Cyborg di tutto il mondo, unitevi!

Ieri sera, nel corso della mia quotidiana “raccolta differenziata di feed” (trad: consultando l’aggregatore per verificare quanto di nuovo fosse stato pubblicato sui Blog che seguo con assiduità) mi ha stupito molto ritrovarmi citato in “Bici Metropolitana” quale teorizzatore/capostipite di una nuova forma di umanità: il ciclista-cyborg!

Devo dire che la nuova “specie”, seppur agguerrita, stenta a ricavarsi il necessario spazio vitale in un mondo costruito per altre “creature d’allevamento”… La sua indole selvatica e randagia, tuttavia, ben promette per quanto riguarda la sopravvivenza a condizioni ben più disagevoli delle attuali. Tutto questo parlare di Cyborg mi ha fatto tornare in mente un pezzo scritto molti anni addietro, purtroppo non più reperibile in rete: L’umanoide.

Nel febbraio del 2000, tale Massimo Gramellini scrisse per il quotidiano “La Stampa” di Torino (Fiat, non a caso) un allucinante editoriale sulle neonate “Domeniche ecologiche” in cui qualunquismo e beceraggine si mescolavano in un abbraccio indissolubile alla dipendenza psicologica pressoché totale dall’automobile.

Dopo il primo shock iniziale, l’articolo mi suggerì un’allucinata visione di un povero cyborg “uomo-automobile”, allevato, fin dalla nascita, per un folle esperimento. Un individuo fisicamente connesso ad un veicolo a quattro ruote, che si ritrova per un solo giorno a vivere nel “mondo esterno”, privo di esoscheletro e di tutte le certezze che la sua condizione gli aveva sempre dato.

Per completezza, il racconto viene fornito, a mo’ di “traduzione”, all’interno dell’articolo originario.


L’UMANOIDE
di Marco Pierfranceschi

(ispirato dall’articolo SCENE DALLA DOMENICA SENZA AUTO
di Massimo Gramellini  – La Stampa – 7 Febbraio 2000)

ROMA – E’ stata una domenica bellissima. Un po’ finta, un po’ rétro. Diciamola tutta: un po’ triste. E’ che noi umanoidi del Duemila siamo fatti così: ci roviniamo i polmoni e il fegato dentro ingorghi tentacolari, ma se passa una carrozzella trainata da un cavallo non pensiamo al paradiso terrestre, ma a una carestia.

Traduzione: Da quando il capo del progetto “Integrauto”, il dottor Franco Staino, mi ha separato chirurgicamente dall’involucro di acciaio elettrosaldato nel quale sono cresciuto ho crisi di panico. D’altro canto noi umanoidi sperimentali del duemila siamo fatti così, ci crescono e ci educano con un’interfaccia veicolare, e quando ce la tolgono, per valutare le nostre capacità di sopravvivenza in un ambiente ostile, non possiamo prenderla alla leggera: ci viene il terrore. D’altro canto troppe speranze sono concentrate su di me, non posso deluderli!


E’ una colpa grave, la nostra, e speriamo che la rieducazione a cui il governo ha cominciato da ieri a sottoporci sortisca l’effetto voluto. Non è un sacrificio, ma una gioia e ci faremo presto l’abitudine, lo ha detto anche la signorina dei Verdi, Grazia Francescato. Specie se in questa opera di riconversione dal consumismo al medioevo ci verrà consentito di vedere ogni tanto qualche negozio aperto, bagliori di un mondo perverso che promettiamo comunque di abbandonare.

Trad.: Il dottore mi ha spiegato che il governo del paese è in mano ad una banda di Talebani, che vogliono reintrodurre le pene corporali come camminare, respirare ossigeno, guardare il cielo blu, e io gli credo. So di essere la punta di diamante di questo esperimento teso a salvare l’umanità dalla regressione, e farò il mio dovere, costi quel che costi.


Che l’auto fosse diventata una strega, bisognava innanzitutto spiegarlo ai bambini. «Oggi facciamo un gioco nuovo, ragazzi. Giochiamo a che le automobili non ci sono più». «T’hanno rubato la macchina, papà?». Il cinismo delle nuove generazioni flessibili. «Ma che rubata! E’ che oggi non si può usare. Vie-ta-ta». «Come gli striscioni con le parolacce?». Già.

