Il paradigma della crescita

In una cultura come la nostra, che si pretende razionale, esistono dei concetti in qualche modo “totemici”, il principale dei quali è probabilmente l’idea della “crescita indefinita dell’economia”. Di certo in questi mesi di crisi l’avrete sentita evocare innumerevoli volte, dal politico o dall’economista di turno a mo’ di mantra, penso sia ora di andargli a fare un po’ “le pulci”.

Tutto nasce dall’invenzione, nel recente passato, delle “scienze economiche”, la cui funzione sta nel cercare di comprendere e descrivere, ed in ultima istanza prevedere, lo sviluppo delle economie planetarie, a livello di stati prima ancora che al livello dei singoli. Appare immediatamente evidente come i termini in gioco siano talmente tanti da non poter  fare dell’economia una scienza deterministica.

L’economia si adattò perciò a diventare una disciplina non deterministica, basando le proprie analisi sul metodo statistico e cercando, a mio parere con scarsa efficacia, di dare una descrizione plausibile ed attendibile di sistemi troppo complessi per sottostare ad un’analisi puntuale. La scienza economica effettua quindi proiezioni di trend senza poter realmente spiegare quali sono i termini in gioco, se non per sommi capi.

La questione non assumerebbe aspetti drammatici se lo sviluppo di questa disciplina non fosse avvenuto in concomitanza con una fase del tutto atipica nella storia dell’uomo, caratterizzata da uno sfruttamento senza precedenti delle risorse energetiche fossili e da un’impennata drammatica del progresso tecnologico. In mancanza della comprensione capillare dei moventi primi, l’unica possibilità per la neonata scienza dell’economia è stata di analizzare e descrivere questa singola fase, caratterizzata appunto da una crescita della ricchezza collettiva e pro-capite.

Il salto logico successivo, tuttavia, è venuto a mancare. L’idea che un modello che si è basato su una continua crescita per più di due secoli potesse essere un unicum del tutto atipico nella storia dell’umanità non ha trovato posto nelle teorie economiche, che a furia di descrivere un’economia in crescita non sono state in grado di immaginarne altre.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti: nonostante tutti gli indicatori mondiali raccontino del progressivo esaurimento di materie prime e fonti energetiche fossili, gli economisti continuano ad aggrapparsi a modelli matematici astratti, privi di collegamenti col mondo reale, ed a proporre soluzioni tutte interne al modello della “crescita indefinita”. Una fra tutte l’idea che ad un indebitamento possa (debba?) seguire una successiva fase di arricchimento tale da compensare il debito e lasciare della ricchezza aggiuntiva (in particolar modo sulla scala di intere nazioni).

Ma possiamo davvero crescere indefinitamente? Ragioniamoci un po’ su. Ai tempi dei miei nonni le famiglie con tanti figli convivevano in un’unica casa, dividendosi tra i vari ambienti. Al crescere della ricchezza abbiamo costruito altre case, tanto che al momento la norma per le abitazioni attuali è che per ognuno di noi siano disponibili diversi ambienti. Molti ormai possiedono più case, una per l’abitazione nel corso dell’anno e le altre per la villeggiatura.

Dove ci stia portando tutto ciò è chiaro a chiunque abbia occhi per vedere: consumo del territorio, cementificazione, degrado paesaggistico. Meno evidente è il fatto che la semplice manutenzione e fruizione di tutte queste abitazioni ha un costo notevole, compatibile con un’economia basata su energia largamente diffusa ed a basso costo (la fase precedente), e progressivamente meno compatibile con una fase come l’attuale di costi crescenti per l’energia e riduzione dei margini di guadagno per ogni tipo di attività.

Nel pradigma della crescita, se in Italia ci sono attualmente due case a testa, più in là ce ne saranno tre, poi quattro, ed il tutto considerando una popolazione anch’essa crescente. Anche ammesso che ciò possa accadere che senso avrebbe tutto ciò? L’espansione urbanistica dei piccoli centri e la progressiva “villettizzazione” del territorio non farebbe altro che rendere tali luoghi via via meno appetibili e desiderabili, esattamente il contrario di quella che potrebbe essere una previsione di crescita del valore degli immobili stessi!

