L’approccio dell’idraulico

Un’idea ha cominciato a prender forma nella mia testa nei giorni scorsi, e non mi piace affatto. Su piccola scala riguarda l’approccio alla ciclabilità della mia città, su scala più ampia riguarda l’intera umanità e la maniera che ha di relazionarsi col proprio habitat.

Per cominciare a delineare il contesto nel quale questa idea si è sviluppata devo partire da un’esperienza di molti anni fa: il viaggio in bici in Albania del 2007. La cosa che più mi colpì di quell’esperienza fu l’enorme contrasto tra vecchio e nuovo, tra un passato di ristrettezze e povertà ed i simboli di un riscatto tanto a lungo desiderato: alberghi, ristoranti, automobili di lusso; ai nostri occhi esibizioni grossolane che stonavano con l’estrema povertà circostante.

“Che senso ha un albergo di lusso in un villaggio che non ha nemmeno una rete fognaria?”, mi domandavo con la ‘vision’ di un occidentale abituato a vivere un’organizzazione urbana dalle stratificazioni millenarie. Ancora meglio: “com’è possibile che non vedano una simile incongruenza?”. La risposta a questa domanda comincia finalmente a prender forma.

Il punto è che un’esperienza di privazione non ti rende in grado di cogliere la complessità di un diverso assetto culturale, politico e sociale. Tutto quello che ti è consentito percepire sono esibizioni di esteriorità: a New York l’italiano vede i grattacieli e pensa che siano quelli la differenza, ad Amsterdam vede le piste ciclabili, allo stesso modo in Italia gli albanesi vedevano i locali notturni e gli alberghi di lusso.

Non percependo (ci vorrebbero anni di studio intenso) la complessità sistemica che ha prodotto tali realtà, ognuno prova a rimetter mano al proprio contesto cercando di riprodurre l’esteriorità di ciò che viene percepito come ‘più evoluto’, con risultati spesso disastrosi. Semplicemente una diversa organizzazione politico sociale non è riproducibile in un contesto diverso, perché oltre agli elementi ‘fisici’ di contorno mancano la radici culturali che hanno prodotto quel diverso processo.

In assenza dell’intreccio di aspettative, volontà, consuetudini, forme mentis e percorsi culturali che hanno prodotto quell’unicum, irripetibile, la sua riproposizione tal quale in altri contesti sociali e culturali può produrre esiti opposti. L’introduzione di elementi culturalmente estranei non è facilmente metabolizzata, dando spesso luogo a crisi di rigetto. È questo, temo, il caso delle piste ciclabili a Roma.

L’attuale amministrazione cittadina ha deciso di investire massicciamente nello sviluppo della ciclabilità, cosa mai avvenuta con le precedenti amministrazioni. Purtroppo, mancando una comprensione complessiva dei meccanismi sociali, politici e culturali che hanno portato all’affermazione di tale forma di mobilità in altri contesti, manca anche l’opera di mediazione culturale in grado di renderla metabolizzabile ad una popolazione abituata ad un paradigma completamente opposto. Quelli che si stanno realizzando sono interventi che risultano incomprensibili ad una porzione significativa della popolazione.

Volendo fare un parallelo (le metafore sono una mia grande passione), è come se un idraulico provasse a realizzare nella propria casa, vecchia di un secolo, le soluzioni viste di sfuggita in un edificio moderno. Ovviamente partirebbe a realizzare gli interventi più esteriori, senza poter accedere ad informazioni che le mura del nuovo edificio celano: l’organizzazione dei cablaggi dei diversi servizi in primis, quindi una serie di piccole accortezze atte a rendere il tutto perfettamente funzionante.

Un’organizzazione complessiva che discende da una vision di tipo ingegneristico, che il nostro idraulico non possiede, e ancor meno possiede l’edificio su cui intende intervenire, non gli consentirà di realizzare gli interventi desiderati. Così rompendo il muro per realizzare le nuove sistemazioni troverà impedimenti non presenti nell’edificio specificamente progettato: colonne portanti, passaggi di cavi elettrici e del gas, pavimenti che non consentiranno le corrette pendenze… Di conseguenza l’acqua calda arriverà tiepida, gli scarichi non saranno efficaci e via elencando.

Questo è quello che rischia di accadere a Roma con le sistemazioni ciclabili, da molti percepite come una forzatura rispetto ad un preesistente stratificato e sedimentato in termini di usi e consuetudini, e rispetto ai quali nessun lavoro di trasformazione culturale è stato operato. Un approccio più da idraulici che da ingegneri.

Da parte mia voglio assumermi parte della responsabilità: un simile rischio sono stato in grado di intuirlo, ma non di formalizzarlo ed esplicitarlo in termini sufficientemente netti. Quello che sto provando a fare adesso, ora che i contorni della questione cominciano a delinearsi, andava probabilmente fatto anni fa, ma né io ne sono stato capace, né si è compresa tale necessità.

l punto, lo ribadisco, è che le sistemazioni ciclabili del Nord Europa sono solo la punta di un iceberg la cui massa complessiva giace, invisibile, sotto il filo dell’acqua. Per vedere il problema nella sua complessità bisogna essere in grado di ricostruire il mosaico che costituisce l’identità del popolo che le ha realizzate, la sua etica, le sue aspirazioni, la maniera in cui gli individui si relazionano gli uni agli altri, le scelte di vita, l’organizzazione del tempo pubblico e privato.

Posiamo copiare l’aspetto esteriore, possiamo sperare che il seme gettato metta radici, ma mancando il processo primario di costruzione del consenso, mancando la maturazione di un’identità culturale, nell’assenza di una consapevolezza complessiva rispetto al processo in essere, il rischio che quanto realizzato venga rigettato, disprezzato ed in seguito spazzato via, rimane alto.

Nomentana

(automobili parcheggiate sulla costruenda ciclabile Nomentana. La foto è presa da qui: https://www.facebook.com/groups/salvaiciclisti.roma/permalink/2288619584509580/)