L’apocalisse vichinga in Groenlandia

Per lunghi decenni ho ritenuto la Groenlandia solo una grossa isola perennemente coperta dai ghiacci. Non molto tempo addietro ho infine acquisito il fatto che fosse stata scoperta dai navigatori vichinghi, i quali le diedero il nome di “Terra Verde” (Grüne Land), ma è stato solo con la lettura di Collasso di Jared Diamond che mi si è chiarita la tragica vicenda delle colonie norvegesi.

Scoperta poco prima dell’anno mille dal navigatore Eric il Rosso, durante un periodo climatico più mite della media, due piccole zone costiere furono ben presto popolate da agricoltori e pastori, che diedero vita a gruppi di villaggi noti rispettivamente come Insediamento Orientale ed Occidentale (nonostante fossero pressoché sullo stesso meridiano, distanti circa 500km in direzione nord-sud).

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(l’Insediamento Orientale)

I vichinghi introdussero le pratiche agricole e di pastorizia tipiche della madrepatria norvegese, ed oltre a quelle provarono a sfruttare le risorse del posto come la pesca e la caccia a foche e trichechi, ma qualcosa, o meglio, molte cose tutte insieme, andarono storte in modi non inizialmente preventivabili. Cinque secoli dopo la loro fondazione, di quelle colonie non rimaneva nulla, né animali né abitanti, solo poche chiese di pietra.

Gli errori di valutazione furono molti. La bassa latitudine suggerì l’adozione di pratiche agricole analoghe a quelle del Nord Europa, senza tuttavia tener conto del clima molto diverso determinato dall’assenza della corrente del Golfo. I groenlandesi si trovarono a dover affrontare inverni mediamente più freddi e secchi di quelli cui erano abituati.

L’essere approdati su una terra vergine, verde e ricca di foreste, non lasciò supporre che i tempi di formazione e rigenerazione della vegetazione, a causa del freddo e delle rade piogge, fossero enormemente più lunghi di quelli della madrepatria: le foreste tagliate non ricrescevano, e lo stesso accadeva ai pascoli.

Altro fattore inizialmente sottovalutato fu la lontananza dall’Europa, ed i costi enormi del commercio navale in condizioni tanto critiche. Le colonie groenlandesi esportavano lana ed oggetti d’avorio, quest’ultimo ricavato dai denti dei trichechi (la cui caccia stagionale presentava rischi non indifferenti), ed importavano manufatti in ferro.

La storia delle colonie racconta di un lento, inarrestabile declino, vieppiù straziante in considerazione del fatto che si trattava di popolazioni appartenute alla nostra stessa civiltà, alla nostra stessa cultura. Mentre intorno al 1200 l’Europa viveva un fiorire di arte, cultura e civiltà, l’età dei comuni che porterà al Rinascimento, su un’isola coperta dai ghiacci, lontani da tutto e da tutti, cinquemila persone vedevano i propri margini di sopravvivenza assottigliarsi progressivamente in maniera irreversibile.

Le analisi dei siti archeologici ci raccontano di una popolazione che finì col perdere la metallurgia per la mancanza di legname per ridursi, infine, ad utilizzare utensili di legno ed osso, in un indesiderato ritorno all’età della pietra. Le analisi dei resti alimentari narrano del progressivo abbandono della pastorizia a causa di stagioni estive troppo fredde e brevi, di una dieta basata in larga misura sul consumo di carne di foca dal sapore orribile, della follia, probabilmente consapevole e sopravvenuta in un secondo tempo (un tabù alimentare?), di eliminare dalla propria dieta l’unico alimento relativamente abbondante in quei lidi, ovvero il pesce.

Un’economia di sopravvivenza destinata a soccombere di fronte ad un mutamento climatico globale che viene definito la “piccola era glaciale”, ricordata in Europa come causa di inverni molto più freddi della media e tramandata ai posteri dalla moda di indossare enormi parrucche. La piccola era glaciale determinò la fine delle colonie vichinghe ormai irraggiungibili dalle navi anche in estate a causa della presenza di iceberg nei fiordi dove affacciavano i piccoli porti degli insediamenti.

