L’invenzione di un futuro immaginario

Più ci ragiono e più ho la sensazione che l’idea stessa di “futuro” sia stata in qualche modo inventata all’incirca un secolo e mezzo fa, non molto dopo l’inizio della cosiddetta rivoluzione industriale. E quest’idea di futuro ha finito col plasmare la nostra cultura, distorcendola fino a farne qualcosa di totalmente folle.

Andando ad analizzare le culture precedenti, da quelle antiche su su fino al medioevo, nessuna forma narrativa affronta il tema del futuro. Il futuro per i nostri antenati si riduceva all’anno successivo, alla ricchezza o povertà del raccolto, al dover affrontare situazioni contingenti. La narrativa fantastica dava per scontata l’esistenza di creature sovrumane, divinità, spiriti, fate, folletti, senza mai prendere in considerazione eventi di un tempo prossimo o remoto.

Il passato, per i nostri avi, era molto più affascinante del futuro, l’esigenza di comprendere da dove si provenisse sicuramente più sentita di quella riguardante il dove si stesse andando e il ‘tempo’ qualcosa di concreto con cui fare i conti, come il raccolto dell’anno a venire o la salute propria e degli animali.

L’unica idea di ‘futuro’ che venga proposta dai testi sacri (Bibbia e Vangeli) è quella del Giudizio Universale: un dio padrone dell’Universo che a un certo punto arriva e dice “rien ne va plus”, sbaracca il mondo, spedisce le anime all’Inferno o in Paradiso e chiude bottega. Una ‘fine dei giochi’ ineluttabile ed ingestibile.

Per contro non ci è giunto alcun testo dalla Grecia classica che immagini una macchina pensante basata sul meccanismo di Anticitera (un antico calcolatore astronomico), né alcun testo di epoca latina che descriva navi spinte dalla sfera di Erone (l’antenata dei motori a vapore).

Mancavano, evidentemente, dei presupposti, che col tempo si sono venuti a creare. Il primo presupposto è probabilmente l’alfabetizzazione diffusa, che si ebbe solo nel medioevo a seguito dell’invenzione della macchina da stampa a caratteri mobili da parte di Johannes Gutenberg.

L’alfabetizzazione diffusa produsse un nuovo mercato, quello dell’intrattenimento letterario, con la nascita del romanzo in senso moderno, dei giornali e tutta una serie di altre ricadute in larga misura positive. La cultura popolare si consolidò in forme scritte, al pari di quella ‘alta’.

Il secondo presupposto fu l’accelerazione del processo di innovazione generata dalla rivoluzione industriale, conseguente all’introduzione del metodo scientifico che segnò la nascita della scienza moderna. La trasformazione del mondo cominciò a correre talmente in fretta da destare una diffusa preoccupazione per quello che sarebbe potuto accadere nell’immediato futuro.

Se guardiamo bene tutti questi processi concorrono nel produrre un meccanismo autoalimentante: l’invenzione della stampa diffonde la cultura, le nuove idee circolano più in fretta e ne producono di ancora più nuove, le conoscenze scientifiche accelerano i processi produttivi e generano una maggior ricchezza individuale, che può essere reinvestita in ulteriore innovazione e dar vita a nuovi mercati.

Il risultato è che, a partire dalla seconda metà dell’ottocento, con scrittori del calibro di Jules Verne in Francia ed H. G. Wells in Inghilterra, l’idea di futuro si materializza nell’inconscio collettivo grazie a romanzi di enorme successo come Dalla Terra alla Luna (1865), La macchina del tempo (1895), assieme a molti altri.

Il neonato genere narrativo, che alla fine dell’ottocento veniva definito “scientific romance”, dovrà attendere ancora qualche decennio prima di trovare un nome unanimemente accettato grazie ad Hugo Gernsback, scrittore ed editore, che negli anni ’20 del secolo scorso coniò il termine “science fiction”, poi tradotto nell’italiano “fantascienza”.

