Da cosa nasce la fascinazione? Beh, innanzitutto dall’eleganza, dalla sintesi, dalla naturalezza della scrittura, che riesce a "suonare" anche senza forzare la struttura standard della lingua inglese. Quello stesso "suonare" che invece risulta tanto difficile alla lingua italiana, a causa delle troppe sillabe, e di parole eccessivamente lunghe.
È bizzarro come, non essendomi quasi mai interessato alla poesia nei molti anni passati finisca col riscoprirla solo ora, e per di più in una lingua diversa dalla mia. Ma a pensarci bene dei precedenti ci sono stati. Correva infatti l’anno 1986, e in quel di Portogruaro, Veneto, vivevo poco più che ventenne la disarmante esperienza del servizio militare.
Per ovviare alla noia interminabile di quei giorni, tra le tante cose che mi vennero in mente (una delle quali, per inciso, fu la re-invenzione del cicloescursionismo) iniziai ad andare in giro con in tasca un piccolo blocco note sul quale appuntavo le sensazioni che mi colpivano.
Per rendere la cosa più interessante la forma scelta non era semplice scrittura, prosa, dal momento che le frasi erano strutturate in brevi righe e dovevano possedere un ritmo. Ma, d’altro canto, non erano neppure poesia nella sua accezione classica, dal momento che mancavano, per scelta intenzionale, le rime. Decisi di chiamarle "prose ritmiche", e mi ci dedicai occasionalmente, per diversi mesi, con esiti alterni.
Mi affascinava l’idea di sintetizzare emozioni intense usando solo poche parole ed il ritmo prodotto dal loro accostamento. Per farvi capire di cosa sto parlando questo è un esempio di "prosa ritmica" che a tutt’oggi reputo tra le mie più riuscite:
Ombre
Ombre ritornano
Da un passato ormai rimosso
Mi danzano intorno
Si stringono a me.
Ma non c’è luce
Sui loro volti,
Non hanno occhi,
Sono solo ombre
Nel freddo della sera.
Per una miglior comprensione, sebbene molti di noi tendano a sub-vocalizzare mentre leggono, penso che per comprendere una scrittura di questo tipo occorra necessariamente pronunciare effettivamente le parole, rispettando le pause suggerite dalla scansione in righe.
Oggi, a vent’anni di distanza, realizzo che Auden ha scritto "1 settembre 1939" con una tecnica del tutto analoga, e dunque se lui è un poeta, nel mio piccolo lo sono anch’io, o quantomeno lo sono stato. Da ciò ne ricavo due considerazioni.
In primo luogo che nessuna scuola, nei tredici anni che ho speso chino sui banchi, è mai stata capace di insegnarmi realmente il concetto di poesia, ed è, direi, un perfetto riflesso di questa società, dove il preteso "acculturamento di massa" maschera in realtà un’ignoranza massificata persistente ad ogni livello. "L’ Attimo Fuggente", ancora una volta, dobbiamo costruircelo da soli.
In secondo luogo, ho praticamente "inventato" una cosa che esisteva già. Poco male, direi, dal momento che almeno è una cosa bella. E di Auden ed Eliot, non preoccupatevi, avremo a riparlarne più in là.