Come da sua richiesta

“Utente: Marco Pierfranceschi <marco.pie@gmail.com>
Rimosso da ruotalibera-list il giorno 24/10/2008,
come da sua richiesta.”

È strano come eventi ben più che prevedibili, direi anzi del tutto attesi quando non addirittura desiderati, finiscano col restituire un retrogusto molto più amaro di quanto ci aspettassimo. Questo è uno di quei casi. La mailing-list dalla quale sono stato da poco disiscritto, dietro mia precisa richiesta, l’avevo fortemente voluta far nascere, quasi dieci anni prima, per dare all’associazione di cui avevo ereditato la presidenza uno strumento nuovo, di dialogo e confronto.

Ed era servita, quella lista. Tra dibattiti, interminabili pippettoni e battibecchi (all’epoca ancora amichevoli e ben dentro la soglia di tolleranza) Ruotalibera-list è stata, a suo modo, la spina dorsale della nuova associazione che cominciava a prender forma. L’associazione di cui, ormai da qualche giorno, non faccio più parte.

Quando a lasciare un’associazione non è un semplice iscritto ma uno che ne è stato presidente per sei anni, probabilmente ciò avviene a causa di qualche tipo di evento catastrofico. Quella di Ruotalibera-Fiab è stata per me, negli ultimi tempi, una “catastrofe al rallentatore”, iniziata ben prima delle mie dimissioni dalla presidenza. Una catena di eventi che vorrei ripercorrere e fissare, prima che la memoria cominci a giocare brutti scherzi.

Quello che farò, tuttavia, non sarà un tentativo di “narrazione imparziale”, ché rimanere imparziale mi è impossibile, essendo parte in causa. Cercherò di raccontare quello che ho visto dal mio punto di vista, parziale e ristretto, e ci saranno di certo persone il cui punto di vista sarà diametralmente opposto al mio.

Come non mi è riuscito di dialogare con queste persone negli anni passati, mi aspetto di non riuscirci ora. Tuttavia non saranno direttamente menzionati nel racconto, quindi non potranno ritenersi oggetto di attacchi personali. Memore delle esperienze passate, il caldo invito che rivolgo è, se possibile, di evitare di scatenare l’aggressività personale nello spazio dei commenti. Questo è un blog pubblico, ma anche e soprattutto uno spazio personale, e non esiterò a rimuovere gli interventi che riterrò irrispettosi del mio pensiero e della mia persona. Punto.

La mia “carriera” (detta così fa ridere, lo so) all’interno di Ruotalibera era iniziata nel 1990, con la prima guida di un’escursione, ed era proseguita con diverse altre iniziative fino al 1996, anno in cui il “presidente-fondatore” Maurizio si era da un giorno all’altro trasferito in un’altra regione, lasciando una manciata di associati in stato semi-confusionale.

Ricordo frammenti di un’animatissima riunione in cui sembrava che l’associazione stessa, in assenza della sua principale “icona”, fosse sul punto di dissolversi nel nulla. Da quella riunione ne uscii fuori come neo-presidente, spuntandola sulla candidatura di Miguel. Quella mia prima presidenza durò solo sei mesi, che servirono più che altro per ridare alle “guide” (n.b. = accompagnatori delle escursioni) la fiducia in sé e nelle possibilità di un’associazione ancora viva e forte.

Poco dopo fu il turno di Miguel, che portò avanti l’opera per circa due anni, in piena continuità col passato. Furono anni di ricambio del gruppo di “guide”, con l’ingresso di diverse persone nuove che alla lunga non si trovarono in linea con lo “stile dirigenziale” del presidente, e nel 1999 ne chiesero ed ottennero le dimissioni. Per rieleggere nuovamente me.

Miguel mi disse, cedendomi il testimone, una frase lapidaria: “un anarchico non può fare il presidente”. Quella frase mi è tornata in mente spesso. Posso dire di aver passato i miei sei anni di presidenza nel tentativo di confutarla, temporaneamente riuscendoci. Ma sulla distanza si è rivelata una profezia esatta.

Molte delle persone che vissero quel periodo non fanno più parte di Ruotalibera, ma diversi di loro continuano ad animare la scena ciclistica romana in altri gruppi ed associazioni, o con attività di varia natura. Alcuni non vivono più a Roma, altri ed altre non si vedono più in bici ormai da anni.

Tornando alla posta elettronica, le e-mail più “antiche” che sono riuscito a recuperare datano agosto 2000, e la mailing-list esisteva già, nella sua prima “incarnazione” denominata “giollolist”.

Dopo un breve periodo passato a circolare fra noi messaggi con più indirizzi in copia, forte dell’esperienza datami dalla partecipazione alle liste di discussione del Linux User Group di Roma avevo chiesto a Giovanni, operante nel settore informatico e “guida” dell’associazione, di attivare una mailing list gratuita.

Per l’associazione fu un notevole salto di qualità. Persone che, per anni, trovandosi ad abitare ai quattro angoli di una grande e caotica città avevano solo potuto telefonarsi, o più raramente vedersi di persona una o due volte al mese, all’improvviso avevano modo di dialogare con continuità, quotidianamente, dibattere nuove idee, sviluppare progetti.

Fu un periodo di grandi cambiamenti, coinciso con un equivalente momento di crescita della FIAB – Federazione Italiana Amici della Bicicletta, di cui Ruotalibera faceva, e fa tutt’ora, parte. Aumentò il numero delle Guide e dei soci attivi, l’associazione ebbe il suo primo sito web, si iniziò a prender parte alle campagne nazionali della Fiab.

