Il loop infinito della riluttanza al cambiamento

Eccetto bici

Nelle discussioni che, sui social network, hanno fatto seguito alla notizia della bocciatura (dietro suggerimento dei tecnici ministeriali) dell’introduzione del “doppio senso ciclabile” nel nuovo Codice della Strada, è riemersa pervicacemente un’attitudine tutta italiana all’immobilismo.

La sostanza dell’argomentazione è che le condizioni attuali delle strade italiane, l’invivibilità determinata dalle alte velocità dei veicoli, il disprezzo delle più elementari forme di rispetto delle regole da parte degli utenti motorizzati, sconsiglierebbero l’introduzione di nuove norme che potrebbero mettere a rischio la sicurezza degli utenti “leggeri”.

Vediamo un attimo nel dettaglio il provvedimento di cui stiamo ragionando. Il “doppio senso ciclabile”, già realtà in numerosi paesi del mondo, consiste nel limitare l’obbligo di percorrenza unidirezionale (senso unico) solo ai mezzi a motore, lasciando alle biciclette la possibilità di utilizzo della sede stradale in entrambe le direzioni.

Questo, necessariamente, su strade di larghezza adeguata ed a fronte di apposita segnaletica orizzontale (strisce a terra) e verticale (segnali di divieto di accesso ad esclusione delle biciclette), in modo che gli utenti motorizzati siano informati della possibilità di incontrare sulla via ciclisti che si muovono in senso opposto al loro.

Tale provvedimento si rende necessario per correggere il problema creato dall’impiego massivo dei sensi unici nelle zone residenziali, dove vengono utilizzati per dirottare il traffico motorizzato sulle vie ad alto scorrimento, impedendo il cosiddetto “traffico di attraversamento”.

Se questa soluzione ha un senso nel ridurre l’impatto del traffico veicolare sulle zone abitate, è altrettanto evidente che non può essere estesa indiscriminatamente ai conducenti di mezzi leggeri, come le biciclette, perché si arriverebbe alla situazione paradossale di trasferire obbligatoriamente veicoli non rumorosi né inquinanti su quella viabilità a scorrimento veloce per essi più pericolosa, col risultato, doppiamente negativo, di aumentarne i rischi e disincentivarne l’utilizzo a favore dei veicoli a motore.

A questo evidente paradosso si è soliti ovviare differenziando le restrizioni alla percorrenza in base alla tipologia di veicoli, quindi da un lato obbligando i mezzi a motore, per mezzo dei sensi unici, a privilegiare le grosse arterie di scorrimento, dall’altro consentendo ai veicoli a propulsione umana di spostarsi senza restrizioni nella viabilità residenziale e nelle “zone 30”, e facendo di queste aree più sicure l’asse portante della mobilità leggera.

Questo, almeno, è quello che avviene nei paesi in cui le decisioni vengono prese in base a considerazioni razionali. Nel nostro, dominato ad ogni livello dall’irrazionalità e dall’emotività, avviene il contrario.

Il meccanismo mentale che si innesca, che ho iniziato a definire “loop della riluttanza al cambiamento”, procede attraverso una serie di proposizioni pseudo-logiche e funziona nella maniera seguente:

Primo assunto: “in Italia non funziona nulla”

Conseguenza: “il cambiamento proposto non potrà funzionare”

Azione: “è meglio, allora, non apportare nessun cambiamento”

Esito: “in Italia continuerà a non funzionare nulla”

Quello che l’istinto ci suggerisce è che se si introduce una trasformazione ci sarà inevitabilmente un periodo di (faticoso) adattamento alla trasformazione. Il nostro orizzonte mentale si ferma qui. Non abbiamo la capacità di pensare al dopo, ovvero a quando la trasformazione comincerà a dare i suoi frutti e la situazione comincerà a migliorare.

Cosa che, invece, negli altri paesi (e, nel caso in questione, anche diverse realtà locali italiane particolarmente attive, Reggio Emilia in testa) riescono a fare: introducono trasformazioni, aspettano il necessario arco di tempo per verificarne la messa a regime e valutano i risultati solo al termine.

I risultati dell’introduzione del “doppio senso ciclabile”, in ogni paese e/o realtà in cui è stato introdotto, sono di un aumento nell’utilizzo della bicicletta (con conseguente riduzione nell’utilizzo di automobili) e di una diminuzione nel numero di incidenti. Sempre. Ovunque.

Ma queste sono argomentazioni razionali. Difficili da maneggiare per la nostra classe tecnico/politica e poco premianti sul piano del consenso e della visibilità. Impossibile perfino fare appello all’attenzione ed al buonsenso di una popolazione che si è piattamente lasciata devastare da decenni di talk-show televisivi e tribunette politiche. Il futuro, ormai da anni, arriva solo per gli altri, mentre noi restiamo immobili e pavidi a guardare.

10 pensieri su “Il loop infinito della riluttanza al cambiamento

  1. Analisi da leggere, rileggere e meditare per trarne importanti conseguenze anche di carattere politico generale. Grazie. 🙂

    • non posso che essere d’accordo con tutto quello che scrive Eugenio, a conferma porto l’esperienza della città di Lodi: Da anni è stato introdotto il “senso unico eccetto bici” in tante vie del centro e in alcune vie della periferia, la conseguenza è che in queste strade l’automobilista si è abituato a vedere circolare le bici anche nell’altro senso e quindi si è abituato a rallentare,
      Non è mai successo nessun incidente! Di incidenti ce ne sono stati, ma in quelle strade, anche del centro, a senso unico con limite di velocità 30, limite facilmente disatteso perchè posto su una strada diritta, che induce l’automobilista a spingere il piede sull’acceleratore.

  2. Ottimo articolo. Vale anche per altre questioni. Ad es. zone 30. Il fatto che all’estero sono dimezzati i morti per incidenti stradali non conta, si ha soltanto paura del cambiamento.

  3. “La sostanza dell’argomentazione è che le condizioni attuali delle strade italiane, l’invivibilità determinata dalle alte velocità dei veicoli, il disprezzo delle più elementari forme di rispetto delle regole da parte degli utenti motorizzati, sconsiglierebbero l’introduzione di nuove norme che potrebbero mettere a rischio la sicurezza degli utenti “leggeri”. Bisogna cambiare l’art.142: dai 50km/h ai 30km/h e via il 6bis. Quindi.

  4. Sarà mica che ” il disprezzo delle più elementari forme di rispetto delle regole da parte degli utenti motorizzati” dipenda dall’effettiva impossibilità di sanzionare i comportamenti scorretti?
    Via il 6bis.

    • “Effettiva impossibilità” o scarsa volontà?

      Chi ha interesse a multare gli automobilisti?
      Non certo le istituzioni locali, che a fronte di magri introiti se li ritroverebbero contro alle elezioni successive…

      In assenza di un meccanismo legislativo che renda premiante il sanzionamento dei comportamenti scorretti siamo condannati al far-west.

      • Bé… Effettiva impossibilità data dalla forte volontà di non eseguire questi controlli. Altro che scarsa volontà….. Per scrivere e approvare un comma come il 6bis bisogna essere fortemente motivati, sicuramente da chi non vuole mettere in discussione l’auto come soluzione per la mobilità privata. O il proprio culo sulla sedia, come giustamente fai notare rispetto alle istituzioni locali. Dovremmo essere altrettanto determinati e chiedere che venga tolto.

      • Credo (da verificare) che una buona percentuale dell’introito delle multe finisca comunque nelle casse statali…

  5. Pingback: Negative Feedback Loop | Roma Sostenibile

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