Le foto in testa

Oggi ho finalmente trovato il tempo di selezionare, ritagliare ed inserire un po’ di foto nell’header del blog. Quelle che c’erano prima erano sicuramente molto belle (probabilmente anche migliori di queste nuove) ma non mie, essendo il set fornito di default con il template… cosa che mi obbligava a condividerle con molti altri utenti.

Un paio di giorni fa, smanettando coi settaggi, ho capito che potevo sostituirle con foto mie mantenendo la rotazione casuale, ed ho provveduto alla sostituzione. A dirla tutta è stato tutt’altro che semplice. Il problema principale è il formato molto stretto ed allungato dell’header: da fotografo di lunga data tendo a “riempire” il fotogramma e pochissime delle mie foto si sono prestate a questo stravolgimento.

Tutte le foto che ho caricato (che non escludo in futuro di modificare e/o sostituire) provengono dagli scatti della vacanza della scorsa estate in Croazia e Bosnia.

L’umanità disintegrata

L’uomo disintegrato è un romanzo di fantascienza scritto nel 1952 che ho avuto modo di leggere nel corso degli anni ’80. Della complessa vicenda narrata, un giallo incentrato su un crimine commesso in una società dove la lettura del pensiero è pratica ormai diffusa, non ricordavo quasi più nulla, tuttavia una delle “scene clou” mi è rimasta da subito fortemente impressa: quella in cui il protagonista, un assassino, viene sottoposto ad un processo di cancellazione della memoria.

Questo non avviene, come ci si aspetterebbe, attraverso un complesso e futuribile macchinario come andava di moda in quegli anni, bensì nel corso della vicenda, narrato “in soggettiva” dall’uomo ormai scoperto ed in fuga dalla polizia. Le cose che scompaiono per prime sono quelle più lontane: le stelle. Il protagonista prima ne registra la sparizione, divenendone consapevole, poi questa consapevolezza si perde, e la normalità diventa un mondo progressivamente sempre più minuscolo, fino al punto da contenere solo il protagonista, poi nemmeno più quello.

Tutto questo avviene attraverso un racconto in prima persona in cui la perdita progressiva dell’identità viene percepita, ma non razionalizzata. L’uomo pensa di scappare sulle lune di Giove, e si sta dirigendo allo spazioporto, poi guarda il cielo in cerca della sua destinazione e si accorge che non ci sono più le stelle.

Domanda alle persone che ha intorno e nessuno ha idea di cosa siano le stelle. “A che mi servono le stelle, io devo fuggire sui pianeti…”, riflette, quindi si reca a fare i biglietti e l’uomo del desk gli spiega che non esiste nulla al di fuori del sole e della Luna. “Andrò sulla Luna”, pensa, e all’improvviso non c’è più nemmeno la Luna.

La vicenda si sviluppa quindi in una orribile sarabanda onirica nel corso della quale il mondo si riduce prima alla sola Inghilterra, poi solo a Londra, poi ad un quartiere… Il protagonista è a tal punto ossessionato dall’idea della fuga che continua a cercare un luogo in cui scappare, mentre il suo universo personale collassa progressivamente fino alla singolarità, al nulla.

Perché questa vicenda immaginaria mi ha colpito a tal punto da rimanere impressa nella memoria anche a distanza di anni? Direi in primis perché ci parla della difficoltà dell’affrontare una trasformazione talmente radicale della realtà tale da farci dubitare della nostra stessa sanità mentale. Quella che il protagonista attraversa è, di fatto, un’odissea nella follia. Un dover scendere a patti con l’evidenza, inaccettabile, che il proprio stesso cervello non funziona più. Una prospettiva oggettivamente terrificante.

Eppure c’è ancora qualcosa di più, dal momento che il valore e la ricchezza della narrativa metaforica sta nel fatto di trasfigurare l’esistente per offrirci chiavi di lettura che altrimenti rimarrebbero nascoste. E proprio oggi una di quelle “chiavi di lettura della realtà” è emersa prepotentemente dall’oblio.

A far “scattare la molla” è stata questa immagine, pubblicata da Daniele Gasparri sul forum Astroimaging con questo commento: “…Si tratta del gegenschein, un rinforzo circolare della luce zodiacale che si verifica nel punto anti solare a causa della riflessione totale (senza fase) delle particelle di polvere presenti lungo il piano dell’eclittica del Sistema Solare. L’immagine è stata scattata da Maitland Downs, Queensland, Australia, il 13 novembre 2012″ (*)

Il gegenschein è un fenomeno naturale permanente, e tuttavia, nei miei ormai 48 anni di vita (gli ultimi 30 dei quali vissuti da appassionato di astronomia), non ho ancora mai avuto la possibilità di osservarlo. Eccolo il cielo sparito non mio, stavolta, ma di tutti. Ecco l’inizio del processo di “disintegrazione mentale” immaginato da Alfred Bester nel lontano 1952.