Contemporaneamente era aumentato il mio impegno al “livello nazionale”, dopo un periodo di “partecipazione informale” ero stato accolto nel Consiglio Nazionale della Fiab, e partecipavo alla crescita della Federazione, non solo a quella dell’associazione della mia città.

Ma la prima “pugnalata alle spalle” arrivò proprio dalla Fiab, nella primavera del 2004 all’assemblea di Mestre, quando il mio incarico di consigliere non venne rinnovato. Fu una scelta distruttiva, in primo luogo nei miei confronti, in secondo nei confronti dell’associazione che ero lì a rappresentare, ma soprattutto delle potenzialità di crescita e sviluppo della Fiab in una realtà nodale come quella romana, crocevia di ministeri e movimenti politici.

Provai a reagire alla situazione che si era venuta a creare candidando Roma ad ospitare il Cicloraduno annuale nel 2005, anche se probabilmente sbagliai nel considerare i tempi maturi. L’evento fu un discreto successo ma il periodo che lo precedette, il sovraccarico di impegni e stress, l’assenza percepita della Fiab, furono micidiali per la serenità ed i rapporti interni dell’associazione. Passammo mesi pesantissimi ed il risultato fu, a mio parere, un “successo a metà”. I nostri eroici sforzi furono scarsamente premiati da un’adesione molto inferiore alle aspettative.

Interpretai questo come una scarsa volontà, da parte della Fiab, di valorizzare il peso e le potenzialità dell’esperienza romana. Quasi un volerci togliere importanza, anche a costo di perdere un nodo di collegamento cruciale tra la Federazione e le “stanze del potere”. Questione di scelte: la mia già traballante fiducia nel gruppo dirigente della Fiab continuò a declinare.

Preso atto della personale “inadeguatezza” a recepire i desiderata della Fiab, come pure delle numerose critiche che mi venivano rivolte dall’interno di Ruotalibera, il primo atto formale del progressivo allontanamento dall’associazione che avevo rifondato fu il rifiuto a candidarmi nelle elezioni dell’autunno 2005.

Sentivo sulle spalle il peso di troppi anni di decisioni e scelte, ero curioso di scoprire cosa sarebbe potuta diventare l’associazione senza la mia ingombrante presenza. Non intendeva essere un allontanamento definitivo, anche se di fatto lo diventò. Mi ritagliai un ruolo “propositivo” (che comunque avevo sempre svolto), pensando che Ruotalibera avrebbe potuto continuare a giovarsi delle mie idee senza subire la pressione della relativa volontà.

Inutile dire che non funzionò. Il progetto su cui più mi impegnai, la ristrutturazione del sito, fu un altro buco nell’acqua. L’intenzione era di aumentare il coinvolgimento dei soci mediante uno strumento informativo capace di creare un dialogo interattivo, e per far questo la struttura a pagine statiche era stata trasformata in un Blog, per facilitare l’inserimento dei contenuti ed il dialogo con iscritti e simpatizzanti.

Quello che invece accadde fu che sulla strada del “citizen journalism” in prima persona mi seguirono in pochissimi. Per settimane mi feci un punto di pubblicare con continuità resoconti, cronache, notizie e riflessioni personali, mantenendo il sito vivo e frequentato, ma in quest’opera di dialogo coi soci il grosso delle “guide” restò a guardare. Più tardi mi si accusò di averlo fatto solo per aumentare la mia visibilità, e di voler usare gli strumenti dell’associazione per diffondere le mie idee personali.

Fu la classica “goccia che fa traboccare il vaso”. Alla fine del 2006 mollai tutto, smisi di scrivere sul sito di Ruotalibera per continuare il mio “dialogo” su RomaPedala, un blog informativo di ciclisti urbani i cui obiettivi coincidevano coi miei. Poco dopo nasceva anche il blog Mammifero Bipede, sulla piattaforma Splinder (ora estinta).

Il 2007 fu un “anno sabbatico”, non mi proposi per effettuare escursioni e venni tacitamente depennato dal novero delle “guide”. Ma la decisione di recidere il cordone ombelicale che mi teneva legato a Ruotalibera ed al passato non era ancora sufficientemente matura.

Quando si è parte attiva di un’associazione che conta decine di iscritti gli attriti personali finiscono col riguardare al più una manciata di persone, mentre le relazioni restano buone con moltissimi altri. Oltretutto i disagi nei confronti delle scelte e dello “stile” imposti dalla nuova dirigenza non erano solo miei, e diversi iscritti continuavano ad auspicare un mio “ritorno”.

Di fatto, però, la distanza maturata nel frattempo fra me e l’associazione, o dovrei dire l’associazionismo tout-court era oggettivamente troppa. Le frequentazioni di altre realtà come Critical Mass, o i Ciclopicnic, mi avevano riportato a galla l’istinto libertario ed anarchico che per anni era stato tenuto a bada dalle esigenze di strutturare un’associazione funzionante.

A fine 2007 scelsi di ripropormi come “guida” per due uscite su un tracciato di mountain bike urbana, il Grande Sentiero Anulare, progetto maturato sulle pagine di RomaPedala e già variamente esplorato con gruppi estemporanei di amici.

Nel frattempo, tendenze e modalità relazionali già evidenti nei primi mesi del “nuovo corso”, anziché stemperarsi nel tempo, si erano andate via via esasperando. Al primo “nuovo Consiglio Direttivo” di Ruotalibera, in cui coesistevano (peraltro poco pacificamente) anime diverse, si era andato progressivamente a sostituire, con scelta ostinata e caparbia, un gruppo più omogeneo e “chiuso”.

