Come far passare il singhiozzo

Oggi ho salvato una collega disperata che stava singhiozzando da un'ora col mio infallibile metodo per smettere di singhiozzare. E' un sistema che ho sviluppato diversi anni fa ed ha il vantaggio di non richiedere nulla, né bicchieri d'acqua, né amici che ci spaventino a sorpresa.

In buona sostanza funziona così:

  1. si prende un bel respiro gonfiando al massimo i polmoni
  2. si tappano con una mano naso e bocca
  3. si deglutisce intenzionalmente più volte finché la necessità di respirare lo consente.

Devo aver letto da qualche parte che il singhiozzo non è altro che "una contrazione involontaria della glottide". Partendo da questo ho ragionato che normalmente la glottide si contrae volontariamente, cosa che avviene quando inghiottiamo qualcosa.

In tal caso, ho riflettuto, può darsi che forzando l'utilizzo della glottide si possa ricondurla allo stato "controllato" abituale. Solo che è difficile inghiottire a bocca vuota, la cosa riesce meglio (ma sempre a fatica) con naso e bocca tappati. In questo l'avere anche i polmoni pieni d'aria rappresenta una difficoltà ulteriore.

In genere la prima deglutizione è abbastanza semplice, le successive via via sempre più faticose, difficilmente riesco ad andare oltre le sei o sette prima di dover riprendere un nuovo respiro.

Solo che a quel punto, normalmente, il singhiozzo già non c'è più. Nei rari casi in cui non sia passato al primo tentativo il secondo è sempre stato sufficiente. In pratica non soffro più di singhiozzo da anni.

Ovviamente non posso escludere che con qualcuno/a possa anche non funzionare, in fondo siamo tutti diversi… a comunque noto ora che il mio "rimedio" è riportato più o meno tale e quale perfino da Wikipedia alla voce singhiozzo (è l'ultimo in fondo all'elenco).

Peccato, non potrò brevettarlo!

Rapid Eye Movement

Pubblicando la mia prima playlist incentrata prevalentemente sulla musica pop inglese degli anni '80 mi ero ripromesso di comporne un'altra dedicata alla musica americana dello stesso periodo. Mettendo a fuoco meglio l'idea mi sono in seguito reso conto che il primo tributo, monografico, spettava ad una band che ho nel cuore fin dal primo ascolto.

Oggi parlare dei R.E.M. è relativamente semplice, sono una band affermata, uno dei gruppi storici della scena musicale americana. Nel 1987 qui in Italia non li conosceva quasi nessuno, non giravano nelle radio e non passavano in televisione, ma…

Ma un pomeriggio qualsiasi, mentre guardavo Videomusic, passò il video di "The One I Love". Fu amore al primo ascolto, la sola cosa che pensai fu "devo avere questo disco". Questa percezione netta ed inequivocabile in vita mia l'ho avuta solo due volte, la prima con i R.E.M. la seconda con i Nirvana di "Smells Like Teen Spirit".

La canzone era contenuta nell'LP "Document", acquistato immediatamente. Da quello riandai all'indietro, un disco alla volta, fino al lavoro d'esordio, "Murmur". Poi ho continuato a seguirli per molti anni ancora, più o meno finché mi è durata la voglia di acquistare dischi.

A lungo ho considerato i R.E.M. la mia band preferita, ma solo stasera, riascoltando quelle canzoni, mi sono reso conto di quanto fossero incredibilmente belle, e di quanto mi sia difficile sceglierne solo alcune. Mi aspettavo di complare una playlist di una dozzina di brani, e sono quasi trenta…

Il materiale è in ordine cronologico, si va dalle sonorità ancora acerbe di "Murmur" fino alla metà degli anni '90. Buon ascolto.

http://www.youtube.com/p/5F883C4A26C61AA2?hl=it_IT&fs=1

L'ultima pedalata

Oggi sono stato a fare un giro in bici con il mio amico Gianni detto "il Gallus". Abbiamo preso il treno fino alla stazione di Fara Sabina, fuori dalla quale ci stavano aspettando altri amici ciclisti, in vario modo legati a gruppi sportivi/escursionisti del nostro recente passato, quindi siamo partiti a pedalare.