Parliamo allora di altri beni di consumo, come l’automobile. Al momento in Italia abbiamo 60 automobili ogni 100 abitanti. È il valore più alto in Europa. Cosa può significare una crescita in questo senso? Dovremmo arrivare ad un’automobile a testa, compresi neonati, anziani, disabili e non patentati? Due automobili a testa? Le nostre città già scoppiano per il numero di auto parcheggiate, tutte le altre in più (ammesso che mai ce le potremo permettere) dove le andremmo a mettere? E per farci cosa, poi?

Per questo ogni volta che sento parlare di “crescita dell’economia” in termini totalmente astratti non posso non provare il brivido tipico del passeggero dell’autobus coi freni rotti che viaggia in direzione di un burrone. Cos’è che dovrebbe “crescere” nel concreto, ovvero al di fuori dei freddi numeri e di indicatori come il PIL che tutto ci raccontano tranne quale sia il nostro reale benessere?

L’aumento del numero di automobili e dei chilometri percorsi ha comportato nel tempo un aumento di morti e feriti per l’incidentalità stradale, del numero di ore perse per ingorghi nel traffico, nel numero di patologie polmonari e neoplastiche, dell’indebitamento individuale e collettivo, dello stress e della congestione dei centri storici, della cementificazione e del danneggiamento del territorio. Davvero vogliamo che tutto questo “cresca” ulteriormente?

La cultura del consumismo ha prodotto negli anni un numero crescente di rifiuti da smaltire, che sono finiti a danneggiare il territorio, inquinare fiumi e falde acquifere, sporcare ed intossicarci. Crescita dell’economia, fin qui, ha significato anche questo: davvero ci interessa che tale processo progredisca senza alcun controllo o siamo in grado, scientemente e razionalmente, di decidere cosa è desiderabile e cosa no?

Quantomeno dovremmo essere capaci di fermarci un attimo e riconsiderare questo totem della crescita senza limiti, a cui stiamo sacrificando le nostre vite e la speranza di felicità delle future generazioni. Possiamo fermarci e ragionare su cosa realmente ci serve e cosa è invece superfluo.

Allo stesso modo in cui le popolazioni più povere del mondo antico venivano spogliate di oro e ricchezze in cambio di perline colorate, noi stiamo ora regalando le nostre vite e la nostra felicità in cambio di automobili, smart-phones, abiti firmati ed oggetti variamente inutili. Forse è il momento di cominciare a crescere, sì, ma in termini umani e non economici, e di provare a diventare degli adulti consapevoli e responsabili.

Manifestazione #salvaiciclisti del 28 aprile a Roma: programma e raccomandazioni

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L’Italia che cambia strada, che desidera e esige una mobilità diversa, ciclistica e nonviolenta sarà in piazza il 28 aprile, ai Fori Imperiali, alle ore 15.
La campagna #salvaiciclisti è felice dell’interesse suscitato e onorata delle numerose richieste di adesioni che ci arrivano ogni ora, ma essendo un movimento cittadino, chiede che venga rispettata la sua fondamentale indipendenza politica. La manifestazione è aperta a tutti ma i partecipanti sono caldamente invitati a lasciare a casa simboli, manifesti e bandiere di partiti, liste civiche o movimenti, nel rispetto reciproco che chiediamo sulle strade italiane…
La manifestazione sui Fori Imperiali sarà seguita da una pedalata. Inizierà in piazza perché deve accogliere tutti, pedoni e bambini piccoli che ancora non sanno andare in bici e quelli che venendo dalle altre città italiane, non si sono potuti portare la bici perché il treno non lo permette. La manifestazione sarà “statica” perché per chiedere più sicurezza sulle strade non serve una bicicletta, serve il buon senso.
Tutti i partecipanti sono invitati a portare un campanello per dare voce alla propria gioia. Le previsioni del tempo parlano di 29°, sole: portatevi anche un cappello e dell’acqua.