Dimenticati da tutto e da tutti, i cinquemila coloni vichinghi sparirono nel nulla assieme ai loro villaggi, agli animali da pascolo, alla loro storia ed alla loro cultura. La tragedia che li colpì ha potuto essere ricostruita solo in tempi recenti.

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Paradossalmente, mentre gli europei soccombevano alle avversità ambientali, tribù Inuit stanziate molto più a nord riuscirono a sopravvivere e (relativamente) prosperare grazie a caccia e pesca.

Mentre i vichinghi distruggevano lentamente i campi coltivabili per tagliare la torba in mattoni e fabbricare case “all’europea” gli inuit vivevano in tende d’estate, e d’inverno costruivano igloo di ghiaccio. Mentre i vichinghi tentavano senza successo di esportare in Groenlandia l’allevamento di bovini ed ovini, la metallurgia, l’uso del legname per costruzioni e riscaldamento, gli inuit sfruttavano le risorse locali: pesce, carne di foca, grasso di balena per il riscaldamento, costruendo tende, vestiti, imbarcazioni ed utensili utilizzando pelli ed ossa animali.

A mente fredda possiamo rimproverare ai vichinghi i molti errori di cui si fecero carico, l’incapacità di dialogare coi loro vicini inuit (che appellavano col termine “skraelig”: pezzenti) e di imparare da loro uno stile di vita che li avrebbe resi capaci di sopravvivere, l’arroganza tutta europea di ritenersi superiori ai nativi.

Tuttavia non possiamo non muovere a compassione all’idea di diverse migliaia di nostri simili intrappolati ai confini del mondo, dimenticati “da Dio e dagli uomini”, costretti da inverni sempre più rigidi ad uccidere e divorare fino all’ultimo i pochi e stentati capi di bestiame, privi infine di risorse naturali, di utensili, di cibo, di riscaldamento, condannati ad estinguersi uno dopo l’altro da un gelo divenuto inarrestabile.

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16 pensieri su “L’apocalisse vichinga in Groenlandia

  1. Se vuoi avere una versione eccellentemente romanzata dell’odissea europea in Groenlandia, anche se in tempi più recenti (siamo a fine settecento) con un’attenta e critica osservazione degli anacronismi morali(stici), consiglio Il fiordo dell’eternità di Kim Leine.

    Del libro di Diamond mi ha molto colpito quello che io chiamo (anti)pattern dell’assalto alla scialuppa, ovvero l’afflusso di profughi dalle colonie “occidentali” (in realtà settentrionali) a quelle ultime che resistevano a stento “orientali” (in realtà meridionali) e che le fece soccombere.

    L’antipattern dell’assalto alla scialuppa ricorda molto l’arrembaggio di milioni e milioni (centinaia di milioni, anche, in prospettiva) alla spaventosamente iperpopolata Europa, con pesantissimo aggravio del suo già aberrante deficit ecologico, da parte di migranti asiatici e africani.
    Sono veramente pessime le notizie di questi giorni, solo una piccola anticipazione di ciò che avverrà in futuro.

    • L’insediamento orientale era IMHO spacciato anche senza l’afflusso dei profughi da quello occidentale. Rammento, perché il post non lo esplicita, che la popolazione dell’occidentale ha raggiunto al massimo i mille abitanti, contro i circa quattromila dell’orientale. Senza i profughi avrebbero potuto tirare avanti forse un po’ più a lungo, ma il loro destino era comunque segnato dall’incapacità di rimettere in discussione l’intero impianto della cultura a cui erano ciecamente legati, l’identità europea, che mal si adattava a quella terra ai confini del mondo.

      Il libro che mi hai segnalato non lo conoscevo. Spero di non dimenticarmene la prossima volta che faccio un salto in libreria…

      • Purtroppo non ti posso dare tutti i torti.
        Ci sono comunque due questioni importanti.
        1 – Ora sappiamo, con scienza e conoscenza (non molti, gli altri ignorano o, molto probabilmente, sono in malafede, per dirla alla Sartre) dei collassi dei sistemi insostenibili.
        2 – Se si potesse arrivare ad una politica di resilienza prima e di decrescita per rientrare nell’alveo della sostenibilità, afflussi cospicui di carico sulla scialuppa rendono i tempi ancora più stretti (anche se io ritengo che, sostanzialmente, non ci sono più margini per evitare i collassi, sia locali che globale).

