Anche se voi vi sentite assolti

Oggi pomeriggio è morta una ragazza di 22 anni, in bicicletta. Stava attraversando un semaforo col verde quando una Smart, arrivando a forte velocità ed ignorando il rosso, l’ha uccisa sul colpo. Un incidente? No.

Un incidente è, per definizione, qualcosa di imprevedibile. Qui l’unica cosa imprevedibile è il “chi”, il “dove”, il “quando”, ma di certo non il numero di morti, che di anno in anno continua a salire. Quello che non si sa è se la prossima volta toccherà a me, a te che leggi, a qualcuno che conosciamo o a qualche sconosciuto, se sarà nella mia o nella tua città, o da qualche altra parte, se sarà domani o dopodomani.

Quello che si sa per certo è che nel Far-West delle strade italiane, parafrasando Sergio Leone, “Quando un uomo con l’automobile impatta un uomo con la bicicletta, l’uomo con la bicicletta è un uomo morto”. Quello che si sa per certo è che alla fine dell’anno più di mille persone in Italia, ciclisti e pedoni, avranno perso la vita perché qualcuno aveva troppa fretta, era in ritardo, non li ha visti, si è distratto, parlava al cellulare, era stanco…

Questo è quanto riferisce l’ASAPS. “Sul totale di vittime della strada il 50% sono pedoni e ciclisti: a Roma muore un ciclista a settimana. la percentuale di decessi per un passante coinvolto in un incidente raggiunge quasi il doppio rispetto alla media italiana: il 28% rispetto al 15%”.

Sono morti già decisi, già accettati, metabolizzati, vittime sacrificali di un modello di mobilità delirante come non si era mai visto prima nella storia dell’umanità. Fremiamo di sdegno per la crudeltà dei sacrifici umani degli Aztechi, ma siamo incapaci di vedere le nostre vittime, sacrificate sull’altare della divinità automobile. Morti talmente prevedibili che qualcuno ci ha fatto un contatore, e potete star sicuri che sbaglierà solo di poche unità.

Chiedo perciò a tutti quelli/e che leggeranno questo mio post un rapido esame di coscienza, perché ad una situazione del genere non si arriva senza l’accettazione passiva, la connivenza, la complicità di un’intera popolazione. Chiedo, a tutti quelli che leggeranno, cosa abbiano mai fatto per ribellarsi a questo stillicidio di vittime inermi, se mai abbiano provato a reagire in un qualsiasi modo, a ribellarsi a questa strage, o si siano sempre limitati a girarsi dall’altra parte, a scuotere la testa, a distogliere lo sguardo. Perché in quest’ultimo caso prenderò a prestito le parole di un grande poeta dei nostri tempi per dire “anche se voi vi sentite assolti, siete lo stesso coinvolti”.

 

Qualcosa si sta agitando, da un mese a questa parte, per risvegliare questo paese vecchio e abulico dal letargo pluridecennale in cui versa. Ci trovate su Facebook nel gruppo “Salviamo i ciclisti”. Aderire non vi costa nulla… non vi laverà la coscienza ma almeno una briciola di sforzo potrete dire di averlo fatto.

12 pensieri su “Anche se voi vi sentite assolti

  1. il punto è un’altro…
    Attualmente faccio l’autista per professione, per anni sono stato istruttore di scuola guida e a tutt’oggi collaboro con un cosorzio di scuole guida, e viaggio in moto 365 giorni l’anno.
    Per lo 0,1 % dei pedoni e dei ciclisti che rispettano il codice, da oltre 15 anni, 365 giorni l’anno il restante 99,9% di pedoni e ciclisti dimenticano che il codice della strada vige anche per loro… che il rosso è rosso e basta non di altri colori, che se attraversi la strada lo devi fare sui passaggi pedonali e ciclabili e devi guardare attentamente e più volte da entrambi i sensi di circolazione, che un veicolo che viaggia a 50 km/h vuol dire che sta percorrendo 50mila metri in un ora, e frenare richiede spazio, quindi non ci si può lanciare all’improvviso. I marciapiedi sono fatti per i pedoni e non per le biciclette, che, in assenza di piste ciclabili, DEVONO viaggiare sulla strada rispettando i sensi di marcia e non contromano, rispettare stop e precedenze.
    Quando sarà istituita una targa e un patentino anche per i velocipedi allora si potrà ragionare sui termini della sicurezza per i soggetti più esposti.

    • Maurizio, io provo pena per te, onestamente.

      Provo pena per la tua incapacità di comprendere una tragedia come quella di ieri, provo pena per la fretta di giustificarti, di autoassolverti, assieme ad un’intera categoria. Il punto è sempre “un altro”, il problema è sempre “da un’altra parte”, la colpa è sempre “di qualcun altro”, la responsabilità è di chi non accetta un’organizzazione sociale demente e criminale che a furia di piantarcela in testa per decenni ci hanno fatto sembrare normale.