Alzate gli occhi al cielo notturno, appena ne avrete l’occasione, e scoprirete che le stelle sono già scomparse dalla volta celeste sopra la vostra città, sostituite da un grigiore aranciato prodotto dall’inquinamento luminoso. I pianeti sono ancora al loro posto, ma la maggior parte non saprà riconoscerli, e se chiedessi in quale fase lunare ci troviamo adesso, ben pochi saprebbero rispondere.

Il parallelo col romanzo, da un certo punto di vista, si ferma qui. Per inciso: non penso sia un processo avviato in maniera intenzionale ma solo il prodotto di pulsioni collettive istintive in un contesto di abbondanza di energia, materie prime e tecnologia (per quanto anche tali pulsioni possano in qualche misura venir contrastate o al contrario assecondate, e mi sembra più probabile la seconda opzione…).

Si aprono invece, per altri versi, prospettive inquietanti, in particolare per quanto riguarda la sostituzione del mondo reale, e dell’esperienza dello stesso, con una quantità e varietà di “mondi virtuali” che si vanno diffondendo e moltiplicando di anno in anno.

Una delle patologie emerse recentemente è proprio la dipendenza da videogiochi, proiezione estrema (finora) di quel processo di alienazione progressiva dalla realtà che ci ha portato nel corso dei secoli (con un’accelerazione esponenziale in quest’ultimo) a confinarci in luoghi chiusi, in ambienti urbani sempre più artificiali, a spostarci per mezzo di scatolette sigillate, a nutrirci con alimenti preconfezionati e ad appassionarci di vite immaginarie veicolate dalla TV.

Infine, saltando di parallelo in parallelo, mi sono sovvenuti i Borg, popolo di creature in parte organiche ed in parte meccaniche introdotti nell’immaginario collettivo dalla serie televisiva “Star Trek”, caratterizzati dalla totale rinuncia all’individualità in favore di un’intelligenza centralizzata in grado di controllare molti corpi (ennesima riproposizione dei fantasmi del collettivismo socialista per il pubblico nordamericano).

Frullando tutto insieme sono giunto alla conclusione che quello che ci sta accadendo è analogo alla trasformazione Borg, solo che al posto delle parti meccaniche a sostituire componenti organici (un processo fisico) abbiamo porzioni di esperienze virtuali che nel nostro cervello vanno a sostituire analoghe porzioni di esperienze reali (un processo psichico).

Paradossalmente il risultato di questo processo appare molto simile a quello che fa dei Borg una collettività priva di individui: il nostro immaginario è uniformato, i nostri desideri vengono massificati ed appiattiti, perfino le nostre reazioni collettive diventano prevedibili ed, in ultima istanza, pianificabili e manipolabili.

Quindi la conclusione di quel processo di “disintegrazione della realtà” di cui fanno parte sia la progressiva scomparsa del cielo stellato che la sostituzione di esperienze reali con altre virtuali è esattamente la stessa immaginata nel romanzo: la cancellazione delle diversità culturali (nel libro, letta in chiave negativa, la tendenza omicida…) e l’omologazione dell’individuo a convenzioni e dettami sociali potenzialmente decisi a tavolino. Una prospettiva decisamente poco allegra…


(*) …e aggiunge poco più avanti: “Purtroppo si vedono anche i raggi laser puntati involontariamente da me nel cielo (…) Al centro le Pleiadi, in basso, come un faro, Giove (e faceva ombra in terra).”

La nuova casa del GSA

Da stamattina lavoro alla raccolta di tutto il materiale sul Grande Sentiero Anulare in un unico spazio. Sarà un blog prevalentemente statico, utile per rintracciare tutte le informazioni riguardanti il tracciato e per dar conto dei futuri appuntamenti. Oltre al blog ho aperto anche una pagina Facebook, per tutti quelli/e che si trovano più a loro agio con gli strumenti “social”.