      • C’è un punto che sembri sottovalutare, osia che “la scialuppa” non è qui. L’Europa non ha più autosufficienza alimentare, nemmeno in un regime di agricoltura pesantemente meccanizzata. Finché entrano petrolio dai paesi arabi, gas dalla Russia, fertilizzanti dal Nordafrica e materie prime dal resto del mondo possiamo vivere nel benessere. In assenza di tutto questo vedremmo i flussi migratori invertire di direzione in breve tempo. Vero che c’è ancora un grosso margine di spreco da rosicchiare (tipo ridurre i consumi di carne), ma se non si mette mano ad una seria pianificazione demografica la “catastrofe malthusiana” descritta da Jared Diamond nel capitolo sul Ruanda è dietro l’angolo anche qui.

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  5. Mi dispiace leggere solamente ora questo lavoro; sono interessato a rispondere perché scritto molto bene.
    Sono dell’idea che i libri vadano sempre letti, anche quando contengono delle sciocchezze, perché in questa evenienza, affinandosi il senso della critica cresce la conoscenza.
    Il libro di Diamond l’ho letto e con scienza&coscienza posso affermare che è un cumulo di sciocchezze.
    I Groenlandesi conoscevano perfettamente l’agronomia e applicavano le buone tecniche per la conservazione del pascolo. Sono stati ritrovati sistemi d’irrigazione forniti di dighe, bacini per l’acqua, fossi e terrazzamenti. Da bravi Islandesi conoscevano la concimazione dei terreni, usata per estendere il manto erboso su quelli nudi. In Islanda si usavano, dice il Portner (storico tedesco), tramogge montate su slitte (reperti archeologici ritrovati), che erano trascinate, e da cui si spargeva il concime organico sui terreni (grossomodo come gli spargiconcime odierni). Il concime era composto dal letame invernale delle stalle, da residui vegetali, e da resti di pesce.
    Questa è la ragione per cui non si trovano resti di pesce nel pattume dei Groenlandesi.
    Diamond nega tutto ciò, ridicolizzandolo, e affermando che i Groenlandesi semplicemente non mangiavano pesce. Giustificando quest’affermazione con i cumuli di ossa di pesce ritrovati invece in Islanda; ciò è ovvio: gli Islandesi, venti o più volte numerosi dei Groenlandesi, producevano pesce essiccato e affumicato, in modo quasi industriale, da esportare in tutta Europa, avendo così un surplus di resti ittici che rimanevano non riutilizzati. L’esportazione Groenlandese, se c’era, era minima, forse, una produzione di nicchia.
    Allora, Diamond s’inventa un presunto avvelenamento da pesce subito da Eric il rosso trasformatosi e trasmesso, grazie al carisma (carisma? In una società di quasi-anarchici?) del personaggio, alle successive generazioni sottoforma di divieto di mangiare il pesce. I divieti così generati, sono a volte presenti nelle civiltà umane, ce n’è traccia anche nella Bibbia, ma non c’è uno straccio di prova repertata o documentale che avvalori la supposizione di Diamond.
    Una deduzione fantasiosa che quando sono i grandi a formulare, si diffonde, e poi, ripresa da tutti, appare fatto vero e sacrosanto.
    La deforestazione è altra invenzione. Non c’erano tante foreste in Groenlandia, ma radi boschi di specie arboree, esili e nane, in forma, quindi, arbustacea; come oggi. I Norreni parlano raramente di boschi in Groenlandia, e fin dall’inizio, gioiscono dalla scoperta delle foreste sulla costa prospiciente del Canada fatta da Leif, il Markland.
    Nella “Descrizione della Groenlandia” di Ivar Bardsson c’è quest’annotazione, riguardo alla proprietà della sede Episcopale di Gardar: … alla testa del fiordo di Einar, vi era “un grande bosco” e la cattedrale possedeva, anche, questo” Sinceramente, non è chiaro cosa significhi “grande”, ma quello che si rileva è che nel 1341, o su di lì, un ampio bosco era in piedi, e non era stato bruciato.

