Ergonomia

(questo breve excursus non ha, ovviamente, la pretesa di esaurire l’argomento, né di dettar legge sulla materia, dal momento che prende spunto unicamente dalla mia esperienza personale, verificata in anni di attività escursionistica e proposta con successo a diversi altri ciclisti. Spero potrà rivelarsi utile anche ad altri ciclisti che leggeranno il post)

Parlare di ergonomia dell’andare in bicicletta non è semplice. Troppi sono i parametri che influenzano il relazionamento tra il corpo del ciclista ed il suo veicolo, troppe sono le variabili anatomiche da dover valutare.
Scegliere una bicicletta adatta alla propria taglia è solo il primo passo di una lunga serie di messe a punto ed ottimizzazioni, che possono risolversi, in caso di morfologie particolarmente atipiche, soltanto facendosi progettare un telaio su misura da un bravo artigiano. Per fortuna nella stragrande maggioranza dei casi si può ben adattare al proprio corpo un telaio commerciale senza sacrificare troppo in termini di comodità di guida e di performance.
In linea di massima le proporzioni che entrano in gioco nella sistemazione di una bicicletta sono principalmente quelle relative alla lunghezza delle gambe, al rapporto tra femore e tibia, al rapporto tra la lunghezza delle gambe, quella del busto e quella delle braccia.

La bicicletta che prenderò in considerazione per l’analisi posturale è una mountain bike XC (non un modello da discesa) di metà degli anni ’90 con telaio da 19″ che per il sottoscritto (1,74m) è prossimo al limite massimo, ma ho ben adattato alle mie esigenze. La geometria del telaio è classica di quel periodo, il tubo orizzontale ha un’inclinazione minima, più che altro dovuta all’innalzamento della serie sterzo conseguente al “trapianto” di una forcella ammortizzata in luogo di quella rigida originariamente presente.

Le considerazioni applicate a questa tipologia di bicicletta sono estensibili a qualunque altra tipologia, dalle bici da corsa a quelle “da viaggio“, dal momento che i due requisiti di base da cui parte l’analisi, efficienza del lavoro muscolare e comodità di guida, sono comuni a qualsiasi ciclista. Una tipologia a cui quest’analisi non è applicabile è quella delle mountain bike “da discesa” (Downhill e Freeride), che nascono ottimizzate per la percorrenza di pendenze estreme e sono drammaticamente svantaggiate in salita. Un’altra è quella delle bici “da passeggio”, senza cambio e prodotte per un’utenza dalle pretese minime in termini di percorrenze e tempi di utilizzo. Una terza, ancora più “atipica“, è quella delle Recumbent, o “bici sdraiate“.

La bicicletta che prenderò in esame è quindi in partenza “adatta” alle mie proporzioni anatomiche, che sono abbastanza nella media, non ha quindi richiesto interventi più drastici delle semplici regolazioni già disponibili per i diversi componenti della bici.
Ne approfitto per ribadire l’importanza, troppo spesso sottovalutata, di disporre già in partenza di un telaio “giusto” per le nostre misure. Adattare una bici troppo grande o troppo piccola produrrà quasi sempre risultati insoddisfacenti.

Questa è, nella mia esperienza, la posizione corretta da assumere in sella.

Tale posizione realizza diverse condizioni, in primo luogo un efficiente scaricamento della spinta articolare sul pedale.

E’ importante che il ginocchio, nella posizione di spinta (corrispondente al punto più avanzato della traiettoria del pedale) sia prossimo alla verticale dell’asse del pedale stesso, e quindi ci vada a gravare direttamente sopra.
Questo si realizza spostando la sella in avanti o indietro (più spesso in avanti) facendola scorrere sui due binari su cui avviene il fissaggio, e si controlla con un filo a piombo, collocato in prossimità dell’articolazione del ginocchio.
Più in generale si deve realizzare una condizione complessiva di scaricamento del peso del ciclista sul pedale.

Se la posizione della sella risulta troppo arretrata la sensazione complessiva sarà di spingere i pedali “in avanti“, anziché salirci sopra “in verticale“. La condizione di massima resa si realizza quando il baricentro del corpo si approssima al punto di applicazione della spinta (il pedale in posizione avanzata). Esistono significative differenze nelle lunghezze dei bracci delle pedaliere (da 170 a 185mm), anche se le differenze finali sono poco percettibili sarà il caso di verificare se la lunghezza montata sulla nostra bici è coerente con la geometria del telaio e con la nostra corporatura.

Ruotando la pedaliera, quando il pedale raggiunge il punto più basso la posizione corretta è la seguente.

In questa posizione la gamba deve risultare distesa (anche se non eccessivamente) ed il piede deve tassativamente poggiare con il suo punto di spinta (la piega del metatarso, quella che appoggia a terra quando ci alziamo “in punta di piedi“) direttamente sull’asse del pedale.

