Il paradosso del prigioniero

Si definisce “dilemma (o paradosso) del prigioniero” una situazione in cui, non potendo condividere e concordare con altri soggetti una soluzione ottimale, si finisce per cedere alla sfiducia ed adottare la soluzione peggiore possibile. Traggo la definizione classica da Wikipedia.

“Due criminali vengono accusati di aver commesso un reato. Gli investigatori li arrestano entrambi e li chiudono in due celle diverse, impedendo loro di comunicare. Ad ognuno di loro vengono date due scelte: confessare l’accaduto, oppure non confessare. Viene inoltre spiegato loro che:

  1. se solo uno dei due confessa, chi ha confessato evita la pena; l’altro viene però condannato a 7 anni di carcere.
  2. se entrambi confessano, vengono entrambi condannati a 6 anni.
  3. se nessuno dei due confessa, entrambi vengono condannati a 1 anno, perché comunque già colpevoli di porto abusivo di armi.”

La soluzione ottimale per entrambi sarebbe non confessare (1 anno), ma siccome questo non può essere concordato col complice, o non ci si può fidare di lui, allora la scelta probabilmente meno penalizzante diventa confessare (6 anni). Si giunge perciò al paradosso per cui si sceglie consciamente una pena maggiore della minima prevista, pur di non rischiare un ulteriore aggravio.

Uso spesso questo paradosso per spiegare come siamo arrivati all’invivibilità dei nostri centri urbani, alle code e alle congestioni da traffico che ci affliggono quotidianamente. Tutto nasce dal profondo individualismo che ci caratterizza come popolo, e dall’incapacità di una comunicazione orizzontale tra simili, completamente annientata dalla comunicazione verticale operata dai mass media.

In buona sostanza la soluzione migliore per gli spostamenti urbani è attrezzare una rete di mezzi pubblici efficiente e limitare al massimo l’utilizzo ed il possesso del mezzo privato mediante tassazione e/o la disponibilità di servizi quali il “car-sharing” diffuso. Questo equivale all’opzione “nessuno confessa” del paradosso, ovvero una soluzione collettivamente concertata che porti il massimo del risultato col minimo della spesa.

Purtroppo l’efficienza del trasporto pubblico entra direttamente in conflitto con il possesso diffuso di auto private. Il trasporto privato produce un’occupazione di spazi (vetture in movimento ed in sosta, spesso in doppia fila) incompatibile con un’efficiente gestione degli spazi urbani, e maggiormente penalizzante per il trasporto pubblico.

Trasporto autobus bici auto

Questa immagine illustra con evidenza il diverso ingombro in strada prodotto da uno stesso numero di persone quando si muovano in bici, automobile o in autobus… e non è esaustiva, perché al termine del trasporto le auto private e le biciclette devono occupare spazi di sosta, mentre il bus riprende il suo giro e non occupa spazi in permanenza. 

In buona sostanza, se non ci fosse trasporto privato, ma solo trasporto pubblico, potremmo percorrere uno stesso tragitto in 10 minuti, ma siccome tutti decidono, autonomamente, di acquistare un’automobile privata, allora tra il restringimento delle carreggiate prodotto dalle auto in sosta e l’intasamento prodotto da quelle in movimento si crea una condizione di ingorgo che fa allungare i tempi di percorrenza a 40 minuti per l’auto privata ed un’ora per il mezzo pubblico (penalizzato ulteriormente dalle dimensioni delle vetture e dalla necessità di effettuare fermate).

In questa condizione non c’è modo che il trasporto pubblico venga percepito come vantaggioso, di conseguenza gli utenti continuano a calare, l’introito dell’emissione di biglietti non è più sufficiente a coprire i costi di gestione e le aziende che lo gestiscono entrano in deficit.

Paradossalmente i costi (spesso occulti o non percepiti) di possesso, gestione e manutenzione dell’auto privata sono enormemente superiori a quelli connessi al trasporto pubblico, ma risultano in gran parte slegati rispetto all’utilizzo e legati al possesso. Nel momento in cui si accetta di possedere un’automobile il costo di percorrenza della singola tratta può risultare inferiore a quello necessario per l’accesso al trasporto pubblico (soprattutto a causa della levitazione del costo dei biglietti dovuta allo scarso utilizzo degli stessi).

Si arriva quindi alla paradossale conclusione per cui i tempi di percorrenza attuali, in città, pur effettuati con veicoli teoricamente capaci di velocità elevatissime, sono più lunghi di quelli che si registravano all’inizio del XX secolo, quando ci si spostava solo per mezzo di biciclette e tram elettrici. In compenso abbiamo riempito la città di scatoloni metallici a quattro ruote in sosta in ogni dove, e l’abbiamo resa pericolosa ed infruibile alle categorie più deboli, anziani e bambini in testa, oltreché ben più sporca ed inquinata.

