei Gordiani – voto 5
Il tratto in sede propria che corre accanto al cantiere della Metro C è mediamente ampio (2) e dal fondo liscio (2), ma poco separato (1), rumoroso (0) ed il ‘contesto’ è poco gradevole (0).

Marciapiede di via dei Gordiani – voto 3
Come per il precedente ma con ‘ampiezza’ inferiore ai 2 metri (0).

Via Appia Antica – voto 2
Paradossalmente proprio a causa del traffico il tratto di strada tra Porta San Sebastiano e la chiesa del Domine Quo Vadis, potenzialmente splendido, guadagna un voto estremamente basso. Fondo a sampietrini (1) e contesto ‘piacevole’ (1) sono gli unici due punti attribuibili, per il resto l’assenza di separazione (0), la carreggiata ridotta a causa del transito continuo in entrambe le direzioni (0) ed il rumore prodotto dal traffico intenso (0) rendono questo tratto uno dei più sgradevoli dell’intero anello.

(immagine tratta da Google Street View)

Conclusioni
Questa breve carrellata di esempi confronta situazioni molto diverse fra loro. Nonostante ciò, con mio notevole stupore, restituisce un quadro molto calzante della qualità percepita dei diversi segmenti, sia che si tratti di piste ciclabili, strade, sentieri o altro. Alla fine dei conti un segmento con valutazione pari a 6 è effettivamente migliore di uno che abbia ottenuto 5, indipendentemente dal tipo di sede.

In partenza pensavo di dover introdurre ulteriori fattori di correzione invece il metodo elaborato non ne ha bisogno. In effetti ci sono caratteristiche, come la prossimità del traffico motorizzato, che hanno un peso maggiore di altre nell’influenzare la gradevolezza di un tragitto, ma essendo coinvolte in più fattori il maggior ‘peso’ è adeguatamente rappresentato.

Il metodo è risultato talmente pratico da potersi estendere con facilità ad altri tipi di ciclovie, come quelle percorse in Toscana ed Umbria nello scorso weekend (il ‘Sentiero della Bonifica’ della Val di Chiana e l’itinerario ciclabile Assisi-Bevagna-Spoleto). Mi sono ritrovato ad assegnare valutazioni per i singoli fattori e ad ottenere delle somme congrue con il livello di gradimento che andavo sperimentando.

Alla fine dell’analisi mi sono voluto togliere una curiosità, andando a calcolare il valore qualitativo medio del GRAB nella sua interezza, ovvero pesando i segmenti in base al voto ottenuto ed alla relativa lunghezza (cosa semplicissima da fare con un foglio di calcolo). Il dato complessivo, nonostante il tracciato non sia ancora stato sistemato in alcun modo, è molto prossimo a 7 (6,99 per l’esattezza), cosa che conferma la soddisfazione di quanti l’hanno percorso fin qui nel corso delle diverse ricognizioni.

Si può fare ancora di più mettendo i dati nella forma di un grafico cartesiano. Nell’immagine che segue abbiamo la percentuale di percorso in funzione della valutazione. La porzione più rappresentata è quella con valore 7 e si tratta di oltre 14km (ovviamente distribuiti sull’intero anello, e pari a circa un terzo del tracciato) mentre altre porzioni significative sono su valori ancora più alti.

Addendum
Una volta elaborato questo criterio di valutazione mi è venuta spontanea la domanda se possa in qualche modo adattarsi anche alle ciclovie urbane per utilizzo quotidiano, oltre che a quelle turistiche. La risposta è no, quantomeno non senza correzioni.

Il dato relativo al ‘contesto’ nell’uso quotidiano ha scarsa importanza, mentre ne ha molta la ‘continuità’ del tracciato, ovvero la possibilità di percorrerlo senza dover rallentare o fermarsi in continuazione. Purtroppo molte delle piste ciclabili realizzate in ambito urbano non tengono adeguatamente conto di questa problematica, col risultato che finiscono con l’essere poco funzionali e di conseguenza sottoutilizzate.

Tuttavia, a titolo di esperimento, ognuno/a dei lettori di questo post può adesso effettuare una valutazione complessiva della qualità dei propri percorsi quotidiani in bicicletta all’interno della città, e comprendere se ci sono margini di miglioramento.

(un ringraziamento particolare a Daria Quaresima per il suo contributo impagabile nell’organizzazione della massa di dati e per le lezioni sull’uso di QGIS)