Leggi e legalità

La percezione diffusa è che in questo paese si tenda a non rispettare troppo leggi e legalità. Credo sia il caso di proporre una riflessione sul senso generale delle leggi, la loro origine, evoluzione e la situazione attuale.

Le leggi originano dall’esigenza di gestire il relazionamento reciproco tra gli individui che fanno parte di un gruppo. Finché i gruppi umani sono stati composti di poche decine di individui, in un’epoca in cui la scrittura ancora non esisteva, le leggi risultavano strutturalmente molto semplici e fornivano principalmente indicazioni di massima. I Dieci Comandamenti della tradizione biblica, condivisi da piccole tribù nomadi dedite alla pastorizia, appartengono a questa prima fase della storia umana.

Nate con lo scopo di ottimizzare il funzionamento delle comunità, evitando attriti tra i vari membri, le leggi ottengono il massimo del rispetto e dell’attenzione nel discendere da un dettato divino, di modo che la punizione per l’eventuale mancato rispetto non sia limitata all’arco della vita umana o alla scoperta dell’infrazione.

Con l’invenzione dell’agricoltura, seguita a breve dalla scrittura, dalla crescita in dimensioni delle comunità, dalla diffusione del commercio e dalla nascita di città stato si sviluppa l’esigenza di regolamentare una maggior varietà di comportamenti per mezzo di un corpus legislativo più vasto ed esteso. In questa fase compare, primo tra quelli documentati, il codice del re babilonese Hamurrabi.

Nell’arco di diversi millenni leggi e regolamenti si adattano ed evolvono passando attraverso la Grecia del periodo classico, con l’invenzione della democrazia, il ‘Diritto Romano’ di epoca imperiale, la Magna Charta medioevale, subendo una massiccia influenza da parte della dottrina cristiana.

Il cristianesimo, in quanto religione dominante nell’Europa medioevale, si occupa dell’investitura religiosa dei monarchi, garantendo la continuità della volontà divina nelle organizzazioni umane, nelle strutture gerarchiche e nobiliari e riservando per sé la parola definitiva sull’ubbidienza o meno ai singoli regnanti per mezzo dello strumento della scomunica.

Il successivo snodo chiave nell’evoluzione della civiltà è rappresentato dalla nascita del pensiero scientifico. Il pensiero scientifico elimina la necessità di una divinità come origine della realtà fattuale, producendo una descrizione del mondo essenzialmente in termini di rapporti di causa-effetto.

La rivoluzione scientifica produce altresì uno sconvolgimento totale nelle relazioni umane inventando nuove maniere di produzione della ricchezza, sotto forma di oggetti e cibo, quindi l’ascesa di un nuovo strato sociale: la borghesia. Lentamente ma inesorabilmente il vecchio ordine gestito da clero e nobiltà, legati in un rapporto di mutua legittimazione, è obbligato a far spazio al nuovo ceto mercantile ed imprenditoriale ed alle sue esigenze.

In questa fase storica cominciano a cadere le monarchie legittimate dall’investitura divina ed a nascere stati moderni caratterizzati da costituzioni formalmente laiche e metodi elettivi democratici. I corpus legislativi smettono quindi di discendere da leggi divine e tentano di adattarsi alla nuova visione del mondo che si inizia a delineare.

È abbastanza evidente la parabola che parte da leggi semplici volte a migliorare la vita di piccole comunità, prosegue con leggi complesse emanate da organismi nazionali e sovranazionali (città stato, poi regni, nazioni ed imperi) principalmente orientare alla prosperità degli stessi più che al benessere dei cittadini, e si conclude con ordinamenti emanati a tutela dei nuovi assetti di potere, industriali, economici e commerciali.

All’interno di questo processo, ancora in divenire, le iniziali considerazioni di natura etico-religiosa all’origine dei primi corpus legislativi vengono progressivamente sostituite dai desiderata dei gruppi di potere industriali e commerciali, cui la classe politica è diretta emanazione principalmente in virtù dei flussi di denaro richiesti dall’esistenza in essere dei partiti.

In questo scenario le istituzioni religiose (ormai secolarizzate) conservano ancora potere ed influenza, diverse da nazione a nazione, e riescono ad orientare le scelte politiche, avendo però progressivamente perso per strada buona parte dell’afflato etico e mirando principalmente alla propria autoconservazione.

I codici legislativi ‘ibridi’ degli ultimi due o tre secoli riflettono questa trasformazione. Da un lato le istanze etiche necessarie alla coesione sociale vengono conservate (pur se progressivamente erose) dall’altro devono far spazio alle esigenze dei conglomerati produttivi e commerciali transnazionali, che in una situazione di sovrappopolazione generalizzata hanno sempre meno necessità di preservare le condizioni di salute e benessere della forza lavoro.

In questa ‘terra di mezzo’ il confine tra legale ed illegale diventa molto indistinto. Da un lato l’uccisione diretta rimane reato, dall’altro causare la morte per malattia di un numero anche elevato di persone (p.e. per inquinamento o incidentalità) viene considerato in qualche misura accettabile e diluito all’interno di legislazioni che rendono complicata l’individuazione delle responsabilità.

Prodotti di larga diffusione e consumo sono universalmente riconosciuti come causa di morte, ferimento e danneggiamento collettivo (le automobili in tutto il mondo, le armi in determinati paesi), ma il conflitto tra gli interessi della collettività e quelli dei gruppi industriali produce confini legislativi molto confusi, che vengono ulteriormente diluiti dalla leva economica sui singoli poteri locali e dalla propaganda pubblicitaria.