La Bici Manifestazione si svolgerà come segue: 
Dalle 15.00 alle 15.45: benvenuti dalla campagna #salvaiciclisti, musica, intrattenimenti e giochi per i più piccoli!
Dalle 15.45: microfono ai coordinamenti locali di #salvaiciclisti
Alle 16.30: flash mob “tutti giù a terra” con la bicicletta per ricordare la strage di ciclisti: le 2.500[1] persone uccise sulla strada in meno di dieci anni e rialzata “Basta: oggi l’Italia cambia strada”
Alle 16.35: annuncio dei prossimi appuntamenti di #salvaiciclisti e non solo
Dalle 17.00: liberi di sciamare in allegria per le strade di Roma. Chi volesse potrà incontrare Pio La Bici, il portavoce della campagna #salvaiciclisti…

(ripreso paro paro da qui)

Giorni convulsi

Raramente ho vissuto giornate tanto convulse e deliranti come in questo periodo. Da fuori non si nota nulla, solo il solito Marco che se ne sta al computer a battere tasti e cliccare link, da “dentro” invece è come stare nell’occhio del ciclone di un turbine di informazioni, opinioni e commenti che viaggiano in un “flusso teso” di cui si perde facilmente il filo.

Mercoledì ho partecipato all’audizione presso la Commissione trasporti della Camera, alla quale erano stati invitati sia la FIAB – Federazione Italiana Amici della Bicicletta, sia rappresentanti di #salvaiciclisti. Essendo già in sette, la mia intenzione era di lasciar spazio agli altri e non intervenire.

Ha iniziato l’ing. Galatola della FIAB con una esaustiva presentazione sui punti da modificare del C.d.S. a coronamento di un lavoro di revisione delle normative riguardanti la bicicletta che FIAB sta portando avanti da diversi anni. Sono seguiti interventi diversi ma sempre molto tecnici e puntuali.

Alla fine mi sono deciso a prendere la parola anch’io perché mi sembrava che ne “mancasse un pezzo”. Non ho registrazioni del mio intervento a braccio, quindi proverò a riassumere qui, a memoria, quello che ho detto… (considerando che non ho avuto modo di scriverne prima e sono ormai passati diversi giorni).

“Buongiorno a tutti, sono Marco Pierfranceschi, ciclista di Roma e faccio parte di Salvaiciclisti. Vi ruberò pochissimo tempo. Ho necessità di contestualizzare quanto detto fin qui perché si sono analizzate molte situazioni di dettaglio, ma a seguire con troppa attenzione i dettagli si rischia di perdere di vista il quadro generale.

Il quadro generale è che i ciclisti stanno aumentando, e questo è un fatto positivo. Vorrei spiegarvi perché avviene quello che vi ha ben descritto nel suo intervento l’ing. Galatola, ovvero che all’aumentare del numero dei ciclisti sulle strade l’incidentalità si riduce. Ciò avviene perché con un elevato numero di ciclisti ogni automobilista ha una elevata probabilità di avere qualcuno che va in bicicletta all’interno della sua famiglia, o della sua sfera affettiva, o della cerchia di amici.

Il ciclista incontrato sulla strada, a quel punto, rimanda nel pensiero ad un figlio, uno zio, un parente, un amico. Non è più uno sconosciuto che “occupa” la sua strada ma viene percepito come un parente “a rischio”.

Io ho iniziato ad andare in bicicletta più di vent’anni fa, mi è piaciuto, quindi ho coinvolto i miei amici e parenti ed è piaciuto anche a molti di loro. Poi, con gli anni, ho iniziato a vedere che si facevano male… una mia amica è finita per un mese in coma a seguito di un trauma cranico (ora per fortuna si è ripresa). Su via dei Fori Imperiali c’è una bici bianca, lì una ragazza è morta, e io l’avevo incontrata in diverse occasioni.

Ora sicuramente è vero che all’aumentare del numero dei ciclisti l’incidentalità diminuisce, ma non immediatamente. Non sto qui a dirvi che accadrà a voi, ai vostri cari, ai vostri amici… ma quello di cui stiamo parlando non sono numeri: sono persone.

Gli automobilisti si spostano chiusi nelle loro corazze, non hanno la pelle esposta, non si rendono semplicemente conto che quello che per loro può essere il rischio di un graffio sulla carrozzeria, per chi sta fuori può rappresentare un’invalidità permanente, o peggio.