Quest’ultimo anno di partecipazione alla mailing-list di Ruotalibera è stata per me una inaspettata sofferenza. Ho scelto di rimanervi iscritto per necessità legate all’impegno preso di condurre le due escursioni sul G.S.A. sforzandomi, soprattutto negli ultimi tempi, di non intervenire nelle discussioni, anche a fronte di situazioni estremamente sgradevoli.

Non sta a me giudicare o criticare il pensiero e l’operato altrui, non son qui ad affermare la supremazia della mia etica su quella di chicchessia, mi limito a registrare la condizione di permanente fastidio che mi ha condotto alla scelta di abbandonare al suo destino una realtà che per anni è stata per me una specie di “seconda vita”.

E se un insegnamento si può trarre da tutta questa vicenda, penso che sia proprio: “un anarchico non può fare il presidente”. O quantomeno non  indefinitamente. Può farlo per un po’, finché la realtà che presiede cresce, prendendo forma dal caos. Ma quando quella realtà acquista una forma definita, si crea l’ambiente adatto a persone più amanti dell’ordine.

Negli anni a cavallo tra la metà dei ’90 e il fatidico 2005 Ruotalibera si è trasformata profondamente, tumultuosamente. Sono stati anni di continui cambiamenti, di innovazione, ed anche di strutturazione. Persone capaci di vivere con entusiasmo queste fasi caotiche e turbolente sono le meno adatte a gestire una realtà finalmente strutturata.

Quando un’associazione raggiunge una dimensione tale da coinvolgere molti iscritti deve necessariamente darsi delle regole nette, ed includere individui che in quelle regole si riconoscano, che le amino. A quel punto si innesca un conflitto tra la volontà di cambiamento di alcuni e la volontà di conservazione di altri, e dalla gestione di questo conflitto dipende la futura evoluzione di quella realtà.

Dentro Ruotalibera sono successe molte cose, durante e dopo l’organizzazione del Cicloraduno. Quello che posso dire per me è che lo spirito con cui si è cercato di lavorare insieme negli anni precedenti è andato a farsi benedire, sostituito da riluttanza ai cambiamenti, rigidità eccessive, innalzamento della soglia di conflitto interpersonale.

Si è venuto a creare un ambiente ostile alle innovazioni, ed ostile anche nei confronti dei soci “eretici” che si permettevano di mettere in discussione e criticare, anche costruttivamente, quanto veniva realizzato. Poco alla volta diverse persone hanno scelto di tirarsene fuori.

Va dato atto che, una volta rimossi i “dissidenti”, il lavoro ha potuto procedere molto più serenamente. Operato il necessario ricambio Ruotalibera va ora per la sua strada, senza impicci ed intralci. Cosa accadrà di qui ai prossimi mesi ed anni resta tutto da scoprire.

Per quanto mi riguarda penso di aver fatto tesoro dei miei molti errori ed ingenuità. Mi è stato chiesto di fondare una nuova associazione, ma siccome “errare humanum est, perseverare autem diabolicum”, me ne sono ben guardato.

Ho dato vita, piuttosto, ad un esperimento che si avvia a compiere un anno a breve: il Forum CicloAppuntamenti. Niente gerarchie, niente adesioni formali, niente regole, solo la voglia di pedalare e stare insieme in allegria.

Per ora, pare che funzioni…

A scuola di classismo

L’ultimo post di Leonardo, su quanto il nostro sistema scolastico (il sistema in sé, sia ben chiaro, non i singoli insegnanti) sia non solo fondamentalmente classista e razzista, ma tenda in prospettiva a diventarlo sempre più, è di quelli che fanno star male. In particolare chi, come me, si ritiene personalmente toccato dalla questione.

Ma andiamo per gradi. La prima considerazione è che, mentre il mondo è andato avanti per conto suo, seguendo logiche di sfruttamento mercantile in larga misura non condivisibili, ma per altri versi anche portando la diffusione delle informazioni a livelli mai raggiunti prima, la scuola è rimasta una struttura sostanzialmente ottocentesca.

Su questo impianto inamovibile fatto di aule, banchi, insegnanti e libri "di testo", rimasto pressoché immutato dai tempi di De Amicis, si sono nel frattempo strutturate consorterie (i sindacati degli insegnanti, le "scuole confessionali" e molto altro ancora) e forme di taglieggiamento legalizzato come i "libri di testo", il cui costo levita in maniera del tutto ingiustificata ormai da decenni.

A questo si aggiunga la concorrenza di mezzi di comunicazione ormai capillarmente diffusi (dalla televisione ad internet) cui il "moloch scolastico" è rimasto negli anni pressoché estraneo, a creare una divisione sempre più ampia tra il mondo "dell’insegnamento" e quello reale. Di fatto il "sapere scolastico" è diventato sempre più astratto e slegato dall’esperienza pratica, e la scuola sempre meno veicolo di inserimento nel mondo lavorativo.

Insomma, a dirla tutta, più che riformato il modello scolastico andrebbe ripensato da zero, ex-novo, integrando tutti quegli strumenti informatici ormai indispensabili, per dare una formazione adeguata ai tempi in cui viviamo. Ma è poi davvero questa la funzione della scuola? Formare i giovani, farli crescere, inserirli nel mondo del lavoro e della ricerca? Ho parecchi dubbi al riguardo.

I ricordi che ho dell’esperienza scolastica non potrei certo definirli "felici". Ne parlo per chiarire il contesto. Vengo da una famiglia di umili origini contadine, mio padre aveva un diploma di terza media, mia madre la quinta elementare, si erano stabiliti a Roma nel dopoguerra lavorando prima come muratore e sarta, rispettivamente, quindi come portieri.