    Grazie all’analisi dei pollini, sappiamo che, oltre alle betulle, vi erano anche salici e ontani, probabilmente nani ed esili, se non hanno avuto la gloria della documentazione antica.
    Sicuramente una parte della copertura arborea, nana, fu estirpata dai Groenlandesi per fare i graticci delle fattorie, o fuoco da scaldarsi, o sono stati mangiati dagli ovini; infatti, le analisi dei pollini nei sedimenti dei laghi ci dicono che questi si ridussero decisamente nell’epoca Norrena. Il danno che possono avere fatto i Norreni è però insignificante.
    Vediamo cosa dice a tale riguardo Diamond.
    La presenza dei vichinghi è segnalata nei sedimenti dei laghi da uno strato di carbone; Diamond afferma che questo è stato causato dagli incendi appiccati per guadagnare nuovi pascoli. Controbatto che lo strato di carbone può essersi formato dai numerosi camini delle fattorie; il carbone si è stratificato per l’assenza, in quel periodo di buon clima, di altre polveri. I Norreni non avevano nessun vantaggio dall’incendiare la vegetazione arbustacea, semmai l’avrebbero tagliata per utilizzarla.
    Diamond continua: i pollini di betulle e salici diminuirono con l’avvento dei vichinghi e aumentarono quelli delle specie erbacee. Vero! Sicuramente i vichinghi tagliarono gli arbusti e aumentarono i terreni a pascolo, concimando e irrigando quelli nudi.
    Ancora, Diamond: subito dopo la colonizzazione, nei sedimenti si ritrovano polveri e sabbie, segno della rimozione erosiva dello strato superficiale dei terreni; dopo un certo periodo questi sedimenti aumentano, segno che gran parte del territorio era all’epoca, privo di copertura vegetale (addirittura!) e di suolo fertile. Sbagliato! Con il passare del tempo il clima è peggiorato e i ghiacciai hanno cominciato a tracimare dai picchi nudi delle montagne. Un processo di andirivieni dei ghiacci, che comunque guadagnavano terreno, che limava le fragili arenarie formando polveri e sabbie che poi si depositavano nei laghi. Quando i Norreni sono scomparsi, questi sedimenti non sono stati più deposti perché i ghiacci avevano occupato stabilmente le zone più a valle ai piedi delle montagne.
    Diamond riferisce che il quadro erosivo in tempi moderni è ripreso con la reintroduzione delle pecore da parte dei Danesi. A parte che oggi in Groenlandia vi sono ventimila ovini, mentre all’epoca tutti gli animali allevati erano molto meno; le pecore odierne pascolano felici, senza che vi siano segni di depositi lacustri di sedimenti, proprio perché i ghiacciai nelle zone abitate si sono ritirati oltre i picchi.
    Le tesi di Diamond sono sbagliate; se si volesse dare un giudizio moderato, potrebbero essere considerate molto esagerate.
    Così sono errate o leggendarie le tesi di eventuali scontri con gli Inuit.
    Inoltre è scorretto presentare delle tabelle elaborate da altri e presentarle senza nessuna indicazione dell’autore, perché si fa credere che siano proprie.

    C’è ovviamente dell’altro; ma la saluto con stima.