Questo giro è stato fortemente voluto da Gianni, che l'ha voluto intitolare "L'ultima Sabina" in onore di un'area al confine con la provincia di Rieti da lui particolarmente amata. "Ultima" perché sta partendo, ha trovato lavoro in Svizzera e si appresta ad andare a vivere là, a Zurigo.

Non è il primo e nemmeno sarà l'ultimo. Già in passato due amici di Emanuela, con le loro bambine, si erano trasferiti a Ginevra. Un altro mio amico personale in Canton Ticino. Partiti per opportunità, più che per necessità, sfuggiti ad uno stato del tutto incapace di valorizzare le loro competenze ed intelligenze.

L'uscita è stata baciata da un sole già quasi primaverile, con temperature che non mi hanno fatto rimpiangere la scelta di indossare i pantaloni corti, con accanto i mandorli in fiore ed un'aria tersa e sottile tale da consentire allo sguardo di spaziare fino alle lontane cime appenniniche incappucciate di neve.

Anche il gruppo è stato insolitamente compatto, viaggiando ad una media compatibile con l'allenamento di tutti. Io ero il meno in forma, eppure non ho subito ritardi pesanti ed in alcuni tratti viaggiavo col gruppo di testa. Quasi stupiti per la bellezza della giornata e per le zone attraversate, tanto da non voler allungare troppo il passo per prolungare la piacevolezza del pedalare.

Immagino che la Svizzera tedesca non farà rimpiangere a Gianni i dintorni di Roma. Troverà percorsi ben attrezzati e segnalati, strade messe in sicurezza per i ciclisti, sentieri per esplorare le montagne circostanti. Nondimeno queste colline gli mancheranno, come parte di un passato che non tornerà più.

I viaggi, le partenze, sono sempre delle cesoie che tagliano la nostra vita in fette discontinue, dividono forzatamente ricordi ed emozioni, ci costringono a fare i conti col tempo che passa. Anche quando si va a star meglio restano i ricordi dei momenti belli, delle esperienze condivise con gli amici, di aspettative forse ingenue mai avveratesi.

Immagino che Gianni porterà con sé il ricordo di un paese eticamente allo sbando, con una classe politica ed amministrativa in larga parte inetta e corrotta, di un territorio bellissimo eppure massacrato da cemento e speculazione, di un popolo inerte, indifferente ed egoista, incapace di volere e sognare per sé un futuro diverso e migliore rispetto agli stereotipi di ricchezza e successo indotti dalla tv.

Lasciare questo paese con la consapevolezza di aver lottato per cambiare le cose, e di aver perso, è comunque meglio che rimanere qui ad intestardirsi per far funzionare meccanismi difettosi e disfunzionali, dello spendere la propria vita per vuotare il mare con un cucchiaio, ma forse non troppo meno amaro.

Il vantaggio è che la sua amarezza lentamente sbiadirà insieme ai ricordi, al contrario la mia e quella di altri alimenterà rabbia e determinazione, ma non potrà garantirci quel successo del buonsenso e della ragionevolezza che sembra sempre a portata di mano e purtroppo sempre si perde.

Ciao Gianni, ciao Elena. Verremo presto a trovarvi e non escludo del tutto che alla fine non scapperemo anche noi da questa città meravigliosa e disperante.

A caccia di galassie (terza parte)

(trovate qui la prima parte, e qui la seconda)

Dopo circa tre mesi di “digiuno” astronomico, tra meteo sfavorevole, malanni stagionali e “luna di traverso” (rammento che per più di metà del mese la presenza della Luna rende impraticabile l’osservazione del “cielo profondo“), finalmente la scorsa settimana il barometro è passato sul “bello stabile” e ne ho approfittato per andare finalmente a verificare sul campo la qualità dei cieli maremmani.

Sabato mattina, imbarcata la strumentazione, io e Manu ci siamo messi in viaggio verso la nostra meta, raggiunta nel primo pomeriggio dopo aver percorso circa 200km in poco più di tre ore. La distanza in effetti si fa sentire, ma abbiamo tutto il tempo di riposarci e schiacciare un pisolino prima del tramonto.