Ed è importante, essenziale, che almeno sul piano legislativo si faccia tutto il possibile per garantire la sicurezza sulle strade, perché il numero dei ciclisti aumenterà, e questo paese non è culturalmente preparato ad accoglierli.”

(questo il mio piccolissimo, accorato, contributo. Non sono molto bravo a destreggiarmi con i numeri, le percentuali, le leggi ed i regolamenti, ma posso provare a mettere a disposizione della causa la mia modesta capacità oratoria per cercare di arrivare ai cuori delle persone)

Dopo l’audizione ci siamo ritrovati a piazza di Montecitorio con lo striscione di #salvaiciclisti, caso ha voluto che ci fosse una troupe del TG5 che ha raccolto un po’ di interviste, confezionando un servizio che è andato in onda il giorno dopo. Lo potete vedere qui, dal minuto 27.40 (a 28.06 ci sono anch’io che parlo della mia bici pieghevole).

Poi la conferenza stampa al Teatro Valle Occupato insieme a FIAB e Legambiente, un gelato al volo con la consorte e via a casa, a cambiarmi. Alle 18.00 pedalata sotto la pioggia e gran finale con la serata organizzata sempre al Valle per #salvaiciclisti con artisti, musicisti ed un’asta di bici. Nel corso della serata l’attrice Giselle Martino ha letto, tra le altre, una mia poesia: Il Volo Notturno. E proprio con un “volo notturno” in sella alle nostre Brompton io e Manu ce ne siamo tornati a casa, evitando di poco un acquazzone ed arrivando all’una di notte felici ed esausti.

Una giornata per moltissimi versi straordinaria, ma se riesco a scriverne solo a tre giorni di distanza è perché ormai si viaggia a velocità crescente verso la manifestazione del 28 aprile a Roma. Io seguo un po’ dalle retrovie, nel poco tempo che riesco a ritagliare tra il lavoro e la vita familiare. Quasi tutti gli altri stanno facendo molto più di me, ma anche il solo seguire tutto e contribuire con qualche idea qua e là mi assorbe ogni energia residua.

Il fatto è che il successo inaspettato di #salvaiciclisti ci ha colto alla sprovvista, e adesso stiamo tutti facendo i salti mortali per rimanere in sella in questa folle cavalcata. Purtroppo chi non è riuscito ad entrare nelle dinamiche da subito è rimasto in parte tagliato fuori, più che per cattiva volontà per l’impossibilità di gestire tutto quello che accade nei modi e nei tempi adeguati.

Come scrivevo giusto ieri su Facebook in risposta a critiche che ci sono state mosse da rappresentanti del mondo delle Ciclofficine popolari e della Critical Mass, facciamo fatica anche solo a seguire quello che accade. Perfino la democrazia interna è un lusso che raramente possiamo concederci, limitandoci ad approvare l’operato di chi si fa carico di determinate scelte ed azioni consapevole della possibilità di sbagliare.

A posteriori, molto probabilmente, ci renderemo conto che molte decisioni avrebbero potuto essere diverse, ma ora, semplicemente, manca il tempo di ragionare su tutto con la necessaria freddezza e lucidità. A posteriori molte cose ci verranno rinfacciate da chi non è qui, ora, a cercare di fare il massimo perché i ciclisti abbiano la visibilità e la considerazione che da anni sono loro negate. Anche questo è già nel conto.

#salvaiciclisti è come una valanga che ci ha travolto e ci sta trascinando a valle: qualcuno arriverà intero, qualcuno potrà farsi male, ma la sensazione di aver fatto qualcosa di giusto ed utile, o quantomeno di averci provato con tutte le forze, quella non ce la toglierà nessuno.

Riciclaggio video

La campagna #salvaiciclisti, con la manifestazione prevista per fine mese, ci sta costringendo a fare i salti mortali in corsa per arrivare al maggior numero possibile di persone. Quando ad un certo punto mi è venuta l’idea di girare un video promozionale mi sono anche reso conto che i tempi erano troppo stretti per realizzare qualcosa di decente, così ho rimesso mano allo spot “morettiano” girato per la Ciemmona 2008 (starring Giuseppe il “Losco Individuo”) e, facendo tesoro dell’esperienza di montaggio maturata coi documentari sulla Togliatti e sul G.S.A., in una mattinata di “taglia e cuci” ne ho fatto una versione aggiornata.