Si poteva fare diversamente? Certo, e c’è chi l’ha fatto. Ci sono città dove il possesso dell’auto privata non è impedito, ma nemmeno incentivato come qui da noi (per fare un favore ai fabbricanti di automobili ed alle compagnie petrolifere). Città dove bisogna documentare che si dispone di un posto auto dove parcheggiare il veicolo, e la sosta in strada non è consentita.

Città dove i mezzi pubblici viaggiano puntuali, tanto che ci sono le tabelline con gli orari ad ogni fermata. Ed il servizio è a tal punto efficiente da consentire ad una buona percentuale di famiglie di non essere obbligate a possedere un’auto propria, rendendo disponibile un economico, capillare ed efficace servizio di car-sharing.

Non bisogna andare lontano, basta varcare un solo confine. Stanno in Svizzera.

Concludo con una fiaba cinese che porto con me dai tempi della scuola elementare. Parla di paradiso ed inferno, e di come la differenza tra i due possa dipendere unicamente dai nostri comportamenti e dalle nostre scelte quotidiane. E anche di come l’egoismo, in un contesto sociale, risulti dannoso.

“Un Mandarino cinese venuto a morte, mentre s’avviava al Paradiso, ebbe voglia di visitare l’Inferno. Fu accontentato e condotto al soggiorno dei dannati. Si trovò così in un’aula immensa, con tavole imbandite, su cui fumava, profumando l’aria, il cibo nazionale in enormi vassoi: il Riso, il diletto e benedetto Riso.

Attorno alle tavole sedevano innumerevoli persone, ciascuna munita di bacchette di bambù per portare il Riso alla bocca. Ogni bacchetta era lunga due metri e doveva essere impugnata a una estremità. Ma, data la lunghezza della bacchetta, i commensali, per quanto si affannassero, non riuscivano a portare il cibo alla bocca. Tutti erano furibondi, bestemmiavano e si affannavano, ma senza alcun risultato.

Colpito da quello spettacolo di fame nell’abbondanza, il Mandarino proseguì il suo cammino verso il soggiorno dei Beati. Ma quale non fu la sua sorpresa nel constatare che il Paradiso si presentava identico all’Inferno: un ampio locale con tavole imbandite, vassoi enormi di riso fumante, da mangiarsi con bacchette di bambù lunghe due metri, impugnate ad una estremità.

L’unica differenza stava nel fatto che ciascun commensale, anziché imboccare se stesso, dava da mangiare al commensale di fronte, di modo che tutti avevano modo di nutrirsi con piena soddisfazione e serenità.”

18 pensieri su “Il paradosso del prigioniero

  1. Ottimo articolo e morale finale efficace. Un appunto: “gli utenti (del trasporto pubblico) NON continuano a calare” sono aumentati a causa della crisi Essa motivata dalla fine del petrolio a 20$/barile. Quindi non la visione di lungo periodo ma quella di corto (portafoglio vuoto) ha rimesso i Romani sui mezzi ATAC. Compagnia che non può fare profitti e che non regge l’aumento degli utenti. Attenzione, il trasporto pubblico è caro, ha molta manutenzione e materiali costosi. Quindi rimettere i tram che hanno i minori costi variabili nel lungo periodo dovrebbe essere una priorità dei ciclisti romani.

    • Il trasporto pubblico è caro, ma sempre meno dell’auto privata, che ci mangia annualmente un quarto dello stipendio e collettivamente anche di più a causa dei costi sanitari “esternalizzati” sulla sanità pubblica. Ecco, sarebbe un’idea interessante incorporare i costi sanitari prodotti dalle automobili nell’assicurazione auto, e che lo stato si facesse versare dalle compagnie assicurative una cifra corrispondente alla spesa sanitaria per inquinamento ed incidentalità stradale.

  2. Concordo, ottimo articolo… unico appunto “Si arriva quindi alla paradossale conclusione per cui i tempi di percorrenza attuali, in città, effettuati con veicoli teoricamente capaci di velocità elevatissime, sono più lunghi di quelli di inizio secolo”, sì ma del secolo scorso, orami abbiamo scavallato il XX sec. da un po’ 😉

  3. Il trasporto pubblico non può essere considerato un’azienda che deve fare profitti, il ricavo della vendita dei biglietti non supera mai in media il 30% del costo di gestione, tutto il resto viene sempre coperto dai soldi pubblici, e dev’essere così perchè si tratta appunto di servizio pubblico, finanziato dalle tasse dei cittadini, al limite in diverse città nel mondo tale servizio è addirittura gratuito.

    • Infatti i costi vanno distribuiti, in parte sulla collettività per quanto riguarda la disponibilità del servizio, in parte sull’utenza per quanto riguarda la fruizione diretta. Tutti devono pagare per avere l’autobus a disposizione, ma chi lo usa realmente, anche più volte al giorno, è giusto che paghi un po’ di più.