All’arrivo scopro che l’agriturismo ha un’ampia terrazza esposta a sud-ovest accessibile da una sala comune, molto comoda per il fatto di non dover riporre tutta la strumentazione dopo la sessione osservativa. Una breve passeggiata nei dintorni non mi fa individuare siti preferibili, le radure adiacenti hanno ampie aree di cielo inaccessibili a causa della vegetazione.

Al tramonto comincio a tirar su il dob. Non disponendo di un tavolino pieghevole (prossimo acquisto…) appoggio valigetta oculari e mappe sul muretto di cinta. Lì per lì sembra una buona idea, ma poco dopo, a crepuscolo completato, mi rendo conto dell’errore strategico. Il muretto affaccia purtroppo sul parcheggio sottostante, illuminato dalle micidiali “palle“.

Su questo tipo di nefandezza illuminotecnica mi vedo obbligato ad una breve digressione. Le “palle” da giardino sono una delle soluzioni energeticamente meno efficienti in assoluto. La luce emessa viene sparata in prevalenza verso l’alto, dove l’unico effetto prodotto è il peggioramento dell’inquinamento luminoso del cielo. Un danno, quindi, oltre allo spreco.

Con riflettori adeguatamente progettati la stessa efficienza illuminativa si può ottenere per mezzo di lampade meno potenti e dal minor consumo. Perché dunque le “palle” continuano ad esistere ed essere commercializzate ed acquistate? Semplicemente perché costano poco, sono facili da fabbricare e chi le compra e mette in opera non si pone il problema di star facendo una cosa stupida.

Ma soprattutto perché manca, in questo paese, una normativa nazionale sull’inquinamento luminoso. Esistono solo leggi regionali (nelle regioni che le hanno emanate, ovviamente non tutte), ed esiste soprattutto l’opposizione dei fabbricanti di “palle“, che in caso contrario si vedrebbero costretti a ritirare questi oggetti dal mercato e ad investire su prodotti tecnologicamente più evoluti e costosi (che oltretutto potrebbero far riflettere i potenziali acquirenti sull’effettiva utilità di illuminare nottetempo giardini ed aiuole).

La proprietaria dell’agriturismo mi rassicura sul fatto che le luci esterne verranno spente  dopo l’ora di cena, ma per il momento non posso farci nulla. Le luci non sono tali da peggiorare la visione degli oggetti celesti, ma non posso in pratica girarmi, consultare le mappe o cambiare il puntamento del telescopio senza ritrovarmele negli occhi ad abbagliarmi e danneggiare il mio “adattamento al buio“.

La retina ha infatti bisogno di diversi minuti per adattarsi ai bassi livelli di illuminazione e raggiungere la massima sensibilità. In questo processo i sensori itulizzati per vedere di giorno, i “coni”, migrano in profondità, mentre vengono portati in superficie i “bastoncelli”, più sensibili alla luce fioca. Un adattamento lentissimo che può essere vanificato in pochissimo tempo da una luce intensa ed abbagliante.

Ma il cielo che ho sopra la testa è troppo spettacolare perché possa decidere di posticipare l’osservazione a dopo l’ora di cena. Buttato un rapido sguardo, subito dopo il tramonto, ad una sottile falce di Luna prossima all’orizzonte ed a Giove (oggetti brillanti visibili anche in condizioni di cielo non perfettamente buio), appena il crepuscolo avanza a sufficienza parto a macinare oggetti “non stellari“.

Inizio con un po’ di roba già familiare, per testare la qualità del cielo e far osservare anche un po’ di cose molto vistose a Manu, che alla ventosa terrazza stellata preferisce alternare il comodo salotto adiacente ed un buon libro.

Il primo oggetto della serata, se ben ricordo, è la “Crab Nebula” nel Toro, molto netta. Poi cerco e trovo M78. La “Fiamma“, accanto alla Zeta è anch’essa evidente, mi riprometto di tornarci su più tardi per cercare la “Testa di Cavallo” che lì per lì non riesco a vedere (ma me ne dimenticherò…).