Una lunga battaglia di civiltà

Il primo problema, per chi conduca una battaglia di civiltà, sta nel veicolare le proprie idee. Idee che risultano, inevitabilmente, “nuove”, inaspettate, lontane dal “sentire comune” dell’uomo della strada. Una battaglia di civiltà parte necessariamente da una condizione di inciviltà per portarla ad un miglioramento.

Quindi idee nuove, inattese, facilmente osteggiate ed osteggiabili proprio in base all’assunto auto-avvalorante che: “se fin qui abbiamo fatto così un motivo ci sarà”. E spesso questa frase finisce, nelle più svariate formulazioni, in bocca a persone che reputano troppo complicato e faticoso comprenderlo, quel motivo… o anche solo sincerarsi che esista, un motivo.

Figurarsi poi comprendere le motivazioni di chi spinge per la trasformazione, che sicuramente saranno ancora più complesse ed articolate del motivo stesso che ha portato alla situazione corrente. Diciamola tutta: per molti è proprio l’idea stessa di un “cambiamento”, la sua sola eventualità, che “fa fatica”.

Il nostro è un paese che di “cambiamenti” ne ha visti tanti, forse troppi, spesso in negativo, per non diffidarne a priori. Il nostro è ormai un paese dove devi guardarti da tutti per non essere raggirato. In sé un esercizio mentale interessante, ma che alla lunga stanca. E di sicuro non predispone al cambiamento.

E tuttavia se quest’atteggiamento mentalmente apatico è comprensibile (pur se mai giustificabile) nell’uomo della strada, non lo è più quando ad adottarlo sono i “mediatori culturali”, giornalisti in testa. Questa categoria ha il compito di fare da tramite tra la realtà dei fatti e la conoscenza degli stessi da parte dei propri lettori (o ascoltatori), e non può permettersi di abbassarsi al loro stesso livello.

Purtroppo, au contraire, molto spesso la bicicletta viene derubricata fra gli “argomenti di colore”, e lo scriverne affidato ai soliti tuttologi impreparati che sfornano articoli a un tanto al rigo. Già, chi non vive sulla propria pelle i pericoli del traffico motorizzato tende spesso ad applicare una chiave di lettura orientata ad una eccessiva “leggerezza”, mai come in questo caso fuori luogo.

Attraverso #salvaiciclisti stiamo trattando di problemi gravissimi come l’incidentalità stradale, il tipo di problemi che non augureresti a nessuno, neppure come “necessaria formazione culturale” per trattare certi argomenti. I servizi sulla “sagra del tarallo trifolato” si possono sbolognare anche all’ultimo galoppino di redazione, ma evocare la bicicletta, anche nei suoi aspetti più ludici, non può prescindere la consapevolezza ed il rispetto nei confronti di chi, in sella ad una bici, incolpevolmente, è stato ucciso.

È questo un problema di cui ogni redazione giornalistica dovrebbe farsi carico: avere all’interno una persona in grado di vagliare quanto scritto dai “collaboratori” e, se necessario, correggere il tiro. Non serve poi molto, in effetti, è sufficiente che sia un ciclista. Di certo in ogni redazione ce n’è almeno uno, o una.

Si eviterebbero così strafalcioni al limite del ridicolo, come se ne leggono troppo spesso, o le analisi di una rudimentalità al limite del disarmante che, se sono buone per le chiacchiere da bar, non altrettanto lo saranno per il lettore attento.

È, e lo sarà sempre di più, una necessità, soprattutto per via dell’aumento dei lettori-ciclisti. Non è bello vedere i temi che ci stanno a cuore, o che addirittura riguardano la nostra stessa incolumità, trattati alla stregua della “sagra del tarallo trifolato”… si finisce col perdere fiducia nell’autorevolezza del giornale stesso, e col perdere la motivazione nel leggerlo.