Trad.: Mi è stato spiegato che fuori non vedrò le svastiche e le croci celtiche che mi sono tanto familiari qui, nei locali del laboratorio segreto, perché la dittatura comunist-catto-giudo-ambient-demo-plutocratica le vieta. Continuo a ripetermi che posso farcela.


E come gli spot di Berlusconi. E i referendum di Pannella: quante cose ci hanno proibito nell’ultima settimana per il nostro bene.

Trad.: Là fuori sono negati i diritti fondamentali alla menzogna, alla crudeltà, alla violenza. Solo un popolo di pecore accetta passivamente di farsi appiedare.


Agli adulti invece nessuno ha spiegato niente, nella convinzione che sapessero già tutto da soli. Così alle nove i centralini dei vigili erano già intasati, e chi chiedeva a che ora cominciava il blocco, e chi voleva sapere se era limitato al centro, perché nella società dell’informazione facciamo il pieno di notizie superflue, ma quelle che ci servono davvero non le sappiamo mai.

Trad.: Il dottore mi ha convinto che potrò contare su una adeguata cortina fumogena, che il Generale Berlusconi ha sollevato un grosso polverone sugli spot ma non ha avvertito del blocco del traffico, e i feroci vigili urbani saranno troppo occupati per notarmi, e poi i nostri faranno tutti finta di non sapere niente e cercheranno di circolare lo stesso.


Poi siamo scesi in strada, dove ci aspettava un rumore spaventoso: il silenzio. Non quello naturale dei boschi, fatto in realtà di mille suoni. Un silenzio artificiale, che provocava la prima sensazione forte della giornata: solitudine esistenziale.

Trad.: Alla fine mi sono fatto coraggio e sono uscito, mi sentivo nudo senza la mia carrozzeria aerodinamica, con l’aria non condizionata che mi soffiava in faccia, ed è stato un salto nel vuoto. Dov’era il rumore dei miei otto cilindri a V, dov’era la mia autoradio a tutto volume, dov’erano i clacson, i rumori di sgommate, gli insulti urlati da un’auto all’altra? Niente. Così dev’essere la morte, mi sono detto.


Ma era solo un momento di sbandamento nell’opera complessiva di rieducazione. Il ghigno per il solito furbone a motore pizzicato dalla polizia («Le giuro, agente, non avevo ancora letto il giornale!»), lasciava il posto al sospiro di autocommiserazione (nel senso di commiserazione per l’auto), rivolto alla nostra vettura parcheggiata in divieto di sosta: durante il coprifuoco ci sarà almeno il blocco delle multe per le automobili che stanno ferme, zitte e buone?

Trad.: Pochi passi e l’ho vista, il mio esoscheletro, il mio guscio protettivo, era lì, in divieto di sosta, dove avevo chiesto che fosse lasciata in segno di sfida, nel caso non dovessi più tornare. Il mio ultimo gesto di ribellione nei confronti di chi vuole negare le nostre libertà: di occupare i posti riservati agli invalidi, di mettere l’auto davanti ai cassonetti, in doppia fila, davanti ai passi carrabili, dentro i cortili, dentro i portoni, finché non ci faranno degli ascensori adatti e potremo finalmente entrarci dentro casa!


Pieni di speranze, abbiamo iniziato l’avventura. La riconquista dello spazio e del tempo. La fine della nevrosi e dell’inquinamento. La riscoperta della natura e dell’uomo.

Trad.: Saluto il mio corpo esterno dentro il quale, esperimento felice, sono cresciuto, e mi avvio ad affrontare questo mondo orribile ed ostile, silenzioso e freddo, so che non è fatto per me, che sono stato creato perfetto (anche se ora mi hanno tagliato le ali).


Già, ma quale uomo? E questa domanda, in attesa dell’autobus di Godot, ci ha inquinato e nevrotizzato non poco la giornata. Quale uomo hanno in mente i nostri simpatici appiedatori di Stato, quando parlano con un linguaggio da herpes di «mobilità sostenibile» e «riappropriazione di spazi collettivi»?

Trad.: Che razza di creature popolano il mondo, per essere in grado di sopravvivere e prosperare in queste condizioni? Il dottore mi ha spiegato che si chiamano “uomini”, che anche lui era uno di loro prima degli innesti biomeccanici e dell’encefalectomia. Ha detto che non dovrebbero essere troppo diversi da me, almeno in apparenza, ma che parlano usando parole difficili e quando si divertono gli capita di trasmettersi orrende malattie, cosa che a me non accadrà mai, se solo sopravviverò.