I temi della fantascienza sono gli stessi dei cicli epici: il viaggio e la guerra, solo riletti alla luce di possibili innovazioni scientifiche ancora là da venire. Questa forma narrativa risponde alle paure dell’uomo contemporaneo travolto da un mondo in trasformazione, in cui scienza e tecnologia concorrono a sfornare macchine e strumenti capaci di produrre cambiamenti sostanziali negli stili di vita e di fornire a potenziali aggressori, umani o alieni che siano, armi di distruzione apocalittiche.

La fantascienza è stata probabilmente la vera, grande, innovazione culturale del ventesimo secolo. Nata come segmento popolare, snobbata dalla cultura ‘alta’, e progressivamente arrivata ad affermarsi, nelle sue forme più mature, con opere ormai parte del mainstream culturale, letterario, cinematografico e televisivo.

La sua ricaduta più negativa, tuttavia, consiste nell’aver modellato una tale strabordante varietà di futuri fittizi da far letteralmente sparire, nell’immaginario collettivo, il futuro reale, o quantomeno un futuro ragionevolmente prevedibile. La pretesa capacità propria della ‘scienza narrata’ di sfornare innovazioni è ormai assurta a totale paradigma della realtà, sostituendosi alla concreta capacità predittiva della scienza vera e propria.

Così, ad esempio, sono più le persone convinte che in un futuro a breve termine guideranno automobili elettriche, o con motori ad acqua, di quelle consapevoli che l’esaurimento delle risorse produrrà, nel giro di pochi anni, il collasso dell’automobile come oggetto di massa (idea che comincia ormai a trapelare anche dalle dichiarazioni dei fabbricanti di autovetture).

O, per fare un altro esempio, che il livello di consumi attuale potrà proseguire indefinitamente (per non dire aumentare) grazie alla scoperta di nuovi giacimenti di petrolio e gas, o alla fusione fredda, o ad altre forme di produzione di energia ‘pulita’, in barba ai problemi reali come il riscaldamento globale, la perdita di fertilità dei suoli o l’inquinamento diffuso.

La fantascienza è sicuramente servita, nell’arco di molti decenni, ad allentare la tensione dalle paure e dalle angosce della cultura contemporanea, ma il prezzo che abbiamo pagato è consistito in un progressivo ed inarrestabile scollamento dalla realtà, nell’incapacità ormai diffusa di concepire un futuro verosimile e plausibile col quale misurarsi, per limitare i danni prodotti da decenni di scelte opportunistiche.

Il futuro che la scienza, la scienza vera, ci racconta ormai da tempo è un futuro di crisi a cascata, ognuna più grave e preoccupante dell’altra. E mentre noi sogniamo di viaggi interstellari e mondi immaginari continua a farsi più prossimo e spaventoso ad ogni giorno che passa.

14 pensieri su “L’invenzione di un futuro immaginario

  1. Un piccolo dibattito ha preso il via nello spazio dei commenti del blog di Ugo Bardi dove avevo linkato questo post (http://ugobardi.blogspot.it/2015/08/le-cat-di-andrea-rossi-la-lenta-morte.html). Aggiungo una mia ulteriore integrazione pubblicata lì.

    “Mi è difficile distinguere tra causa ed effetto, per cui non sarei così sicuro che la fantascienza abbia prodotto l’ossessione per il futuro, o non piuttosto il contrario. Più probabilmente sono due fenomeni che si sono alimentati a vicenda. Mi torna in mente sempre l’esperimento di Odds, coi topi che schiacciano il bottone che gli manda impulsi di piacere al cervello fino a morire di fame. Credo che la nascita dell’idea di futuro abbia rappresentato semplicemente la risposta ad un bisogno psicologico innato e preesistente, e perciò stesso una seduzione tale da diventare ben presto irresistibile. L’idea di futuro, dagli anni venti in poi, ha invaso tutti campi dello scibile, dalla letteratura alle arti grafiche passando per la musica. Abbiamo avuto il Futurismo, abbiamo avuto la musica elettronica, ed ogni successivo passaggio, ogni acquisizione, ogni mirabolante innovazione, non faceva altro che rafforzare la fede nella nuova religione consumista che aveva progressivamente preso le redini del mondo. Su una scala completamente diversa, ma non è un processo diverso dall’entusiasmo del ragazzo che spinge sull’acceleratore dell’automobile per raggiungere una velocità mai sperimentata prima, per godere del flusso di adrenalina e scoprire cosa di inaspettato può succedere. Il che, molto spesso, comporta la perdita del controllo del veicolo (la biosfera) e la morte del guidatore (l’umanità).”