Da bambino mio padre, la sera, per farmi star buono, mi leggeva antichi miti greci da un grosso libro con le pagine sfaldate, erano le mie "fiabe". Ho iniziato a leggere intorno ai tre anni, giocando con quelle vecchie letterine di plastica usate nei tabelloni prezzi dei bar e ristoranti. A sei anni, ancor prima di andare a scuola, leggevo già i fumetti di Tex.

Nonostante un curriculum relativamente brillante, infarcito dei classici "potrebbe fare di più", "il ragazzo non si impegna", eccetera, al momento di passare alle scuole superiori scelsi un istituto tecnico al posto del liceo scientifico, perché non ero sicuro che avrei fatto l’università. Nella mia famiglia cosa fosse l’università non lo sapeva nessuno.

Il risultato fu che, passato l’esame di maturità, quando mi iscrissi all’università scelsi la facoltà sbagliata, ed emersero tutti i limiti della scadente formazione ricevuta dall’ITIS: semplicemente non sapevo studiare. Passai qualche mese senza riuscire a dare esami, nel tentativo di capire cosa volessi veramente (in quel periodo volevo diventare fotografo, ma non sapevo neanche da che parte cominciare), poi dovetti partire per il servizio militare, e quello segnò la fine della mia inconcludente esperienza accademica.

Quand iniziai a lavorare in fabbrica, dopo qualche tempo mi misero in mano un computer quasi casualmente, per compilare dei moduli. Cominciai ad utilizzare un programma di disegno meccanico e dopo un po’ mi occupavo di disegno tecnico e infine di progettazione. Un lavoro che non ho cercato, alla fine ha trovato me.

Forse è questo che Leonardo intende quando nei commenti parla di "un tipo di intelligenza pratica (…) che preferirei indirizzare agli ITIS". Grazie tante. Mi sono fidato ed invece dell’aoristo ho passato ore a limare a mano dei pezzi di ferro, in una scuola che al posto delle macchine utensili aveva i "piani di riscontro" (altri pezzi di ferro, solo "piatti").

E mi resta, fortissima, la sensazione di esser stato "catapultato fuori" da un percorso formativo che mi spettava, per far spazio ad altri meno capaci e meno brillanti, solo in virtù delle mie origini, e dell’ignoranza del mondo che i molti anni di scuola non sono riusciti a scalfire. Una scuola da cui ho acquisito diverse nozioni, pochissima autonomia personale e pressoché nessun vero insegnamento sulla libertà.

Tutte cose che ho dovuto scoprire da solo. Peccato che che fossero quelle più importanti, e che ci sia arrivato solo molto, troppo tardi.

La vendetta del "Daily Blogger"

Poco più di un mese fa lanciavo l’idea di un giornale on-line composto da una redazione che vagliasse ed impaginasse contenuti provenienti dalla Blogosfera. In Francia devono averci pensato prima di me, dato che è notizia di oggi la prossima uscita in edicola di un quotidiano "cartaceo" strutturato conformemente alla mia idea.

Chioserei con una storica frase di Roberto "Freak" Antoni:

"non c’è gusto in Italia ad essere intelligenti".

Case maledette

“La bella adescatrice” (“The beckoning fair one“) di George Oliver Onions, mi è capitato tra le mani quasi per caso, grazie ad uno scambio di libri nel corso di uno degli ultimi Ciclopicnic, all’interno della raccolta “Storie di Fantasmi” compilata da Carlo Fruttero e Franco Lucentini nell’ormai lontano 1960. Pubblicato nel 1911, è ritenuto a ragione una delle pietre miliari della narrativa fantastica, vi si narra di uno scrittore di scarso successo la cui vita viene lentamente distrutta dalla casa in cui sceglie di andare ad abitare.

La casa del racconto, come prevedibile trattandosi di narrativa del sovrannaturale, ospita una “presenza maligna”, ma affatto particolare. Anziché aggredire e terrorizzare il protagonista lo seduce, lo lusinga, fino ad attrarre ogni sua attenzione e ad isolarlo dal mondo. Ad annullarlo.

Il percorso di autodistruzione umana e sociale narrato è infarcito di indecisioni, scelte sbagliate, deliberate travisazioni della realtà, tanto che fino all’ultimo si mantiene l’aspettativa di un ravvedimento, di una presa di coscienza, di una possibile salvezza.

C’è, in questa storia di fantasia, tutta la catastrofica parabola della debolezza umana. Che sia l’abbandonarsi all’alcool, alle droghe, al gioco d’azzardo, o semplicemente all’apatia, del tutto analogo è il percorso mentale innescato in primo luogo dal mentire a sé stessi.

Si comincia sottovalutando dei semplici dettagli, si procede con l’assecondare i propri desideri, con l’abbandonarsi alle pulsioni più irrazionali, col non opporsi alla dipendenza ma anzi a desiderarla, si finisce col non possedere più la propria vita.

Queste considerazioni mi hanno turbato profondamente. Ho cominciato a domandarmi quale sia la mia “casa maledetta”, quale sia la mia “dipendenza”, quale il comportamento deviante e compulsivo che non voglio vedere. E la risposta mi è venuta quasi subito, esattamente come al protagonista del racconto, da parte della donna che mi sta accanto.

La mia “casa maledetta” è, molto probabilmente, il computer dal quale sto scrivendo queste righe. È internet, ovvero il “non luogo” in cui passo la maggior parte del mio tempo libero. Uno spazio che mi seduce, mi gratifica, e al tempo stesso, in qualche modo, mi riduce in schiavitù. E la stessa considerazione vale, temo, anche per voi che mi state leggendo.