La nebulosa di Orione (M42-43) è al suo top, a bassi ingrandimenti è evidente il ponte luminoso che “chiude” le ali, come pure la evanescente nebulosa NGC1977. Ingrandisco la zona del Trapezio per ammirare le sei stelline immerse nella nebulosità.

Quindi punto la nebulosa “Rosetta” (NGC2237), intravista per la prima volta la sera precedente dal mediocre cielo di Frasso Sabino col 10″ dell’amico Andrea. La differenza è notevolissima, il fondo cielo è molto più scuro e consente di seguire la debole nebulosità tutto intorno all’ammasso aperto racchiuso al suo interno. Da Frasso se ne intravedeva solo il lembo più luminoso.

Uso poco il filtro nebulare OIII, a differenza di quanto accade sotto cieli più inquinati l’effetto di “distacco” delle nebulose è meno evidente, e la perdita di luminosità generale penalizza l’osservazione. Ho la sensazione che il fondo cielo sia già talmente scuro da non premiare l’uso di filtri.

Un’occhiata all’ammasso aperto M46, ma solo per ammirare la piccola nebulosa planetaria contenuta al suo interno, poi faccio un po’ di confusione con NGC2359, la “Thor’s Helmet” (che nel mio catalogo, chissà perché, è riportata come “Duck Nebula“), la osservo ma perdo l’occasione per studiarmela con calma.

Altro oggetto da non mancare la supernova appena esplosa in una galassia nella Giraffa, NGC 2655, ben visibile accanto al nucleo. Quindi, dato che “sono in zona“, la coppia M81-M82, spendendo un po’ più di tempo sulla seconda per osservarne le irregolarità nel nucleo.

Passo ad M33, molto ben evidente, e per la prima volta ho la sensazione di intravedere la struttura delle braccia a spirale. Sbircio anche M31, la grande galassia in Andromeda, con le due compagne nettissime, ma sono ormai preso dalla “sindrome del buffet“: troppe cose da vedere e rivedere sotto un cielo fantastico. Saltello dall’una all’altra senza sosta. Penso un oggetto (NGC891, avrei tanto voluto rivederla…), e prima di averlo puntato me ne viene in mente un altro e vado su quello, dimenticando di osservare il primo.

Gli appunti presi (quando mi ricordavo di segnare le cose osservate…) mi rammentano anche due nebulose planetarie, una nella Giraffa (NGC1501) ed una nell’Eridano (NGC1535), entrambe marcate con un punto esclamativo di apprezzamento, la “Eskimo Nebula” (NGC2392) nei Gemelli ed il flebile ammasso globulare nella Lepre (M79) le cui deboli stelline appaiono in parte risolte.

Tutto questo con un lieve vento freddo che lentamente mi gela le gambe e le mani e minaccia di far svolazzare le mappe ed il catalogo di oggetti da osservare, mentre mi muovo ingobbito ed incappucciato per evitare di farmi abbagliare dai lampioncini “a palla” e mi arrabatto per sfruttare una normale sedia dallo schienale troppo alto al posto della ben più versatile scaletta Foppa Pedretti dimenticata a casa.

L’ora di cena mi coglie già sazio di visioni “non stellari” e molto disponibile ad un break di tepore e buon cibo. In seguito, rifocillato e “stiepidito“, provvedo ad indossare i pantaloni da sci, vero asso nella manica contro il freddo pungente.

Ho scoperto dopo averli acquistati che non è sufficiente coprire bene solo una parte del corpo, il freddo aggredisce quello che rimane meno protetto e si diffonde. Doverosamente scafandrato posso affrontare una ventosa notte invernale senza neppure dover indossare i guanti, che mi impedirebbero notevolmente l’alternanza degli oculari.

Finalmente le “palle” sono spente e la rotazione terrestre ha portato la zona tra il Leone e la Vergine ad un’altezza utile per le osservazioni. In questo fazzoletto di cielo sono rintracciabili letteralmente decine e decine di galassie, appartenenti al cosiddetto “Virgo Cluster“. Comincio con la zona della Chioma di Berenice, gli appunti riportano NGC4293, M100, NGC4312, NGC4262, M99, la coppia NGC4302-4298, M86… poi si arrestano.