    • La ringrazio dell’approfondito e documentato commento, cosa rara su questo blog. Se i vichingi abbiano bruciato alberi ed arbusti direttamente, nelle fornaci per la forgia dei metalli o nei camini per scaldarsi, ai fini pratici non fa molta differenza: il risultato finale è lo stesso. Anche la tesi sul riuso degli scarti di pesce è valida (ma qualche minima traccia, per quanto bene riciclassero, forse avrebbe dovuto saltar fuori). Gli scontri con gli inuit possono o meno essere avvenuti (i vichinghi furono cacciati dal Canada proprio a causa della loro aggressività), resta il fatto che le due popolazioni non si mescolarono, e ce lo documentano le analisi del DNA. Illazioni e scorrettezze professionali a parte (Diamond è sempre molto parco nel citare le fonti, ma forse lo fa intenzionalmente per non appesantire la lettura ai profani… come che sia non è un esempio da seguire), credo che l’impianto complessivo del suo ragionamento regga. I vichinghi colonizzarono un territorio con troppe criticità rispetto alla loro terra d’origine, con un tasso di rigenerazione dei suoli inadeguato alle tecniche agrarie che potevano essere messe in opera, al punto che bastò una fluttuazione (minima ma significativa) nelle temperature globali per rendere quelle terre del tutto inabitabili. Di fatto scomparvero nel nulla.

      • Marcopie, ti ringrazio per avermi risposto (non succede spesso) e abbi pazienza se approfitto per precisare alcune (ahimè, non possono che essere tante!) cose.

        Dallo studio delle culture scomparse nelle pieghe della Storia, si possono trarre indizi che alcuni considerano come le cause costanti delle estinzioni delle civiltà.
        Alcuni credono che parametri diversi, poco significativi se presi singolarmente, nella loro totalità possano raggiungere la massa critica capace di generare la causa di estinzione.

        A questo tipo d’ideologie scientifiche, io oppongo tesi critiche.
        Dalle civiltà antiche scomparse, non si può trarre una formula matematica risolutiva, universale.
        Non di meno, quando nella Scienza si stilano dei decaloghi di cause per spiegare un fenomeno, di norma, significa che non si è compreso il fenomeno stesso.

        I fattori che sono chiamati in causa per spiegare l’estinzione dei Groenlandesi Norreni, sono i seguenti: 1) danni ambientali, 2) cambiamenti climatici, 3) esaurimento delle risorse alimentari, 4) avere una società conservatrice, inconsapevole dei pericoli e incapace di innovarsi, 5) vicini ostili, 6) perdita di contatti con il resto del mondo.
        Lo scopo dei primi quattro punti è di dimostrare che già nella Storia antica dell’uomo sono rilevabili in forma embrionica le cause dell’attuale sofferenza climatica e biologica del pianeta. Cosa di cui, personalmente, sono convinto: l’uomo con la sua stessa crescita numerica e di bisogni senza limiti sta causando danni irreparabili alla Natura e mette in forse la sua stessa permanenza sul pianeta.
        Questa teoria però non può essere applicata alla colonizzazione Norrena della Groenlandia; le cause dell’estinzione dei vichinghi in questa terra sono da addebitare a cause specifiche e peculiari non condivise dalle altre civiltà scomparse.
        Per questo motivo elencherò una serie d’imprecisioni su ciò che ho letto, e che dovrebbe generare dubbi anche sulle affermazioni generali e teoretiche degli autori.

        Diamond, nel suo libro “Il collasso …” afferma che i Groenlandesi non cacciavano l’orso; ma poco dopo afferma che Einar Sokkason quando andò in Norvegia per convincere il re a nominare un vescovo, gli portò in dono un orso polare vivo oltre a zanne di tricheco. Idem per una successiva visita di un altro Groenlandese. L’Episcopato di Gardar, inoltre, aveva il privilegio della caccia all’orso polare a Korso, forse a nord nel Nordsetur, e è fatto indicativo.

        Diamond afferma che i Groenlandesi non cacciavano le balene. I vichinghi erano conosciuti in tutto l’Atlantico settentrionale per essere provetti balenieri. Perché mai i Groenlandesi non avrebbero dovuto esserlo? Non cacciavano con i Kajak ma con le imbarcazioni; una pesca di gruppo, che si effettuava spingendo le balene verso i fiordi e le spiagge.

        I Groenlandesi mangiavano pesce e già grossomodo all’epoca di scrittura del libro di Diamond erano stati ritrovati resti consistenti.