Ok, forse sto esagerando, magari la situazione non è poi così grave, giusto? In fondo è sacrosanto avere degli interessi, degli “hobbies”, in qualche modo bisogna pur passare il tempo… E non è nemmeno uno dei modi peggiori, si fa lavorare il cervello, ci si mantiene intellettualmente agili, si esercita lo spirito critico, si coltivano relazioni interpersonali.

Tutto vero, verissimo, ma… nel racconto c’è anche questo! L’inizio della spirale non consiste proprio nel sottovalutare i dettagli, e nell’ignorare i tentativi, da parte delle persone che ci vogliono bene, di farceli notare?

Niente risposte, stavolta, solo una domanda, ma grande quanto una casa.
Una “casa maledetta”.
Grazie Oliver.

La bicicletta è una macchina che…

“La bicicletta è una macchina che trasforma il lavoro muscolare in… paesaggi”
(M.P.)

Questa battuta ha diversi anni, ormai. E’ stata per parecchio tempo parte della “firma” che apponevo in automatico in calce alle mie e-mail e so che un’associazione Fiab la utilizzò in uno o più dei propri calendari annuali degli appuntamenti in bici. Recentemente l’ho vista utilizzata, sempre come “firma”, anche in un forum di mountain-bike.

L’Evoluzïon Stellare

Correva l’anno 1997, internet era là da venire non solo per me ma per la maggior parte dei miei conoscenti, l’escursionismo in bici non aveva ancora iniziato ad assorbire molto del mio tempo infrasettimanale ed avevo appena scoperto le meraviglie della computer-grafica grazie ad una suite di disegno ed impaginazione per pc, Corel Draw (versione 5.0!). All’epoca l’Associazione Romana Astrofili, un piccolo gruppo di appassionati di astronomia di cui facevo (più o meno) parte, ebbe la brillante idea di dotarsi di un “giornalino”, cui fu dato il nome di “Perigeo“.

Visto il primo numero e constatata l’impostazione grafica inesistente e l’aspetto eccessivamente “amatoriale” (brutto, diciamola tutta, ma più che brutto orribile), mi resi disponibile per un restyling grafico, ma la proposta non raccolse la necessaria attenzione.

A dirla tutta l’iniziativa del “bollettino” era nata da un piccolo gruppo all’interno dell’associazione, nel disinteresse più o meno palese degli organi direttivi, della serie “se vi va fatelo, ma non aspettatevi da noi grande supporto”, quindi il rifiuto alla mia proposta fu più una questione di “il giocattolo è nostro e ci giochiamo noi” che una articolata e motivata scelta editoriale.

Fatto sta che la cosa mi seccò alquanto, che avevo voglia di impratichirmi con il programma di grafica, che la mia creatività viveva un buon periodo e che in qualche modo dovevo “fargliela pagare” un po’ a tutti. Da questo “cattivo proposito” nacque “Periastro, il Contro Bollettastro delle Frange Dissidenti”.

Nato originariamente come numero unico, con pseudo-articoli ironici e sarcastici che prendevano in giro i tic ed i luoghi comuni degli astrofili e dell’associazione stessa, ebbe un tale successo che mi indusse a produrne diversi altri, sempre di cinque o sei pagine in formato A4, con cadenza bimestrale, per quasi un paio d’anni. Oltretutto, discutendo di “creatività”, Periastro era un oggetto muta-forma: ogni numero era una creatura a sé, la grafica ed i contenuti ne risultavano stravolti. Il secondo numero, per dire, titolava:

PERIASTRUM
Novellario de li facti accadenti at cura de le Fronde Dissenzienti
in seno at lo Sodalizio Romano Miratori de lo Nocturno Cielo”

…e con un “motto” sopra la testata recitante: “Magno est lo sforzo et di fremente speme s’adorna il cor fintanto che non splode”. Tutti gli articoli erano in un italiano arcaico e rappresentavano un’associazione astrofili del 1500 o giù di lì. Insomma, ci siamo capiti.

Al quinto numero, con l’ennesima capriola, Periastro uscì come “Rivista bimestrale di poesia”, ed ospitava nella “sezione classica” un esperimento delirante: descrivere le tematiche dell’astrofisica contemporanea col linguaggio di un Ludovico Ariosto (n.b.: nella “sezione contemporanea” c’era un pezzo Rap).

Ancora oggi lo trovo folle, come concezione e realizzazione. Eccolo qui, con tanto di note “esplicative”.

L’Evoluzïon Stellare
di Ermete Ermetico

Cantami, o diva, de l’astri fulgenti
Nascita et morte, et come Lattea Via,
In notte buia, quasi per magia,
S’adorni di tal gemme rilucenti.

At parer de li dotti et li sapienti
Poscia che di Gran Squasso (1) fu creata
La materia in le stelle fu forgiata
Prìa di formar criature intelligenti.

Cantar io vo’ l’historia de tal fatti
Di modo che sia claro in ogne dove
Cos’han da dire queste scientie nove
Et noi non si sia presi per de’ matti.

Erra in lo voto ispazio tetro nembo
De gas composto, et pulveri sottili
Et con li suoi compagni, in lunghi fili
Di spiral trama (2) forma estremo lembo.

Quiescente tale obscura nube pare
Infin che suo equilibrio non si perde (3).
Poscia in vortice (4) ratto si rapprende
Fintanto che la stella non compare.

Suo calor, per cagion di compressione (5),
ogni cosa comune sopravanza,
Sale in lo centro, aumenta con costanza
Raggiunge infin lo punto de fusione (6).