Questo è quanto ho scritto nella pagina di presentazione:

Questo sito non è un vero blog, è soltanto lo spazio dove trovare, ordinate, tutte le informazioni sul Grande Sentiero Anulare che al momento risultano sparpagliate in giro per la rete. Le informazioni saranno facilmente accessibili dal menu collocato sotto l’Header, divise per argomenti.

Pubblicherò qui anche i diversi appuntamenti in cui si percorrerà ancora il GSA nei prossimi mesi, quindi seguendo l’attività del blog con un Feed Reader si verrà anche aggiornati su quando lo ripercorreremo (categoria: Appuntamenti).

Altra cosa che cercherò di aggiornare sono i vari “feedback” dei partecipanti, fotografie, video, articoli e tutto quanto resterà nella memoria collettiva dei giri percorsi (categoria: Rassegna stampa).

Tutto questo, ed anche altro che mi verrà in mente più in là. Ho realizzato che se quest’idea “cammina” ormai da sei anni vuol dire che è più robusta e “definitiva” di quanto mi aspettassi inizialmente, e merita un suo spazio definito ed organizzato.

Compleanni di parole

Gennaio, tempo di consuntivi e propositi per il futuro. Sebbene il capodanno sia, tutto sommato, una mera convenzione, l’idea che un ciclo si chiuda ed uno nuovo si apra resta radicata in noi, rafforzata dalla concomitanza col solstizio d’inverno, passato il quale le giornate tornano ad allungarsi.

Per questo blog, in particolare, gennaio è il mese del compleanno. Esattamente il 3 gennaio 2007, sei anni fa, a seguito dell’esperienza maturata prima sul sito dell’associazione Ruotalibera (che è stato per un po’ il mio blog personale limitatamente ad argomenti di stretta osservanza ciclistica), quindi su Romapedala, decidevo di dar vita (sull’ormai estinta piattaforma Splinder) al Mammifero Bipede.

Sentivo la necessità di uno spazio per raccontare e raccontarmi, per tener traccia degli eventi che attraversavo, dei viaggi, delle emozioni e delle storie che intrecciavano la mia vita, delle persone. A distanza ormai di diversi anni quell’esigenza c’è ancora, ma ha assunto una forma probabilmente definitiva, in parte diversa da quella che mi aspettavo.

C’è stata, nel frattempo, una profonda trasformazione in quella che, all’epoca, chiamavamo “la blogosfera”. Ciò che inizialmente appariva come una rivoluzione epocale nella comunicazione on-line, destinata ad assumere un ruolo chiave nel dialogo tra i cittadini, stava terminando il proprio processo di crescita per iniziare una fase di collasso che l’avrebbe portata a capitolare di fronte all’avanzata dei social-network.

Dei blog che, sei anni fa, erano i capofila del movimento (se così possiamo definirlo), molti hanno chiuso bottega, altri sopravvivono a fatica, mentre il grosso degli attuali sono agglomerati sotto il “cappello” di un editore o di progetti di informazione on-line collettivi.

Cosa è andato storto? Direi nulla, probabilmente è solo cambiato il mondo, sono cambiati i tempi e i modi attraverso i quali assumiamo ed elaboriamo una quantità sempre maggiore di informazioni: un flusso teso e costante che entra in competizione con la struttura narrativa prolissa, arcaica e ridondante dei post che produciamo.

Il frequentatore abituale di social-network è abituato a vedersi illustrare un concetto in una frase di poche righe, ed entra in crisi di fronte ad un blocco di testo delle dimensioni di un’intera pagina. Io stesso riesco ad affrontare articoli impegnativi solo a mente fresca, mentre faccio molta più fatica al termine di una sessione di scambi on-line.

A questo si aggiunga la pessima abitudine di molti blogger di sfoggiare la propria ars retorica costruendo frasi lunghe e post interminabili nei quali si fa fatica a trovare sufficiente “sugo”, ovvero argomentazioni non banali. Anch’io sovente non sfuggo a questo cliché, e me ne accorgo solo rileggendo quanto ho scritto a distanza di mesi.

In compenso trovo che lo scrivere insegni a scrivere, almeno per quanto mi riguarda. Riandando indietro nel tempo, a leggere i post di molti anni addietro, spesso mi vien voglia di riaprire i testi per modificarli, asciugarli, renderli più immediati e diretti.

Altre volte mi domando se il tempo speso a scriverli sia giustificato, se tutta questa montagna di parole, idee, elaborazioni, produca davvero dei risultati concreti nel mondo esterno o non finisca ad essere unicamente un monumento a me stesso, dorato e sterile come quelli dei satrapi delle repubbliche asiatiche.