Ancora più ambigua la situazione del mercato della droga, come di buona parte delle economie criminali. Da un lato c’è il danno economico-sanitario inflitto alla collettività, dall’altro l’enorme indotto economico che questa forma di economia produce grazie alla dipendenza che crea nei propri clienti. Un’azione seriamente incisiva sul piano legale produrrebbe l’azzeramento del fenomeno, parallelamente all’azzeramento dell’indotto.

Si opta quindi per mantenere l’intero settore in uno stato di semi-illegalità, dove lo spaccio è vietato e (almeno in teoria) legalmente perseguito, mentre il possesso ed uso personale non lo sono. Questo sistema consente di massimizzare il ritorno economico per i trafficanti ed al contempo scaricare sulla collettività tutti i costi connessi.

Per contro, legalizzare il commercio di sostanze stupefacenti obbligherebbe ad una calmierazione dei costi e, parallelamente costringerebbe il commercio di dette sostanze a farsi carico delle ricadute economiche negative, portando ad un innalzamento dei prezzi al consumo, ad una riduzione della portata complessiva di tale mercato e ad un abbattimento dei ritorni netti per i gestori.

Situazione analoga a quanto avviene per le sigarette, che non vengono classificate tra le sostanze psicotrope nonostante sia scientificamente dimostrato da decenni l’effetto di dipendenza indotto dalla nicotina. Il fumo aumenta l’incidenza di tumori, la popolazione ne è a conoscenza e questo si ripercuote su una maggior tassazione del prodotto al consumo e su un conseguente minor indotto commerciale.

Allo stesso modo il mercato dell’automobile è talmente forte, economicamente e culturalmente, da imporre situazioni di sostanziale ‘sospensione della legalità’ laddove gli interessi della collettività finiscano a confliggere con quelli dell’industria dell’auto. È il caso del sovraffollamento di automobili nei centri urbani, che induce degrado della qualità della vita, stress ed incremento dell’incidentalità.

È dimostrabile come la diffusione in questo contesto di forme di micro-illegalità non perseguite nell’arco di decenni abbia portato da un lato alla ‘normalizzazione’ di comportamenti che formalmente il CDS considera tutt’ora illegali e sanzionabili (come la sosta d’intralcio, in doppia fila, sui marciapiedi, sugli scivoli per disabili, sulle strisce pedonali, su spazi teoricamente destinati a tutt’altro), dall’altro una massimizzazione dei profitti, delle case automobilistiche in termini di vetture vendute e del comparto petrolifero in termini di consumi.

Tuttavia né il processo di adeguamento del corpus legislativo ai desiderata del comparto industriale, né l’illegalità tollerata e nella pratica indotta, trovano riscontro in una percezione collettiva di tali trasformazioni. Leggi e normative vengono ancora ritenute insindacabilmente giuste, ed il loro rispetto o trasgressione attribuiti alla ‘libera scelta’ dei singoli individui, anziché ad un processo indotto su larga scala.

Un processo, come abbiamo detto, ‘indotto’ ma non necessariamente organizzato, bensì risultante dalla somma di innumerevoli micro-egoismi individuali e dall’onnipresente avidità predatoria di un ‘mercato’ che ha progressivamente eroso i vincoli etico-morali all’interno dei quali, fin da epoche remote, le filosofie di ispirazione ebraico-cristiana l’avevano confinato.

Tanto i ‘Comandamenti’ dell’antichità, definiti da popolazioni in perenne conflitto con la scarsità di risorse e bisognose della massima coesione, formulavano indicazioni nette ed inevadibili, tanto le legislazioni attuali, figlie dell’abbondanza, dell’opulenza e dell’avidità, appaiono ambigue, confuse ed esposte a molteplici forme di arbitrio.

3 pensieri su “Leggi e legalità

  1. Allego un commento scritto in risposta ad una discussione sul declino della “verità” (e conseguentemente della fiducia nelle istituzioni contemporanee) che mi pare un tema attinente:

    “Il punto è che come uomini di scienza tendiamo a considerare la verità un valore assoluto, mentre per la politica, che governa il mondo, la verità è semplicemente uno strumento di potere che può essere amministrato: rilasciato pubblicamente, venduto, comprato, negato, falsificato. Più verità possiedi, più potere hai, meno ne hanno gli altri. Per questo anche fare in modo che gli altri abbiano meno conoscenza di te diventa una forma di potere, di controllo.

    In questi ultimi tempi vado strutturando una visione semplificata del mondo. Abbiamo da un lato il ‘mondo arcaico’: i cacciatori-raccoglitori, il contatto diretto con la realtà, gruppi umani poco numerosi, conoscenza reciproca, scarsità di beni, prevalenza della cooperazione. Questo mondo ha prodotto le grandi religioni, le prime leggi, un’etica solidale, perché obbligato dal contesto orientato alla sopravvivenza.

    In contrapposizione al ‘mondo arcaico’ c’è il ‘mondo moderno’: abbondanza di beni e risorse, complessità, sovrappopolazione, alienazione, prevalenza della competizione. Questo mondo deriva da quello precedente, ne conserva ancora buona parte dei modelli etici, ma fatica ad applicarli perché non funzionano più. L’etica cooperativa, la condivisione del sapere, nella società contemporanea non producono più vantaggi perché la sopravvivenza è garantita mentre solo l’accumulo di beni e ricchezze è opzionale. Solo il potere ed il controllo sui propri simili è (può essere) un obiettivo percorribile.

    Purtroppo è una conclusione sconfortante: l’umanità è in grado di riscoprire i vantaggi della cooperazione, e tutto l’impianto etico connesso, solo in tempi di scarsità. Tempi che sicuramente arriveranno. Forse anche non molto in là con gli anni.”

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