Quivi li nucli atomici snudati (7)
Scagliati l’un ver l’altro crudamente
S’uniscono all’istante et in un niente
Raggi possenti (8) vengon liberati.

Ribolle lo grand’astro et il lucore
Con soffio imman (9) le polveri allontana
Non appaia, in tal caso, cosa strana
Lo repentin mutar luce et colore (10).

Poscia che lo residuo gas disparso
Sia del nascente impeto focoso,
Raro sarà certun grumo roccioso (11)
Rotolante d’intorno et pur non arso.

Ma se mondo non cotto e non gelato
Appare et acque liquide possieda (12),
Chi può dire che là Vita non creda
Di sbocciar come fiore in mezzo al prato?

Mondi sian questi di gran varietate,
Come lo nostro e pur più molto ancora,
Ricchissimi di fauna et pur di flora
Cangiante ne l’inverno in de l’estate.

A scaldarli son astri non varianti (13)
Che per enorme tempo, regolari,
Producon lume et  caldo, non avari
Di ciò che ci rallegra tutti quanti.

Per le picciole stelle il Fato è questo:
Pur ardendo con somma economia,
Idrogen s’esaurisce tuttavia,
Et spegnesi lo nucleo, et tutto il resto.

Ma di certo est assai diversa sorte
Per quello che reguarda astri giganti,
Bizzarro è ciò che accade at le brillanti
Stelle, prìa che si dica che son morte.

Mentr’eoni trascorron lentamente
Et lo idrogen man mano se consuma
È stella, che parecchio assai riluma,
Destinata a perir violentemente.

Ecco perciò, a idrogen già consunto,
Lo nucleo collassar di modo brusco (14),
Finch’ elio il faccia splendere corrusco (15)
A rigonfiar l’esterno at novo punto.

La stella cresce at forma smisurata (16),
In quest’estrema fase di sua vita.
Per li contigui mondi è ormai finita
Lor sostanza vien tosto evaporata (17).

Per picciol brano (18) di suo tempo immane
Colossale vermiglio astro risplende,
Ma in lo suo centro, che vieppiù rapprende (19)
Gravità fa bruciar ciò che rimane.

Giunge alfin punto che, ferro prodotto,
Energia di fusion più non si espelle (20).
Crolla lo nucleo ardente et di sua pelle
Vien nebulosa fatta, in un sol botto (21).

Per millenni ulterior lo gas rilume
Spandendosi in lo spazio buio et voto
Fuggendo et vorticando in folle moto
Lo nulla empiendo infin d’esili brume (22).

Et in lo centro de la pira immane
Corpo se crea denso da far paura (23),
Et in ragion d’infima sua misura
Cagion sarà di molte cose strane.

Sia di niutroni picciol palla (24) fatta
Pur d’un intiero Sol massa recante,
Di radiazioni faro vorticante (25)
Spedita, tale e qual trottola matta,

Sia nero corpo, di luce prigione (26)
Buco di massa enorme nello spazio.
Di materia che inghiotta fa gran strazio (27),
Anco lo tempo torce (28), et fa impressione.

Corpi son questi tutti assai bislacchi
Ché di segreti l’Universo è pieno.
Ma d’indagarli non può farsi a meno
Sebben si sia già vecchi e pien d’acciacchi (29).

  1. Gran Squasso: Si fa riferimento alla teoria del Big Bang.
  2. Spiral trama: Le regioni di formazione stellare, visibili come nubi oscure, prevalgono nelle braccia delle galassie di tipo “a spirale“.
  3. Non si perde: Perturbazioni esterne provocano il collasso della nube di gas.
  4. In Vortice: Il momento angolare complessivo della nube viene conservato.
  5. Cagion di compressione: La diminuzione del volume causa l’innalzamento della temperatura di milioni di gradi.
  6. Punto de fusione: Si parla ovviamente di fusione termonucleare.
  7. Nucli atomici snudati: I nuclei degli atomi allo stato ionizzato, ovvero privati della “nube” di elettroni che normalmente li circonda.
  8. Raggi possenti: Il processo di fusione nucleare comporta l’emissione di energia sotto forma di fotoni altamente energetici, ovvero radiazione “gamma”.
  9. Soffio imman: La fase iniziale della vita di una stella è caratterizzata dallo stadio detto “T Tauri”, con fluttuazioni di luminosità e temperatura ed intenso “vento stellare”, ovvero irraggiamento di particelle elettricamente cariche.
  10. Mutar luce et colore: vedi al punto 9.
  11. Grumo roccioso: Il disperdersi della nube di gas evidenzia l’eventuale presenza di pianeti solidi.
  12. Acque liquide possieda: La presenza di H2O allo stato liquido viene ritenuta una delle condizioni essenziali per l’insorgere della vita.
  13. Non varianti: Di luminosità costante, altro requisito essenziale allo sviluppo di forme di vita basate sui composti del carbonio.
  14. Di modo brusco: In assenza della pressione di radiazione a controbilanciare l’attrazione gravitazionale il nucleo della stella si contrae rapidamente.
  15. Corrusco: Si tratta della fase detta di “Gigante rossa”.
  16. Forma smisurata: Gli strati esterni della stella si espandono e si raffreddano.
  17. Evaporata: I pianeti interni sono inglobati dagli strati esterni della stella.
  18. Picciol brano: La fase di “Gigante rossa” occupa un periodo relativamente breve nella vita di una stella, pochi milioni di anni.
  19. Rapprende: Mentre si fondono gli elementi via via più pesanti il nucleo della stella  si contrae ulteriormente.
  20. Non si espelle: Non si può ricavare energia dalla fusione di nuclei atomici più pesanti del ferro, una volta raggiunto questo punto l’emissione si arresta.
  21. In un sol botto: Il nucleo collassa e la stella esplode come una “Supernova”.
  22. Esili brume: Il residuo dell’esplosione è una nebulosa di gas in espansione a velocità elevatissime, che continuano ad emettere luce.
  23. Denso da far paura: Non essendo più equilibrata dalla pressione di radiazione la gravità spinge la materia a collassare fino a densità inimmaginabili.
  24. Picciol palla: Il diametro di una stella di neutroni è di pochi chilometri.
  25. Faro vorticante: La velocità di rotazione elevatissima, dovuta alla conservazione della quantità di moto, e l’intenso campo magnetico producono l’emissione di radiazione di sincrotrone in tutto lo spettro di frequenze, dalle onde radio ai raggi X,  pulsante con periodicità dell’ordine di frazioni di secondo.
  26. Di luce prigione: Il buco nero è tale in quanto la sua attrazione gravitazionale è talmente intensa da  trattenere anche la luce.
  27. Fa gran strazio: La materia che precipita in un buco nero attraverso il disco di accrescimento subisce sollecitazioni superiori perfino a quelle presenti all’interno delle stelle.
  28. Lo tempo torce: Come suggerito dalla teoria della relatività generale, all’approssimarsi alla superficie dell’orizzonte degli eventi di un buco nero, lo scorrere del tempo rallenta progressivamente, fino a fermarsi.
  29. Pien d’acciacchi: L’autore non cessa di autocommiserarsi inutilmente.