        Diamond afferma che i Groenlandesi (definiti sfortunati nel senso d’incapaci), non avevano tra le loro prede la foca dagli anelli.
        Queste foche sono quelle che gli Inuit pescano con l’arpione, aspettando che esse emergano da spiragli che praticano nel ghiaccio con le zampe, o da fori che essi stessi praticano. L’habitat obbligato di queste foche è ovviamente il ghiaccio della banchisa, cioè quello che si forma di sopra l’acqua salata del mare, dove trascorrono la maggiore parte della loro vita.

        Tra i vichinghi non era in uso il tipo di pesca praticato dagli Inuit, e per questo si crede che non pescassero queste foche, e da qui la loro supposta sfortuna.
        Non può essere messo in dubbio, però, che di norma i Norreni nelle loro acque cacciassero altre foche, aventi habitat e consuetudini diverse dalla foca ispida, come quelle groenlandesi (o dalla sella, Pagophilus groenlandicus), che anche se meno numerose, frequentavano d’estate gli insediamenti, ed erano molto più grandi, avendo ognuna un peso compreso tra 150 e 200 chilogrammi.
        Una ricerca polidisciplinare ha rivelato che i Norreni si adattarono alle mutevoli condizioni dell’ambiente artico, nutrendosi durante la fase finale della colonizzazione in gran quantità di alimenti marini, e in particolare di foche. Il consumo di animali marini crebbe dall’XI° al XIV° secolo dal 50% all’80%.

        La ricerca che ho citato ha avuto come oggetto l’analisi del carbonio e dell’azoto per valutare la qualità probabile del collagene, e il rapporto (che identifica il tipo di alimentazione) tra gli isotopi carbonio-13 e carbonio-15 contenuti nelle ossa di 80 scheletri conservati all’università di Copenhagen, provenienti da cinque cimiteri dell’insediamento meridionale (orientale) e due di quello settentrionale (occidentale).
        Jan Heinemeier, Erle Nelson, Niels Lynnerup, hanno analizzato il contenuto di azoto, carbonio, e il rapporto tra i suoi isotopi, e lo stato patologico degli scheletri. La ricerca sunnominata, a differenza di Diamond, esclude qualsiasi causa legata all’inedia.
        Niels Lynnerup, capo della ricerca, ha affermato che gli uomini cui appartenevano quelle ossa avevano avuto cibo in abbondanza.

        Su libri e articoli, sul web, però, si moltiplicano affermazioni di chi ha letto Diamond (che afferma di tutto e di più, e il suo contrario), che raffigurano i Groenlandesi come dei poveri disadattati, un po’ idioti; uomini che non sarebbero stati capaci di adattarsi all’ambiente. I Norreni, in poche parole, non si sarebbero trasformati in Inuit, e per questo sarebbero stati spazzati via.
        Affermazioni, tipo: “Non sapevano fare i buchi nel ghiaccio per pescare le foche”. Oppure: “No! Li sapevano fare, ma non avevano inventato le ginocchiere per appostarsi accanto ai buchi”. Ancora: “Erano solamente contadini, non bravi pescatori: nei resti degli insediamenti non sono stati ritrovati ami, lenze, reti, arpioni”; oppure: “Contadini sì, ma non capaci di trattare i fragili terreni Groenlandesi; e poi disboscarono le foreste, consumarono il terreno fertile, anzi, gli ovini e i bovini con il calpestio lo distrussero”.
        Io mi chiedo, poiché non sono state ritrovate neanche le navi, allora secondo la logica di queste affermazioni, i Groenlandesi dovevano essere neanche marinai?

        I vichinghi in Groenlandia non avevano tecnologie inferiori agli Inuit, esse erano semplicemente diverse; e non è vero che non abbiano avuto la capacità di adattarsi ai sistemi eschimesi, semplicemente non ne hanno avuto bisogno, e probabilmente non li conoscevano, perché se questi due popoli si sono incontrati, è stato solamente di sfuggita.

        Allora perché scomparvero? Quelli dell’insediamento meridionale (chiamato da loro orientale), grossomodo i 2/3 di tutta la colonia, evacuarono in Islanda; l’insediamento occidentale nel 1341 fu trovato vuoto ed è da considerarsi all’epoca evacuato o estinto.