Oltre a far lavorare le articolazioni in maniera più efficiente, la distensione dei muscoli facilita lo smaltimento dell’acido lattico, responsabile della sensazione di fatica. Questa condizione si realizza agendo sull’altezza della sella, regolazione tipica in qualsiasi bicicletta. La posizione ottimale si raggiunge per tentativi, modificando l’altezza di mezzo centimetro alla volta e successivamente provando a pedalare. Al superamento del punto ottimale si percepirà il bacino ondeggiare verticalmente ad ogni pedalata, questo è il sintomo che l’altezza della sella è eccessiva: si tornerà alla posizione precedente e si provvederà a marcare tale posizione (p.e. graffiando una riga sul tubo reggisella con un cacciavite) per ripristinarla con facilità in ogni situazione futura in cui si renda necessario sfilare o abbassare la sella.
Attenzione alle scarpe che utilizzerete durante tale regolazione, devono essere le stesse che poi userete per pedalare: calzature con suole di diverso spessore richiederanno una correzione alla posizione verticale del sellino.

Una volta regolata la sella rispetto ai pedali bisognerà valutare la posizione del busto e delle braccia. La condizione da realizzare è quella della foto seguente.

Per ottenere uno scaricamento ottimale del peso del corpo sui pedali il busto dovrà essere inclinato in avanti di circa 45° rispetto alla verticale, e le braccia si distenderanno quasi perpendicolarmente rispetto ad esso (c.a 85°).
Tale posizione, a differenza delle altre viste fin qui, non è regolabile ma dipende dalla lunghezza orizzontale del telaio. Questo è anche il motivo per cui la regolazione verticale della sella, a differenza di quello che molti pensano, non è sufficiente per adattare una bicicletta al suo utilizzatore: occorre che l’intero telaio sia costruito in proporzione, altrimenti ci si troverà “sdraiati” in avanti, o al contrario troppo “contratti“.
Va anche notato che anatomicamente la distanza tra le spalle ed i polsi è maggiore di quella tra le spalle e le ossa del bacino che poggiano sulla sella (tuberosità ischiatiche). Questo fa sì che la posizione del manubrio debba necessariamente essere più bassa di quella del sellino. La posizione sollevata della testa necessiterà di un adattamento della muscolatura della parte posteriore del collo, che verrà da sé col passare del tempo.

Esistono delle controindicazioni per tale assetto, motivate da patologie della spina dorsale e/o dei dischi intervertebrali. Per esperienza è da sconsigliarsi a chi soffra già di cervicale. In questi casi occorrerà valutare ogni singola situazione, ed individuare un assetto compatibile con la patologia riscontrata.

Per evitare che il sellino eserciti una fastidiosa (e a volte dolorosa) pressione sulla prostata o sui genitali femminili, la punta della sella dovrà essere leggermente inclinata verso il basso, al più orizzontale ma mai verso l’alto.

Se la punta del sellino arriva a produrre un fastidio a livello inguinale, il nostro corpo tenderà a compensarla ruotando indietro il bacino e causando un inarcamento della schiena assolutamente nefasto, che produrrà, oltre ad una posizione scomoda, il rischio di dolori alla colonna vertebrale.
La posizione inclinata in avanti della schiena, oltre a garantire una guidabilità ottimale della bici, preverrà i danneggiamenti da urti verticali in presenza di fondo stradale sconnesso.
Nel caso si verificasse una eccessiva lunghezza della bici, l’unico intervento possibile è la sostituzione dell’attacco manubrio con un modello più corto o (situazione ben più rara) più lungo, al fine di recuperare una posizione il più possibile prossima all’ottimale.

Altezza, avanzamento ed inclinazione verticale della sella vanno regolate di pari passo, ogni correzione dell’una richiederà un adattamento dell’altra, fino ad arrivare alla soluzione ottimale.

La sistemazione descritta ottimizza la bicicletta per il movimento, ma non per la sosta. La sella risulterà perciò troppo alta per poter semplicemente fermarsi e poggiare il piede a terra. Occorrerà abituarsi, da fermi, a scendere ogni volta dal sellino.

La cosa ha un senso se si pensa che in un’uscita in bici si passano ore a pedalare, mentre per fermarsi e ripartire occorrono pochi istanti. Questo però obbligherà ad apprendere due semplici movimenti per partire e fermarsi. Per partire si procederà dalla posizione illustrata nella foto, si porterà uno dei pedali in posizione avanzata (ruotando la pedaliera all’indietro), quindi con un unico movimento si “salirà” sul pedale (la bici si sposterà in avanti) e ci si siederà sul sellino. Per fermarsi si sceglierà di collocare uno dei due piedi nel punto più basso della pedaliera, e frenando il corpo scivolerà in avanti fuori dal sellino mentre l’altro piede si poggerà a terra. Questi due movimenti, per quanto possano risultare inizialmente “ostici“, col passare del tempo finiranno a far parte di quel bagaglio di gestualità istintive che eseguiamo senza nemmeno pensarci su.