Gift Economy Life

La prima volta che ho sentito parlare di "gift economy", o "economia del dono", è stato in ambito informatico, in riferimento al movimento "open source". Il sistema operativo Linux, al giro di boa dei suoi primi dieci anni di vita, si stava allora proiettando al di fuori dell’ambito ristretto degli addetti ai lavori per approdare nei personal computers dei semplici "smanettoni".

Erano anni in cui sembrava che la rivoluzione del "software libero", col suo portato di generosa condivisione delle conoscenze, dovesse stravolgere il mondo dell’informatica da un momento all’altro. Era un’aspettativa ingenua, non teneva conto dell’effettivo potere delle grosse corporations, pronte a difendere con le unghie e coi denti gli enormi margini di profitto consentiti dalle leggi internazionali sui brevetti.

Il movimento "open source" lanciava una sfida al tempo stesso tecnica e filosofica, partendo dal presupposto che una condivisione gratuita delle proprie conoscenze avrebbe portato benefici a tutti. Il software infatti, situazione mai prima verificatasi nella storia dell’umanità, è uno strumento indefinitamente copiabile e distribuibile a costi pressoché nulli.

In un’economia tradizionale è logico attendersi che ognuno/a tenderà a farsi pagare per il lavoro svolto, quindi un programmatore che sviluppi una porzione di codice (una serie di istruzioni in grado di far compiere delle operazioni ad un calcolatore) lo farà solo in cambio di una remunerazione. L’idea alla base della "gift economy" è che si possa sostituire alla remunerazione "in denaro" una remunerazione "in natura", e che il lavoro donato alla collettività possa tornare indietro in termini di strumenti più evoluti a disposizione di tutti.

Le nozioni di "codice aperto" e "software libero" hanno rappresentato per me la naturale evoluzione di quelle idee comunemente dette "di sinistra", la cooperazione contrapposta alla competizione, la solidarietà preferita al profitto, la crescita comune, anziché del singolo a scapito di altri.

Allo stato attuale la "guerra del software" è ancora in pieno svolgimento. Molti strumenti "aperti", in testa a tutti il browser Firefox della "Mozilla foundation" e la suite da ufficio OpenOffice, si sono affermati come prodotti maturi e multi-piattaforma, ed equipaggiano ormai una buona percentuale di computers personali ed aziendali. E non va dimenticata l’enciclopedia collaborativa Wikipedia, tempestivamente aggiornata ed ormai punto di riferimento di milioni di persone.

Ma in fondo "gift economy" è anche condividere le proprie passioni con gli altri invece di farne un solitario passatempo, mettere a disposizione la propria esperienza, le proprie doti e capacità, affinché tutti ne possano trarre giovamento. Non ultimi noi stessi.

È quello che cerco di realizzare da anni nel mio tempo libero, attraverso la bicicletta, i telescopi, le foto, il computer, i libri, gli strumenti che quotidianamente mi consentono di "uscire da me stesso", di "divergere da me" o, detto in una sola parola: "divertirmi". Il divertimento, il "divergere da sé", è qualcosa di cui tutti hanno bisogno, e ricercano, ma molto spesso trovano solo "prodotti" da acquistare a caro prezzo, e non di rado scadenti.

La retribuzione della "gift economy emotiva" è emotiva essa stessa: un sorriso, una risata di gusto, uno sguardo complice, solidarietà nelle difficoltà, disponibilità a mettersi in gioco con lo stesso meccanismo. E funziona.

Oggi ho realizzato che a giorni, il 21 di questo mese, "festeggerò" diciott’anni da guida di escursioni in bicicletta. Un’attività strettamente volontaria, che non mi ha fruttato un euro, ma in compenso mi ha regalato la gran parte dei migliori amici che ho, e molti tra i più bei ricordi di questi anni.

Ritaglio dal calendario di Ruotalibera dell’anno 1990.


Quando riusciremo a dare al denaro la posizione marginale che gli spetta, fra le priorità della vita, vivremo tutti di gran lunga molto meglio.