Gli oggetti si accavallano all’oculare, perderei più tempo ad appuntarli che ad osservare, uso le mappe per capire da che parte spostare il telescopio guardando direttamente nell’oculare, senza bisogno di usare il sistema di puntamento del telescopio. Da una galassia all’altra, come pollicino con i suoi sassolini.

E’ difficile condensare in parole l’emozione che dà scorgere questi batuffolini sospesi nel vuoto, tondi, ovali, allungati. C’è un dato estetico, ovviamente, ma ancora di più la consapevolezza di essere al cospetto dell’immensità sconfinata del Cosmo.

Ognuna di quelle macchioline è un sistema stellare paragonabile alla nostra galassia, la Via Lattea, ognuna composta da centinaia di miliardi di stelle, coi relativi sistemi planetari, probabilmente forme di vita, civiltà irraggiungibili ed inconoscibili. Penso alla luce che raggiunge la mia retina dopo aver viaggiato nel vuoto per cinquanta milioni di anni…

Mi fermo ad appuntare un oggetto che non è segnato sulla mia mappa: tra le galassie NGC4459 ed NGC4474 c’è qualcosa di ancora più debole ma percettibile. Scoprirò, una volta tornato a casa, trattarsi della minuscola NGC4468.

Macino galassie a decine, ebbro di entusiasmo per un cielo finalmente all’altezza delle mie aspettative, senza preoccuparmi di appuntare il numero di catalogo, la forma, le dimensioni, semplicemente come un bambino affacciato sugli incomprensibili misteri dell’Universo.

A differenza dell’anno precedente, quando avevo effettuato lo stesso tour in primavera, in beata solitudo sotto i cieli di Campo Felice, stavolta mi ricordo di cercare M104, la “Sombrero Galaxy“. Oggetto assolutamente unico tra quelli osservabili con piccoli telescopi, quasi perfettamente di taglio, con un bulge evidente ed una banda scura nettissima che ne nasconde la metà inferiore.

Poi, forse a voler cambiare un po’ tipologia di oggetti dopo l’indigestione, gli appunti riportano NGC2419, un ammasso globulare nella Lince, debolissimo. A posteriori realizzerò trattarsi di un oggetto molto particolare: “the Intergalactic Wanderer“, il vagabondo intergalattico, l’ammasso globulare più lontano tra quelli in orbita intorno alla Via Lattea.

Quindi torno nell’Orsa Maggiore, di nuovo a caccia di galassie, dove rintraccio NGC3184, M101 (di cui intravedo per la prima volta la struttura delle braccia spirali), M109, M108 con accanto la nebulosa planetaria M97, la “Nebulosa Gufo“. Poi mi sposto nei Cani da caccia ed osservo i già noti quattro oggetti Messier della costellazione; M51, M63, M94 ed M106, quindi per la prima volta la coppia di galassie NGC4485+4490 e le adiacenti NGC4449 ed NGC4244.

La serie di appunti termina qui, probabilmente intorno alle tre e mezza di notte. Manu per qualche motivo si sveglia e decide di alzarsi per venirmi a strappare dalle visioni notturne. Mi trova in terrazza ormai allo stremo delle forze, stanco ed appagato. Nel giro di una manciata di minuti le faccio fare un tour rapidissimo di una quindicina di oggetti particolarmente spettacolari, approfittandone per rivederli io stesso e “piluccare” chicche già note e fino a quel momento bypassate come il globulare M3.

Quindi mi arrendo, chiudo tutto, appoggio il telescopio ancora montato nel saloncino adiacente e mi abbandono finalmente al meritato riposo.

A caccia di galassie (seconda parte)

(trovate qui la prima parte)

Stabilito che per osservare il “cielo profondo” bisogna spostarsi occorre però decidere quanto. Questo è un criterio soggettivo, dipende innanzitutto dalla possibilità che si ha di spostarsi, poi dal tipo di risultati che si aspira ad ottenere. Cercherò di rendere più chiaro il concetto utilizzando delle immagini di una coppia di galassie visibili nel cielo invernale: l’oggetto denominato M51.