        Perché se ne andarono?
        Lynnerup e gli altri scienziati non hanno molti dubbi: il peggiorare del clima costrinse i vichinghi a cambiare dieta alimentare (da una dieta bilanciata tra terra e mare passarono a una prevalentemente marina). In Groenlandia piove tre volte meno che in Islanda, se il terreno scongela più tardi l’erba non ha disponibilità d’acqua e non cresce. Inoltre, non arrivarono più i rifornimenti in cereali dall’Europa.
        Lynnerup afferma che semplicemente si stancarono di mangiare foca; personalmente, penso che un’alimentazione eccessivamente ricca in vitamina A, abbia influito sullo stato di salute delle partorienti o dei nascituri, convincendo le famiglie a evacuare le giovani donne per conservare una progenie. Lynnerup, infatti, trova pochissime giovani donne nelle ultime tombe. Una sensibilità alla tossicità della vitamina A in confronto agli Inuit molto ragionevole.

        I Groenlandesi ebbero dei rapporti conflittuali con gli amerindi, ma non c’è uno straccio di prova che li colleghino agli Inuit che solo nel 1300 cominciarono a frequentare la banchisa della Groenlandia (estremo nord).
        L’archeologo canadese Robert McGhee, a questo riguardo, ha affermato che non vi è alcuna prova di massacri, di distruzioni di proprietà, o l’acquisizione e il riutilizzo dei rifugi norreni da parte degli Inuit, e nessun racconto Inuit parla di contatti con i Norreni.

        Alcuni racconti Europei parlano degli Inuit, ma l’unico credibile dice:
        «Più al nord, al di là degli insediamenti norvegesi (Nordsetur), i cacciatori si sono imbattuti in individui dalla corporatura minuta, che essi chiamano Skraeling. Se vengono colpiti superficialmente, le loro ferite diventano bianche e non sanguinano, ma quando sono colpiti a morte, sanguinano senza posa. Non hanno ferro, ma usano per proiettili le zanne di tricheco e pietre affilate come strumenti di lavoro».

        E com’era in uso tra i vichinghi, probabilmente, si peritarono di ucciderli tutti per non lasciare tracce e scatenare vendette com’era successo con i Beothuk Canadesi di cui in una saga.

        Scomparvero nel nulla? Forse, o forse no, se in Islanda in un paio di famiglie hanno trovato una genetica Amerinda. In una saga si parla di prigionieri portati dall’altra parte. L’evacuazione della colonia potrebbe avere interessato famiglie miste tra vichinghi e indiani Beothuk (oggi estinti).

      • Scusami se ti rispondo tanto tardi. Mi ripromettevo di rileggere Diamond per rinfrescare i suoi argomenti sulla effettiva scomparsa… ma non ne ho avuto il tempo. All’epoca mi sembrò che questo fosse un punto chiave: le cronache non parlano di una evacuazione. Semplicemente, col progredire del freddo, cessarono i contatti con le colonie, le navi smisero di intraprendere quelle rotte. E d’altro canto è evidente fin dall’inizio che la vegetazione della Groenlandia non consentiva più la metallurgia (vedi la vicenda incredibile dell’imbarcazione groenlandese con i ‘chiodi’ di legno), limitando fortemente le possibilità di fuga dei vichinghi insediati. Che qualcuno/a più scaltro di altri sia riuscito a sfuggire la morsa dei ghiacci è probabile, ma il grosso della popolazione non credo sia riuscito a scampare. E comunque, ad oggi, cosa sia realmente accaduto è difficile da stabilire.