  2. Caro Marco! A parte i tuoi interessanti pensieri e gli effetti della science fiction ho l’impressione che questa società sta utilizzando la parola futuro come una evocazione. Dappertutto lo si legge: Il tuo futuro in una casa moderna. Siamo noi il futuro. Il futuro della cucina. Decenni fa si parlava di Dio o della speranza, oggi si parla del futuro perché rimane nient’altro a dire. Siamo sempre su una strada verso un mondo migliore, ed i stupidi lo creano. Ciao saluti Manfred.

  3. Oltre alla sci-fi, a mio avviso ad averci viziato è stata l’ondata di gadget tecnologici e la loro rapida evoluzione. E’ come se avesse convinto molti che qualunque ostacolo potrà essere affrontato grazie ad analoghe ‘magie’…

    • No, perché le gesta di Ulisse non si svolgono nel futuro, fanno parte del passato (per quanto raccontate in un tempo presente soggettivo).

      Sul rapporto tra fantascienza e narrativa fantastica ho scritto altrove: https://mammiferobipede.wordpress.com/2009/04/02/la-fantascienza-non-esiste/

      Cit.: “La moderna “space opera” non fa che riscoprire il senso di fantastico che stava alla base dell’immaginifico viaggio di Ulisse nell’Odissea di Omero. I moderni alieni sono figli del ciclope Polifemo, delle Sirene, del Minotauro.”

      • Dunque niente fantascienza se non tratta del futuro. Quindi no Atlantide, alieni tra Atzechi e Sumeri, storie del passato in universi paralleli…

      • Il post è sull’idea di futuro. La fantascienza esprime un’idea di futuro, spesso, ma non necessariamente. L’Odissea non esprime un’idea di futuro o di progresso, è narrativa fantastica ambientata nel presente, come la gran parte della narrativa prima orale e poi scritta. Il primo viaggio sulla Luna viene raccontato nell’Orlando Furioso, ed avviene utilizzando un cavallo alato (preesistente). Differente è il cannone che “spara” i viaggiatori lunari di Verne, evoluzione (perfezionamento) di un’invenzione umana.

        Non vorrei far confusione tra i due terreni, né sposare un sillogismo “fantascienza”=”futuro”. Come ho scritto nel post linkato qui sopra (che ti invito a leggere, se non l’hai fatto) l’irruzione del pensiero scientifico nel bagaglio di conoscenze universalmente condiviso ha obbligato la narrativa fantastica ad adattarsi. Per cui nessuno ha, da un certo punto in poi, potuto più pensare di volare sulla Luna con un cavallo alato, in primis perché è risultato evidente che i cavalli alati non esistono da nessuna parte, in secondo luogo perché l’evoluzionismo darwiniano ne impedisce l’esistenza (https://mammiferobipede.wordpress.com/2013/05/01/darwin-i-tetrapodi-e-gli-angeli/), ed in terzo luogo perché non c’è aria tra la Terra e la Luna sulla quale le ali del cavallo alato possano far presa.

        Il che non ha impedito ai sognatori di immaginare di raggiungere la Luna, solo è stato necessario scendere a patti con le conoscenze del tempo ed immaginare come superarle. La scienza è stata quindi integrata nel racconto fantastico, spesso a fini puramente strumentali.