Un uomo che vive alla periferia del benessere aspetta per ore un mezzo pubblico che non arriva mai, finalmente si attacca al tram, strapieno, e sbarca in un centro movimentato da orchestrine aziendali, biciclette vietate ai sofferenti di prostata, canti da gita scolastica, stormi aggressivi di pattinatori a rotelle, ladri ecologici che ti scippano in bici (è successo anche questo), maschere da carnevale e altre non meno grottesche di naturisti griffati come Pantani, una gigantesca parata di allegrie forzate ma batteriologicamente pure?

Trad.: Ho viaggiato su un veicolo molto primitivo, con l’interfaccia biologica completamente disconnessa che armeggiava faticosamente tra leve e bottoni per azionare un pietoso motore elettrico! L’incubo è infinitamente più orrendo dei miei peggiori timori: questo veicolo è schiavo di due binari, non può fare sorpassi azzardati, non può andare contromano, non è libero di scegliere il proprio destino, non può fuggire. Quale oscena ideologia ha potuto immaginare una simile mostruosità? Là fuori torme di cosiddetti umani paiono tutti intenti in questa loro incomprensibile attività che il dottore ha chiamato “divertimento”. Non posso immaginare nulla che sia più lontano dalla mia capacità di comprensione. D’altro canto io sono stato guarito da quella terribile malattia psichica denominata senso dell’umorismo. Loro no, e continuano a soffrire.


Quest’uomo «si impossessa della sua città», dicono gli slogan della neolingua al potere. Ma per farne cosa, se non quello che altri hanno deciso per lui?

Trad.: Che tristezza pensare che queste creature vivono nel dubbio, e devono scegliere giorno per giorno quello che è giusto e quello che è sbagliato, anche considerando i modelli di vita alternativi. Quanto è più semplice e giusta la mia condizione, io so sempre esattamente quello che è giusto, perché le mie reazioni sono pre-programmate e non possono sbagliare.


Il modello di riferimento resta l’intellettuale di sinistra che abita lussuose palafitte del centro e la domenica scende in strada a piedi con le tasche gonfie di giornali, si beve un cappuccino in piazza, visita un museo col biglietto omaggio, prende l’aperitivo insieme ai suoi pari commentando quanto fa schifo D’Alema però sempre meglio di Berlusconi e infine rientra soddisfatto nella sua magione ristrutturata per concedersi un’altra mezz’ora di cultura con le ricette di Vissani.

Trad.: In realtà il dottore mi ha spiegato qualcosa, ma erano storie troppo incredibili perché le prendessi sul serio. Mi ha narrato di individui che abitano nel cuore delle città, disdegnando il cemento armato e le mille sfumature di grigio della periferia. Ha detto che usano normalmente le estremità inferiori in questa maniera contro natura che consente di strisciare in avanti senza schiacciare il pedale dell’acceleratore, e anzi lo fanno volontariamente. Pare che si riempano le tasche di fasci di sottili fogli di carta coperti di caratteri dai quali estraggono idee per nuove nefandezze… meno male che non so leggere (trascrivo queste informazioni in un registratore che ho inserito nell’omero del braccio destro)!


Bisogna accettare la dura realtà: in auto o senza, il mondo si è spostato. E quel modello ecologicamente snob è minoritario e aggrappato a un’idea di conservazione che getta nel panico le nuove generazioni, le quali si chiedono come mai l’unico futuro che sappiamo proporre loro sia un ritorno al passato, a un collettivismo che non ha funzionato con i carrarmati, figuriamoci sugli autobus.

Trad.: Le scene che vedo sono insopportabili, individui che si trascinano penosamente a velocità ridicole senza un clacson per comunicare tra loro. Quanto è terribile tutto ciò, e quanto più luminoso, al confronto, appare il futuro al quale mi hanno preparato, un futuro di strade non vuote, ma brulicanti di “autuomini” come me (prima che mi privassero, temporaneamente, del mio carapace) che si insultano festosamente l’un l’altro, che si urtano e si tamponano con gioia, che sgasano e strombazzano in libertà, in una coltre grigia e densa di fumi, col solo ossigeno necessario ad alimentare i loro cuori a combustione interna.