    • Sicuramente l’automobile ha rappresentato, per molti, una forma di riscatto sociale ed è ancor oggi uno dei più potenti “status symbol”collettivamente acclarati. Ma, appunto, c’è quello che si mostra e quello che si nasconde. Nelle pubblicità di automobili non vengono mai mostrati ingorghi e code, ma sempre automobili che viaggiano libere in spazi (semi)incontaminati. C’è una potente mistificazione in questo, dato che l’automobile viene venduta con una “promessa di libertà” che è l’automobile stessa, o meglio la sua diffusione di massa, a negare.

  4. Mi muovo praticamente sempre in moto,sono un appassionato e non vedo perche’ dovrei prendere l’autobus come un ragazzino.Come gia’ detto il trasporto pubblico e’ un pozzo senza fondo,vive di soldi pubblici altrimenti tutte le societa’ chiuderebbero domani mattina.Senza contributi di regioni e Stato pagheresti una corsa urbana 10 euro,altro che costi della benzina e dell’auto.

    • Facciamo una bella cosa allora, cominciamo a tassare i mezzi privati in base al costo che producono sulla sanità pubblica e vediamo se dopo conviene ancora andare in giro in auto o in motocicletta.

      P.s.: goditi la tua moto finché c’è benzina a basso costo, scommetto che ne avrai ancora per meno di dieci anni…

  5. Ah si ? e tutta quella gente che si guadagna da vivere con il mondo dell’auto che fa va a vendere i biglietti per il tram ? sinceramente potete tassare quando volete le auto ma dietro all’auto c’è un mondo di soldi e passione che non finirà mai.La sensazione di guidare non potrà mai essere equiparata dal stare seduti su un qualcosa senza avere cosa fare ed aspettare che si arrivi a destinazione.Esiste la costituzione che sancisce la libertà di espressione e formazione della persona quindi se voi non amate le auto benvenga prendete il tram , un’incapace al volante in meno , ma per chi non vede le auto solo come una”scatola metallica” è libero di comprarsi con i propri soldi l’auto che vuole e girarci quanto vuole

    • Devi essere molto giovane per maneggiare con tanta disinvoltura l’idea di “non finirà mai”. Incidentalmente non si può avallare tale tesi senza immaginare un mondo totalmente statico, cosa che il nostro non è.
      Il “mondo di soldi e passione” che gira intorno all’automobile è un’invenzione recente, e IMHO farà la stessa fine dei “mondi di soldi e passione” che giravano intorno ai combattimenti dei gladiatori, alle corse di bighe, ai tornei medioevali, alle corse di cavalli nei secoli passati.

      Approfondimenti:
      In riva al fiume della vita
      Un mondo senza automobili

      P.s.: anche l’idea che chi non ami le automobili sia “un incapace al volante” è farlocca. Stai parlando con uno che ha superato i 90km/h in bicicletta, e ti garantisco che un conto è stare chiuso dentro un abitacolo poggiato su quattro ruote con airbag e barre anti intrusione, un altro è stare aggrappato ad un arnese di tubi d’alluminio del peso di 11kg che poggia su due copertoncini sottili, con l’aria che ti sferza la faccia… o scendere su sentieri sconnessi con una bici da freeride…

      La guida dell’automobile, anche a velocità sostenute, è una faccenda mortalmente noiosa… preferisco starmene seduto in treno a leggere un buon libro. 😉

  6. Hai pienamente ragione sul articolo. Io ho una machina del 99 e sara anche l’ultima, perche adoro la bici. Trovo che il trasporto pubblico sia migliore anche per il rilassarsi ma anche per fare compagnia.

  7. In definitiva, qualcuno di voi che scrivete e leggete mi sa dire quanto spende la pubblica amministrazione italiana per mantenere parcheggi, strade ed autostrade?

    E se non trovate cifre attendibili, sapete dirmi come mai non riuscite a trovarle? Comunque bell’articolo, molo bello.

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  9. Mah, sul feticismo italico nei confronti dell’auto sono la psicologia e la sociologia che possono fornire spiegazioni di questa patologia qui peraltro eccellentemente analizzata.
    Io ho avuto discussioni accesissime perfino con alcune mie compagne che soffrivano senza accorgersene dell’essere diventate appendici della loro scatoletta su quattro ruote e ho la mia sezione su questa follia sociale, su questa assurdità in grande scala che arriva ovviamente ad alimentare una delle peggiori forme di antipolitica – peraltro molto democratico-demagogica – quella dell'(im)mobilità privata.
    Il problema è proprio che alcune inclinazioni dovute alla biologia evolutiva, altre della nostra cultura italica ostile al bene comune, altre ancora dovute alla sottile e continua programmazione consumista delle menti, ha prodotto la follia attuale.
    Sempre a proposito di Homo Stupidus ufficialmente noto come Sapiens.

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