La solitudine, o l’essere solo sé stessi

Da quando ho aperto questo blog tutto quello che mi capita di leggere trova qui un suo spazio, in cui cerco di raccontare anche un po’ di quello che le idee dell’autore mi hanno lasciato. Fin qui l’unico romanzo a sfuggire a questa “regola” è stato Sezione Pi-quadro, un racconto di fantascienza ambientato in una Napoli “cyberpunk” che mi è parso un puro esercizio di stile, citazioni di genere e luoghi comuni, e che non mi ha trasmesso nessuna emozione veramente profonda o idea particolarmente innovativa.

Ora la stessa cosa stava per accadere con La solitudine dei numeri primi, premio Strega 2008 dell’esordiente Paolo Giordano. Dopo più di una settimana dal completamento della lettura, non avrei saputo spiegare il fatto che questo libro non mi avesse sostanzialmente lasciato nulla da dire. Il perché mi si è chiarito in parte solo questa mattina.

Il romanzo narra le vite di due giovani, vittime di traumi profondi in tenerissima età, che scorrono parallele, si intersecano, ma non riescono mai a tramutarsi in qualcosa di soddisfacente, né per sé stessi, né per gli altri. Ognuno dei due vive il proprio disagio psichico alienandosi dal mondo emozionale e rifugiandosi in forme più o meno consapevoli di autolesionismo.

Il finale, poi, non risolve nulla della vicenda, limitandosi a riproporre, a ruoli invertiti, le stesse non-scelte che hanno guidato i protagonisti dall’inizio della storia. Un finale aperto, o più probabilmente un non-finale, che solleva l’autore dall’emettere un giudizio morale sull’intera questione.

Non nego di aver provato, nel corso della lettura, momenti di affinità spirituale coi personaggi. Come un guardarmi in uno specchio deformante e riuscire ugualmente a riconoscermi. Ma quello che a mio parere manca all’intera vicenda è un riscatto, una soluzione, qualcosa che consenta di apprezzare e provare empatia per questi personaggi, che al contrario appaiono semplicemente incompleti, freddi, già morti.

La chiave di lettura per comprendere il mio disagio nei confronti di questo libro mi è stata data giovedì scorso, al teatro “Piccolo Re di Roma”. Dopo il mio “anno sabbatico” ho deciso infatti di ributtarmi nell’esperienza teatrale, constatando immediatamente quanto quello spazio di riflessione e confronto mi fosse mancato negli ultimi tempi.

Un esercizio in particolare mi ha messo di fronte alla difficoltà che potremmo definire di “essere altro da sé”: a coppie di due abbiamo scritto un “mini testo” di quattro battute e l’abbiamo messo in scena. Quando il nostro insegnante ci ha proposto una chiave di lettura diversa della situazione che stavamo interpretando, invitandoci a dare ai nostri personaggi delle connotazioni leggermente differenti da quelle in cui li avevamo pensati, sono immediatamente andato in crisi.

In una situazione in cui io avrei reagito evadendo il conflitto mi si chiedeva di cercarlo, in una situazione in cui io avrei voluto allontanarmi per evitare il degenerare di una situazione mi si chiedeva di “sfidare”. Non ero in grado di distinguere il mio personaggio da me, e questo per un attore è un limite grave.

A freddo mi sono reso conto che il problema consisteva nell’essermi calato in una “situazione”, ma non in un personaggio, e quello che stavo facendo era in sostanza mettere in scena me stesso, le mie emozioni e le mie reazioni agli eventi che le battute di testo delineavano. Di fronte ad una identica situazione alcuni reagivano con più flessibilità, dando corpo ad emozioni e stati d’animo molto diversi, mentre altri, come me, rimanevano prigionieri delle reazioni loro proprie.

Stavo ragionando su questo, nell’intenzione di scriverci un post, mentre allo stesso tempo stavo ragionando sullo scrivere qualcosa riguardo al libro di Giordano, finché non mi sono reso conto che si trattava, in sostanza, di un unico argomento: l’incapacità di essere altro da sé, l’incapacità perfino di voler essere altro da sé.

I personaggi di Giordano hanno questa caratteristica: sono riluttanti al cambiamento. Riluttanti in maniera assoluta, patologica, rifiutano ostinatamente qualsiasi possibilità di essere diversi, ivi compresa la possibilità di poter essere felici, o quantomeno di provare ad esserlo.

Riconosco questa cosa perché incapace di cambiare lo sono stato anch’io, a lungo, ma ho anche compreso l’errore. E nonostante la riluttanza (che ancora, come già detto, trova modo di manifestarsi), penso di essere un po’ più duttile alla trasformazione, anche se non mi è un processo troppo congeniale.

Allo stesso tempo mi resta utilissima l’esperienza dei laboratori teatrali, che emula a suo modo il meccanismo cerebrale dei neuroni specchio: ci aiuta a comprendere gli altri mimando le loro azioni e reazioni. Comprensione che, al contrario, i protagonisti de “La solitudine dei numeri primi” pare non ricerchino mai, deliberatamente.

Ecco cosa non sono in grado di perdonare all’autore del libro ed ai personaggi che mette in scena: il fatto che siano sostanzialmente inutili, a sé stessi e agli altri (se non incidentalmente, attraverso una brillante scoperta matematica), scientemente, senza volontà né desiderio di cambiamento, in una fissità congelata che riflette una cupa e passiva attesa degli eventi, vissuti quasi in terza persona.

Questo libro lascia il lettore senza speranze, per i protagonisti come per le persone che orbitano loro intorno. Alla fine non si riesce a provare empatia né umana comprensione per individui che si trovano a proprio agio solo nello star male. Ed è questo, per me, il limite della vicenda: non offre strumenti né speranze di salvezza. Che invece esistono, eccome!