Gli scrittori di fantascienza pensavano che dopo l’automobile ci sarebbe stato qualcosa di nuovo, magari l’autovolante, certo non la faccia quaresimale di Edo Ronchi che anticipa un ridimensionamento del nostro stile di vita. In attesa di uno scienziato che affami i petrolieri inventando il motore che non c’è, l’unico antidoto contro l’indigestione di auto sarà il computer, che ridurrà i nostri spostamenti fisici e di conseguenza l’inquinamento, creando ulteriori problemi di solitudine, certo, ma problemi inediti, non stravecchi come quelli riapparsi all’improvviso ieri.

Trad.: Non è un mondo per esseri liberi, questo, dove si critica il consumo sfrenato, dove si pongono limiti alle sacrosante pretese, dove si fa appello all’obsoleto buonsenso, all’aborrita logica!


Le code e la sensazione di soffocamento che dà il trasporto pubblico sono gli stessi fenomeni che soffriamo a bordo dei nostri trabiccoli affumicanti. Dove però abbiamo una radio che ci tiene compagnia, invece che un vicino con le ascelle sudate.

Trad.: Questo veicolo mi fa star male, è pieno di corpi viventi, ma nessuno col quale riesca a comunicare, a confrontarmi, da pari a pari, come faccio di solito con la mia autoradio.


Sarà un male, ma ormai è la nostra vita. Quella di ieri è qualcos’altro che abbiamo già vissuto e non può tornare. Siamo più individualisti, viviamo in un contesto che ha reso improponibile, purtroppo, attaccare bottone con gli sconosciuti su un mezzo pubblico o per la strada. Cosa infatti che ieri non ha fatto nessuno… Se fosse questa la «cultura della mobilità» declamata dal sindaco palermitano Leoluca Orlando, assomiglierebbe alla sua invenzione precedente, la «cultura della legalità», che non ha reso l’Italia né più legale né più colta. Solo più arrabbiata.

Epilogo
Sono tornato, sono di nuovo a casa.
Ora è tutto finito, la mia missione è compiuta, sono sopravvissuto. Non è stato necessario scendere dal veicolo elettrico sul quale ero salito: dopo un tempo interminabile mi ha riportato al punto di partenza, e ora riposo di nuovo nel mio abitacolo. Il dottore ha detto che appena mi sarò riposato rimetterà ogni cosa a posto. Non vedo l’ora di avere di nuovo i centri del piacere del mio cervello direttamente riconnessi al pedale dell’acceleratore, l’abitacolo di nuovo sigillato, il motore acceso e rombante…

……….

… ma che succede? Un’irruzione? Che vuole questa gente? Ci hanno trovati! Stanno facendo entrare l’aria, il sole… E’ la fine! Non mi resta che suicidarmi facendo esplodere l’Air-bag!
Io ho visto cose che voi umani non potreste immaginare. Tubi di scappamento in fiamme al largo di Viale Don Orione… Ho visto Mercedes “Classe A” balenare nel buio, oltre le porte di “Telepass”, e ora tutti quei momenti andranno perduti per sempre, nel tempo, come lacrime di pioggia sul parabrezza… E’ tempo… di morire.”

(Traduzione di Marco K. Dick)

N.d.T.: di questo Gramellini non si può certo dire che sia un uomo stupido: in primo luogo perché dal modo in cui scrive si capisce che non è stupido… ma soprattutto, dal contenuto di quello che scrive, si desume che non è umano.


Update (2010): è buffo vedere come un “signor nessuno” dell’anno 2000, ad un decennio di distanza, sia ormai diventato una sorta di intellettuale di riferimento del presunto “pensiero di sinistra” nel nostro paese. Ok, tutti possono ravvedersi, ma a rileggere certi articoli ci si domanda quanta parte ci sia di reale presa di coscienza e quanta di opportunismo.

2 pensieri su “Cyborg di tutto il mondo, unitevi!

  1. Marco, cavolo, scusami l’OT …. sono andato nel Blog da te citato e poi ho seguito un po’ di link.
    Sono esterefatto. A Roma avete più ciclo siti e ciclo blog di tutta Italia messa insieme!!
    Uè …. avete una “densità ciclistica virtuale” maggiore di Copenhagen o Ferrara!!

    ciao
    Stefano Gerosa

  2. Il numero di ciclisti è in aumento, non solo quelli “virtuali”, tuttavia uno dei motivi del tanto scrivere è proprio la frustrazione del poco pedalare. 😦

    Purtroppo Roma resta un incubo sei giorni su sette.

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