      Io non ce l’ho con gli automobilisti come categoria, sia ben chiaro, ce l’ho con gli automobilisti che si bevono acriticamente i condizionamenti mentali della pubblicità, quelli che pensano che il semplice fatto di fare sacrifici per comprarsi un’automobile e sopportare lo stress di guidarla dia loro il diritto di possedere la strada.

      Non pretendo nemmeno che tu sia in grado dall’oggi al domani di liberarti di condizionamenti nei quali sei cresciuto, ma pensa solo questo: in un secolo o poco meno abbiamo riempito le strade delle nostre città di mostri rombanti e trita-gente, abbiamo ridotto i nostri bambini al terrore di attraversare la strada, abbiamo ridotto le nostre città ad un incubo come mai si era visto prima nella storia dell’umanità. E questo non era obbligatorio, non era nemmeno necessario, è così solo perché lo abbiamo scelto, come sfogo alla nostra innata aggressività.

      E anche se tu vuoi sentirti assolto, non lo sei.

    • Maurizio,

      sono parte del 99.9% dei ciclisti che non rispetta il codice della strada. E sono certo tu sia uno del diciamo 30% di automobilisti che lo rispettano. Vorrei solo spiegarti perché non lo rispetto, o meglio perché non lo rispettavo prima di venire a vivere in Germania, e del perché qui lo rispetto.

      Io non rispettavo il codice, in Italia, per restare vivo. Ne avevo uno mio di codice: niente contromano, niente marciapiedi (si va troppo piano ed è troppo pericoloso per sé e per gli altri); il rosso è del tutto relativo, e se posso anticipo il verde, sempre, in tutti gli incroci; non sto a destra sempre, ma a volte mi prendo il centro della strada; risalgo le code di auto, sempre, per portarmi in prima posizione per il verde; prendo le ciclabili solo quando sono sensate e segnalate, e non disegnate da un pazzo che no ha mai messo piede su una bici. Aspettare il verde e stare a destra può voler dire essere schiacciato da macchine che girano a destra, senza vederti (successo). Stare troppo a destra, può voler dire essere presi a sportellate da chi esce dall’auto, senza vederti (successo). Oppure dover deviare sempre per evitare auto in doppia fila, con il rischio di finire incastrato nelle rotaie del tram (Torino, successo). Anticipare le auto è necessario, perché se loro anticipano te, data la massa e la velocità, hai perso. E se solo ti toccano, o hai terribilmente fortuna come me, o sei morto. Nel senso proprio morto, non ci sei più, e non importa se il guidatore non ti aveva visto, era in buona fede, stava parlando al cellulare per una cosa importante, o altro. E’ proprio che sei morto.

      In Germania sto a destra, non passo mai con il rosso, seguo le ciclabili, e continuo a evitare marciapiedi e contromano. Perché? perché gli automobilisti mi vedono, sanno che esisto, mi danno la precedenza se devono girare a destra e io vado dritto, vanno piano quando devono, e non stanno al cellulare. Capitano incidenti anche qui, ma mi sento rispettato, non rischio la vita, e rispetto il codice. In altre parole: lo rispetto perché lo rispettano loro.

      Perché vedi, ci sono vasi di ferro e vasi di coccio. E io e gli altri che decidono di usare la bici, o andare a piedi, nelle nostre città, sono un vaso di coccio. In Italia l’unico modo per difendermi è o lasciare la bici, prendere una corazza anch’io, e buttarmi con gli altri nel traffico di vasi di ferro; oppure crearmi le mie regole che mi permettano di sopravvivere. Io voglio andare in bicicletta, perché mi piace, perché è bello, perché è sano, perché si respira e si sentono i rumori, perché è gratis, perché si fa prima… ma in Italia per fare questo rischio la vita. Tutti i giorni.

      Il che va anche benissimo, decidiamoci. Vogliamo delle regole che vadano bene per i vasi di ferro, e proibire i vasi di coccio: benissimo. Accomodatevi in una società dove, dato che è rischioso andare in bici, lo si proibisce; dove i nostri figli devono girare corazzati per non soccombere. A me non piace: io preferisco una società dove ciascuno sia libero di essere di coccio di latta di ferro di spugna, lasciando vivere gli altri. Si può fare: servono delle regole, e serve la coscienza di rispettarle. Serve che chi sale in auto rallenti quando vede pedoni attraversare, e non che faccia finta di nulla e tiri dritto. Sono persone, come te: io quando attraverso la strada (sulle strisce) in Italia guardo negli occhi il guidatore, ma quelli guardano sempre altrove, e accelerano. E serve anche che chi va in bici rispetti il codice, su questo hai ragione.