  4. Bella lì.Indicativamente ci sta: fantascienza e fantastico sono due mondi che ogni tanto si intersecano ma più spesso stanno ciascuno al suo posto, ci sta. Un po’ meno il fatto che fantascienza sia necessariamente futuro – a volte riscrive il passato per dare un’idea diversa del presente (e il futuro lo lascia al lettore) – raro anche questo ma succede (ad esempio…),
    Ciao
    🙂

    • Hai spostato il focus dall’idea di futuro alla fantascienza. Ok, pazienza.
      Il punto però è che il termine fantascienza è ambiguo. In parte (minoritaria) si tratta di “science fiction”, in parte (maggioritaria) di “science fantasy”.
      La “science fiction” parte da un’idea scientifica e ne analizza l’impatto sulla società. La “science fantasy” parte da possibilità che la scienza non è in grado di escludere ed inventa situazioni del tutto immaginarie.
      Le intelligenze artificiali sono “science fiction” (l’evoluzione delle tecnologie informatiche sembra andare in quella direzione).
      I viaggi nel tempo sono “science fantasy” (la scienza non ne ha ancora dimostrato la possibilità). I viaggi interstellari sono anch’essi “science fantasy”, così come tutta la “space opera”. Gli universi paralleli sono “science fantasy”. Gli individui con ‘superpoteri’ sono “science fantasy” a briglia sciolta, l’equivalente tecnologico della magia.

      Il punto chiave è che l’umanità ha bisogno di storie, ha bisogno di “fantastico”, ha bisogno di narrazione. In un mondo ormai noto fino all’ultima zolla di terra, mappato dai satelliti con una risoluzione prossima al metro, non è più possibile immaginare un viaggio verso l’ignoto. La narrativa ha dovuto trovare altre strade per incontrare l’ignoto. Strade anch’esse condizionate, direi obbligate, dalle conoscenze scientifiche, ed ha perciò chiamato queste storie “fantascienza”. Non potendo più immaginare incontri con creature semiumane sul pianeta (la definizione di cosa è umano e cosa no è un punto chiave in tutta la narrativa perché serve al lettore per definire il sé) è stata obbligata a spostare questi “incontri” nell’unico terreno ancora disponibile: il futuro (o il passato, ma un passato che per essere visitabile deve per necessità essere “il passato di un prossimo futuro” in cui il passato diventerà accessibile).

      Vabbé, mi sto dilungando troppo. 😉

      • “Il punto chiave è che l’umanità ha bisogno di storie, ha bisogno di “fantastico”, ha bisogno di narrazione. In un mondo ormai noto fino all’ultima zolla di terra, mappato dai satelliti con una risoluzione prossima al metro, non è più possibile immaginare un viaggio verso l’ignoto”

        Quoto la prima parte – le storie, il fantatico, la narrazione come esigenza umana – meno la seconda, che suona come “siccome conosciamo il mondo, non possiamo immaginare che, ad esempio, in un luogo imprecisato della terra ci sia un passaggio per un’altra dimensione”; mi pare ci sia differenza tra poter scoprire che una cosa – effettivamente – non esiste e non immaginare “come se” per quello.
        Sarebbe come dire che solo il non verificabile è fantascienza. Era questo per te?
        (Poi la mollo lì, eh?!)

      • “Sarebbe come dire che solo il non verificabile è fantascienza”

        Forse va fatto un passo indietro e ragionare su cosa sia scienza e cosa non lo sia. Ho provato a farlo tempo addietro, trovi qualcosa qui: https://mammiferobipede.wordpress.com/2008/01/30/non-scienza/
        In soldoni, la scienza non è il campo del ‘potrebbe essere’, ma qualcosa del tipo ‘osservo questo fenomeno che potrebbe avere delle conseguenze’.
        Tornando alla narrativa mi viene nettamente da distinguere tra quella che proietta in avanti le conoscenze attuali (narrativa d’anticipazione, come si usava dire tempo addietro) e quella che ‘inventa’ di sana pianta fenomeni nuovi col solo alibi che ‘non se ne è dimostrata l’impossibilità’.
        Quindi una storia ambientata in un futuro dove sono ormai evidenti ed irreparabili i danni del global warming (“Deserto d’acqua” di Ballard, per dire) è ‘narrativa d’anticipazione’ perché basata sulle attuali conoscenze. Star Trek o Stargate, al contrario, li classifico come ‘Fantasy (pseudo)scientifica’, per quanto godibilissima sul piano narrativo e spettacolare.

  5. Pingback: Un’etica per la decrescita | Il primo blog italiano sulla mamma di tutte le crisi

  6. Pingback: Strategie dissipative | Il primo blog italiano sulla mamma di tutte le crisi

Lascia un commento