Non dobbiamo però pensare che l’utilizzo della bici si limiti ad una sola postura, ci capiterà sicuramente di dover ottimizzare la posizione in sella per far fronte ad esigenze “tecniche” del percorso, ad esempio in caso di discesa converrà poter spostare indietro il peso per aumentare l’efficienza frenante della ruota posteriore ed “alleggerire” quella anteriore, che potrà così più efficacemente superare eventuali ostacoli.

Oppure, nel caso delle salite o di ostacoli come cunette o buche, potrà rendersi necessario sbilanciare il peso in avanti.

Questi due movimenti, tanto semplici quanto spesso necessari, risulteranno molto limitati in presenza di un telaio più grande del necessario, rendendo l’atto del pedalare, oltre che più scomodo e stancante, anche inutilmente difficoltoso.

Da ultimo analizzerò la corretta disposizione dei comandi dei freni e del cambio.

Le leve dei freni dovranno essere abbassate fino a collocarle su una linea definita dal prolungamento degli avambracci. Dalla posizione “di marcia” saranno appena visibili al di sopra della barra del manubrio. Le leve del cambio dovranno muoversi parallelamente a quelle dei freni, questo già avviene per i comandi “integrati” (quelli in cui cambio e freni sono fissati ad un unico supporto), mentre dovrà essere verificato nei casi in cui i due comandi siano forniti separatamente. La posizione descritta ottimizza l’appoggio dei polsi sulle impugnature ed uno scaricamento ottimale delle sollecitazioni. Anche nel caso di frenate prolungate su un fondo sconnesso (si incontrano spesso lunghe discese nel corso delle escursioni, soprattutto in mountain bike) i polsi non soffriranno a causa di una postura errata.

Le leve dei freni di buona fattura dispongono inoltre di una regolazione della corsa per adattarsi a mani di diverse dimensioni. L’adattamento è necessario quasi per chiunque, dal momento che la posizione “standard” con cui le bici vengono fornite è al massimo dell’estensione e va bene, a mio parere, solo per i giocatori di pallacanestro capaci di tenere un pallone da basket con una sola mano.

La condizione ottimale di funzionalità si verifica quando la leva viene azionata con indice e medio, ed il lavoro di trazione operato dalle seconde falangi delle dita. La regolazione della battuta della corsa delle leve farà in modo che le nostre dita si trovino da subito in questa situazione, senza doversi allungare per raggiungere una leva troppo “avanzata“.

L’argomento non si esaurisce qui, ma almeno penso di aver fornito le basi essenziali perché ognuno/a possa valutare con cognizione di causa la propria posizione in sella, ed aver fornito sufficienti indicazioni per poter pervenire ad una sistemazione ottimale.

(P.s.: un grande grazie ad Emanuela per le foto, la revisione del testo e la pazienza nel sopportare la “full immersion” necessaria per portare a termine questo lavoro)

N.b.: l’articolo è stato pubblicato anche sul Forum Cicloappuntamenti.

5 pensieri su “Ergonomia

  1. cit. La posizione sollevata della testa necessiterà di un adattamento della muscolatura della parte posteriore del collo, che verrà da sé col passare del tempo.

    secondo me l’estensione della muscolatura del collo è proprio il peggior difetto posturale indotto dalle MB, insieme all’eccessiva pressione sulle braccia.

    questa postura probabilmente rende più facile adattarsi ai percorsi accidentati, se invece si percorrono tratti prevalentemente asfaltati è semplicemente scomoda.
    il supposto adattamento “col passare del tempo” non deve far sottovalutare una postura svantaggiosa.

    se non si è dei velocisti si potrebbe alzare il manubrio, ottenendo una posizione meno aerodinamica che però alleggerisce braccia e collo.

    se invece andate veloci, spendendo qualcosa si possono aggiungere delle appendici (le classiche “corna”) oppure sostituire il manubrio semi diritto sportivo con uno multiposizione,
    così da poter adattare la postura in base alle condizioni del fondo, ma soprattutto variare la postura più frequentemente possibile, che è una strategia utile ad evitare/ridurre le contratture ed i sovraccarichi muscolari.

    ultimo consiglio per le manopole: ne vendono di anatomiche (costano una follia) che massimizzando la superficie di contatto, riducono la pressione sulla mano.

    sarebbe bello parlare delle selle, ma è un argomento che da solo meriterebbe un blog dedicato, cosa che peraltro esisterà sicuramente.

    • Non sono molto d’accordo. Personalmente da ragazzo tendevo a camminare un po’ ingobbito, e l’uso della bici ha rafforzato la muscolatura posteriore del collo aiutandomi a tenere la testa dritta e raddrizzandomi la postura. Quanto alle appendici (“corna”) dopo averle utilizzate per decenni su manubri stretti ora le ho abbandonate in cambio di un manubrio più ampio e leggermente rialzato. Ricordo la mia incredulità quando il negoziante mi disse: “non serve avere molte posizioni sbagliate, meglio una sola ma che sia quella giusta”. Alla fine ho dovuto dargli ragione e non tornerei indietro mai più. Quanto alle manopole ho adottato il neoprene (Ritchey) che trovo abbia il miglior rapporto tra comodità ed efficacia di guida.

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