La prima immagine mostra quanto ci si può verosimilmente aspettare da un cielo “suburbano”, quello che nella mappa del precedente post era indicato in colore giallo. La galassia si intravede a fatica proiettata su un fondo cielo lattiginoso. Una visione di questo tipo, dopo un po’, trasmette solo tristezza.

M51-Yellow

Nella seconda immagine,  lo stesso oggetto osservato da un cielo di classe “verde”, più o meno quello che si riesce ad ottenere allontanandosi da Roma di un centinaio di km (nelle direzioni giuste). L’osservazione inizia già ad essere soddisfacente.

M51-Green

Qui sotto potete vedere quello che arriva a mostrare un cielo di classe “blu/nero”, ovvero quel cielo che in Italia non esiste quasi più, nemmeno in cima alle montagne. Il cielo che avevo trovato l’estate scorsa in Corsica (dopo un intero giorno di viaggio tra auto e traghetto) e che consideravo nuovamente irraggiungibile. Questo fino allo scorso weekend.

M51-Blue

Nell’estremo lembo sud della Toscana, in provincia di Grosseto, le mappe di Cinzano mostrano un’area ancora blu ad est del parco dell’Uccellina, estesa fin quasi al monte Amiata. Ma quanto possono risultare ancora valide a dieci anni di distanza?

Maremma
Facciamo un passo indietro. Nell’estate del 2010 ho partecipato allo starparty del forum Coelestis sul monte Labro, presso Arcidosso. Nonostante le mie aspettative (l’occasione annuale di incontro di astrofili esperti provenienti da tutta Italia) il cielo si è rivelato abbastanza mediocre, del tutto analogo a quello dei siti da me abitualmente frequentati.

Ad un esame puntuale la zona osservativa risultava ai bordi dell’area verde delle mappe di Cinzano e, almeno secondo me, ancora troppo vicina ad Arcidosso, ben all’interno della “bolla” di IL prodotta dal paese. In ogni caso la compagnia si è rivelata ottima, il cielo lo abbiamo osservato ugualmente, io ho avuto l’occasione di buttare l’occhio in un mastodontico dobson da 65cm ed insomma lo starparty me lo sono goduto lo stesso.

Ma il tarlo sulla qualità del cielo mi è rimasto. In particolare a mettermi in moto è stato un episodio verificatosi nella “pausa diurna” del weekend. Su proposta di uno degli animatori del forum ci siamo mossi in macchina alla ricerca di un ristorante “sperimentato” nelle precedenti edizioni, muovendoci in direzione di Scansano.

Gira che ti rigira dopo un po’ ci siamo resi conto che il proponente non si ricordava più dove fosse questo ristorante, e dopo buoni tre quarti d’ora a girare a vuoto, con gli stomaci che cominciavano a brontolare, abbiamo imboccato la direzione di un agriturismo sulla cui insegna campeggiavano coltello e forchetta.

Il luogo è risultato ameno ed ospitale, la cucina ottima, ed anche panoramicamente ben piazzato. Il pensiero di tutti è stato: “chissà com’è il cielo qui di notte…” , come punto di appoggio logistico essendo apparentemente ottimale.

Tornato a casa ho verificato la posizione del posto, riscontrandolo giusto al centro della famigerata zona blu, con una direzione osservativa ottimale rivolta verso sud. Restava solo da verificare di persona la reale qualità del cielo. Cosa che tra impegni e meteo ostile ho potuto effettuare solo lo scorso weekend.

(continua)

A caccia di galassie (prima parte)

Chi mi segue da un po’ sa della mia passione per l’osservazione del cielo, e di come questa si sia trasformata, nel corso degli anni, in una piccola ossessione personale volta alla ricerca di cieli il più possibile incontaminati dall’illuminazione artificiale. Sui disastri prodotti dallo spreco energetico notturno ho già scritto molto, in particolare qui, per rendere meglio l’idea aggiungo questa recente foto scattata dalla Stazione Spaziale Internazionale.