  6. Il termine evacuazione che ho usato non è mio, ma degli scienziati che ho nominato. Personalmente sapevo che in Islanda nei registri navali vi fosse citato il ritorno dei coloni Groenlandesi nel corso del 1400, informazione confermatami a voce da fonti Danesi, ma non avendo una bibliografia certa non ne ho mai parlato. Come ho detto ne parlano gli studiosi Danesi che specificano tra l’altro che alcuni coloni rimasero. Ammesso che siano rimaste delle donne fertili, è ovvio che una piccola popolazione è destinata a estinguersi. Quindi, per quanto riguarda l’insediamento meridionale non c’è mistero; rimane quello settentrionale (occidentale per gli islandesi) circa quattrocento chilometri a nord, cui non avendo notizie certe fin dal 1341 si è parlato di estinzione.
    I Groenlandesi non sono mai stati in grado di varare navi per mancanza di alberi di alto e medio fusto e di ferro. L’attività cantieristica era in Islanda, finché ebbe alberi; dopo di ché tutti furono dipendenti dalla Norvegia; da cui era sempre arrivato il ferro.
    Nel 1250, il “King’s Mirror”, un trattato geografico Norvegese, reporta sulla pericolosità della navigazione lungo la costa meridionale della Groenlandia, per la presenza di numerosi blocchi di ghiaccio galleggianti.

    Nel 1261 i Groenlandesi riconobbero la sovranità di re Haakon IV° Haakonson di Norvegia che stabilì il monopolio sui commerci con la Groenlandia, incaricandosi dei rifornimenti annuali.
    Nel 1368 ci fu l’ultimo viaggio della nave regia Norvegese la Groenlands knörr adibita ai rifornimenti che risulta affondata nel 1369 e mai sostituita. La navigazione dalla Norvegia diventava sempre più pericolosa.
    Nel 1381, 1382, 1385, 1406, navi probabilmente Islandesi, approdarono in Groenlandia, rompendo il monopolio, e con la scusa di essere stati portati fuori rotta, probabilmente portarono rifornimenti vari in cambio di avorio, pelli, olio ecc (William W. Fitzhugh e Elisabeth I. Ward, Vikings: the North Atlantic Saga, Washington, Smithsonian Institution Press in associazione con il National Museum of Natural History).

    L’ultima nave rimarrà almeno due anni, perché il capitano si sposerà ivi nella chiesa di Hvalsey con una passeggera. E’ uno dei matrimoni più comprovati della Storia, forse per via di eredità in ballo. Sappiamo che l’officiante fece le funzioni del vescovo che non era presente, che la funzione non si svolgerà a Gardar nella cattedrale, e non si sa perché, che vi erano diversi fedeli come testimoni. Nel 1414 i due sposini erano in Islanda e continuarono a certificare con tanto di testimoni che si erano sposati sul serio (“Saga_Trails”, pregiato lavoro di Jette Arneborg sulla colonizzazione della Groenlandia, archeologa del Museo di Copenaghen di cui Diamond evidentemente, per tutto quello che dico e che ho detto, non ha mai letto nulla).

    I Groenlandesi, quindi ebbero tutto il tempo e le occasioni per evacuare la Groenlandia per mezzo delle navi che tornavano in Islanda.

    Dopo il matrimonio di Havlsey non si avranno più notizie dalla Groenlandia.
    Nel 1448 Papa Nicola invita le due diocesi Islandesi a mandare preti in Groenlandia (che quindi non erano più presenti).
    Nel 1492, un Papa (Alessandro VI°, o il suo predecessore Innocenzo VIII°), espresse disappunto perché da ottanta anni nessun vescovo si era recato in Groenlandia; in breve, i prelati dell’arcidiocesi di Nidaros (Norvegia) da cui dipendeva quella di Gardar comunicarono che la diocesi di Gardar non esisteva più dal 1418 perché distrutta da barbari, senza specificare altro. Sul luogo però non ci sono tracce di distruzioni, e comunque questo fatto non ha retto alle indagini documentali e sul campo, per cui si pensa che i religiosi Norvegesi abbiano mentito per fustigare qualsiasi idea di raggiungere la Groenlandia, viaggio che all’epoca era considerato impossibile da intraprendere per via dello stato burrascoso del mare del Nord.

    Sicuramente ho dimenticato tante cose, ma sinceramente sono esausto … Ahhhh: al massimo gli Islandesi nella prima metà del 1200, raggiunsero nei due insediamenti il numero di tremila (2000 + 1000). Il Museo di Copenaghen da decenni ha enumerato il numero dei gruppi di rovine, cioè di fattorie, e questo dato coincide con quello matematico di tremila coloni. Naturalmente, tutto ciò per Diamond sono fatti sconosciuti …

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