Il primo problema, per chi conduce una battaglia di civiltà, sta nel veicolare le proprie idee. Se poi gli organi deputati proprio alla circolazione delle idee non ritengono di dover partecipare, non tanto alla battaglia di civiltà, quanto alla sopravvivenza ed alla crescita della civiltà stessa in cui operano, allora il problema si aggrava, e di parecchio.

In vista del 28 aprile

La manifestazione prevista per il 28 aprile sta mantenendo in fibrillazione molti ormai da settimane, e in testa a tutti ci sono gli attivisti di “Salviamo i ciclisti”, che dopo essersi autoconvocati ed aver discusso a quattr’occhi la prima volta meno di un mese fa hanno capito quanto importante fosse il momento storico che si sta vivendo in queste ore/giorni. L’esplosione nazionale di #salvaiciclisti era ben lungi dall’essere prevista, ma qui in particolare, a Roma, molte delle sue istanze erano state anticipate dal lavoro svolto col coordinamento “Di Traffico Si Muore” negli anni scorsi, per ritrovarsi sulla stessa lunghezza d’onda è bastato davvero poco. Ha stupito i “veterani” il veder aderire e coinvolgersi molte facce nuove, segno che il lavoro svolto con DTSM ha gettato semi nelle teste di molti/e, semi che al momento giusto hanno potuto germogliare e dare frutto. Per altri versi, la necessità di dar corso ad una molteplicità di iniziative “a breve” ha fatto sì che la data prescelta lasciasse tempi davvero risicati per un’organizzazione adeguata, e tutti ci siamo ritrovati a rincorrere urgenze che si propongono giornalmente una dietro l’altra. Eppure il fermento prodotto fa sì che le migliori intelligenze entrino in gioco, si discute e si lavora con grande efficacia, chi “sa fare” fa, e chi non può fare non si avvita in discussioni infinite, passando oltre e lavorando ad altro.

Questo è quanto avviene nel “collettivo aperto” che si sta spendendo in queste settimane per l’organizzazione della manifestazione, e mi sembra davvero un ottimo segnale. Altre realtà che non hanno colto al volo l’occasione di lasciarsi coinvolgere nel “movimento” si sono ritrovate arroccate nella salvaguardia delle proprie specificità a combattere una “guerra di posizione” a difesa dei propri confini. Questo è un atteggiamento bizzarramente condiviso sia dalle realtà strutturate, come associazioni e simili, sia da certe frange più radicali di esperienze come Critical Mass e Ciclofficine Popolari, più interessate a distinguo e precisazioni che a contribuire a qualcosa di nuovo e dai contorni ancora indistinti. Il dialogo con queste realtà è un carico di lavoro ulteriore, ma nonostante ciò necessario per il massimo coinvolgimento fra chi si muove ogni giorno su strade che stanno diventando via via sempre più pericolose. Per fortuna #Salvaiciclisti ha dalla sua il coinvolgimento di tantissime persone che fin qui, per un motivo o per l’altro, o forse solo per sfiducia, non avevano aderito in precedenza a realtà predefinite. Far parte di un movimento magmatico e per quanto possibile “orizzontale” ha rappresentato quindi un abito (anche mentale) da indossare con comodità, sebbene ciò comportasse un impegno che sin dai primi giorni ha rivelato le sue difficoltà. Prima fra tutte, anche per i veterani che stanno mettendo a disposizione un’esperienza pluriennale in realtà molto diversificate tra loro, quella di riuscire a seguire il susseguirsi degli eventi e contribuire a tenere tutto insieme senza egemonizzare gli spazi dibattimentali e decisionali. Questo è un punto che chi partecipa non può non apprezzare: il lavoro “dal basso” non tollera verticismi, ed anche se questo comporta nell’immediato una fatica maggiore ai più è ormai chiaro il fatto che sia l’unica via da percorrere.

Cosa accadrà da qui al 28 aprile non ci è dato saperlo, nuovi scenari e potenzialità si aprono di fronte ai nostri occhi ogni giorno, e le notizie positive sono sistematicamente più numerose di quelle negative. L’impegno è tanto ma già ora più che ricompensato. Quando potremo trovarci tutti in piazza a sorridere ed abbracciarci sarà l’apoteosi, ed a tutti noi dispiacerà solo per chi se lo sarà perso.