      Ma non finché rispettandolo muoio, perché ci sono vasi di ferro per cui non esisto.

      @marcopie: scusa commento lunghissimo, grazie per lo spazio, e per il post. Da ex ciclista romano, piango per Alice, e per Eva, e per tutti gli altri schiacciati della nostra civilissima capitale.

  2. Se mi è permesso, condividendo in parte l’espressione di Filippo riguardo la “disinvoltura” di Smart troppo veloci e l’arroganza di SUV troppo e basta, non ritengo che Maurizio abbia fatto un ragionamento sbagliato e tantomeno da cretino, epiteto che qualifica più chi lo fa, ovviamente. Anche questo “atteggiamento di giudice assoluto e detentore della verità” dell’autore del post, mi sembra patetico. Nessuno conosce come si siano svolti i fatti con precisione, soprattutto sono discordanti le testimonianze sul colore del semaforo al momento dell’incidente, quindi giudizi “a prescindere” preconcetti e fondamentalisti sarebbero da evitare. Il fatto che il ciclista sia il più “la pistola” e l’automobilista “il fucile” la dice lunga su come la pensa l’autore. Mi piacerebbe sapere cos’è un tir rispetto a un automobile, perché di automobilisti ammazzati ce ne sono a centinaia. Maurizio non ha torto, come non ha torto il blogger di questo post, perché in entrambi ci sono aspetti di verità. Generalizzare in categorie, santificando l’una e demonizzando l’altra, è sbagliato, pretestuoso e negativo per la soluzione di qualsiasi problema relativo alla sicurezza sulla strada, anche e soprattutto a tutela dei più a rischio come pedoni e ciclisti. Ammesso che soluzioni si cerchino e che il tutto non sia un atteggiamento da “castigat mores” in cerca di consensi facili.
    Un caro saluto
    Giancarlo

    • Giancarlo, se volevi essere irritante ci sei riuscito. Intanto non si capisce a chi ti rivolgi, se a me (definito “l’autore”, come se il fatto di ospitare i tuoi commenti nel mio blog fosse una cosa dovuta, che ti spetta di diritto) o ad una ipotetica platea. Poi mi dai del “patetico” (e vabbé, per solito si offende quando non si hanno argomenti da portare)… Insomma, sforzi per renderti simpatico non ne fai.

      Cosa sono i Tir nei confronti delle automobili? Carri armati, se vogliamo proseguire nel paragone. Anni fa l’Austria provò a bandirli dal proprio territorio trasferendo tutto il trasporto merci su ferro, facendo viaggiare i container di notte da una frontiera all’altra. Tutto molto bello finché l’Unione Europea li minacciò di sanzioni dato che si opponevano alla “libera circolazione”. Ti risulta che gli automobilisti si siano mai mobilitati per ottenere un provvedimento analogo in Italia? A me no.

      Le soluzioni ci sono, e sono quelle che hanno adottato paesi più avanzati del nostro: ricollocazione modale del trasporto, più mezzi pubblici, più trasporto collettivo, meno automobili, disincentivazione del trasporto privato a motore ed incentivazione degli spostamenti in bicicletta per mezzo di strade modellate sulle esigenze di sicurezza dei ciclisti, con rallentatori passivi al posto della mera segnaletica che nessuno rispetta e nessuno vuol far rispettare.

      La questione è se ci interessa riallinearci sullo standard dei paesi civili o inseguire le forme di mobilità proprie del vicino nordafrica. Anche perché, e questa è una notizia ufficiosa che mi è giunta oggi, il ministero del turismo francese ha in mente di investire qualche miliardo di euro per fare della Francia il paese capofila per il turismo in bicicletta. Loro guardano avanti, a quando l’automobile tornerà ad essere un lusso per pochi. Noi, culturalmente siamo rimasti a Tazio Nuvolari.

    • Ecco, credi male.
      Se pensi di venire qui ad offendere senza portare alcun argomento ti sbagli di grosso.
      Ho letto la tua risposta e l’ho trovata inutile ed offensiva, quindi, se ci tieni tanto a quelli che ritieni (a torto) ragionamenti brillanti, fatteli sugli spazi tuoi dove sicuramente non verrò a contraddirti.
      A buon intenditor…

  3. Il concetto che sfugge alla maggior parte dei “benpensanti” motorizzati è che i ciclisti hanno ragione A PRESCINDERE, perché si muovono con le proprie forze. Mentre di fatto sono una “razza” inferiore, schiacciata e ghettizzata in penose piste ciclabili. Io mi siedo sulla riva del fiume ad aspettare il crollo definitivo di quella che viene definita “società”. E la benzina a 10 Euro al litro.

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