PugliaISS
L’effetto visivo è molto scenografico, ma il risultato pratico di questa foga nel cancellare il buio è rovinoso. Oltre allo spreco energetico connesso, l’enorme lampadario alla rovescia in cui abbiamo trasformato l’intera nazione ottiene il risultato di illuminare il cielo stellato sopra le nostre teste, cancellandone la percezione e, sulla distanza, perfino il ricordo.

Già oggi dalle città è impossibile vedere altro che le stelle più brillanti, i disegni delle costellazioni sono irriconoscibili, per non parlare della Via Lattea, a malapena individuabile ormai anche dall’aperta campagna. Solo dalla cima delle montagne più impervie è possibile avere un’idea dello spettacolo incredibile che per millenni ha accompagnato la crescita dell’umanità su questo pianeta.

La mia “ricerca del cielo perduto“, dopo anni di letargo dovuto allo sconforto, è ripartita due anni e mezzo fa dal monte Nerone, ha visto un culmine sul Roque de Los Muchachos, alle Canarie, è proseguita in Corsica l’estate scorsa e procede tutt’ora, alla ricerca del miglior compromesso tra qualità del cielo, distanza e complicazioni connesse.

Mi serve a poco un cielo perfetto se posso arrivarci al massimo una volta l’anno e senza portare il telescopio (Canarie), va già meglio un cielo quasi perfetto raggiungibile, sempre una volta l’anno col dob in macchina (Corsica), ma l’ottimale è un cielo raggiungibile, con adeguata (ed ingombrante) strumentazione al seguito, almeno una volta al mese.

Per meglio comprendere l’entità del problema occorre ragionare partendo dallo studio di Pierantonio Cinzano (anche se vecchio di ormai dieci anni). L’illustrazione qui sotto mostra lo stato disperante della nostra penisola.

itamini
In questa che si potrebbe ben definire “natura morta” le zone prive di inquinamento luminoso sono rappresentate in nero, quelle con IL modesto in blu, quelle con IL percepibile e già fastidioso in verde. Dal giallo in poi per una varietà di oggetti deboli come nebulose e galassie è meglio lasciar perdere. La fatica di spostarsi e montare la strumentazione non è ripagata dal poco che si vede.

Va detto a questo proposito che l’osservazione di oggetti deboli (in gergo “deep sky“) non è l’unica pratica astronomica possibile. L’osservazione lunare e planetaria non abbisogna di cieli bui, ed anche le riprese astronomiche sono meno penalizzate dalla presenza di fondo cielo, facilmente rimovibile col fotoritocco.

Solo l’osservazione visuale richiede cieli perfettamente bui. Quei cieli che da noi non esistono più. Stabilito questo, con la passione di un naturalista in cerca di esemplari di una specie rarissima ed ormai quasi estinta mi metto in caccia di qualcosa che potrei non riuscire a trovare: la luce fioca di galassie lontanissime.

(continua)

A testa bassa

Di nuovo a discutere con i referenti comunali, stavolta è l'assessore alla mobilità. Concessioni. Qualcosa si muove. Potremmo ottenere a breve la possibilità di trasportare le bici pieghevoli sui mezzi pubblici.

È poco? È tanto? Personalmente lo facevo già anche prima. Non mi cambia niente.

Ma soprattutto non mi interessa se sia poco o tanto. Se sia un risultato utile, importante o insignificante. Nel corso degli anni ho perso la speranza di riuscire a rendere questo paese un pochino più decente, un pochino più civile, un pochino più europeo. Non ci credo più.

I risultati arriveranno, ma non saranno mai sufficienti. Il mondo che desidero non lo vedrò mai realizzato. Per quanto mi dia da fare. Per quanto possa combattere.

Eppure non riesco a smettere. Sono ancora qui. Combatto per il gusto di combattere. Lo faccio da talmente tanto tempo che non saprei fare altro.

I risultati arriveranno, ma non saranno mai abbastanza. Mi faccio bastare il combattere.

(…nel frattempo un'anziana signora è morta in bici, travolta da un camion…)