L’economia politica della dipendenza dall’automobile

Circa otto anni fa mi imbattevo, per la prima volta, nel concetto di ‘Dipendenza sociale dall’Automobile’. All’epoca mi limitai a tradurre dall’inglese un semplice grafico che la illustrava in termini di un ciclo auto-rinforzante mosso da scelte individuali e collettive. La sensazione che ci fosse dell’altro mi ha portato a sviluppare l’idea che non può esistere dipendenza senza ‘spacciatori’, idea successivamente confluita in un ragionamento in due parti e quindi culminata in una riflessione sui potenziali margini di illegalità messi a disposizione da un sistema politico largamente succube dell’economia e della finanza.

Poco più di un mese fa mi è stata segnalata una pubblicazione scientifica apparsa nella rivista Energy Research & Social Science, Volume 66 (Agosto 2020) ed intitolata “The political economy of car dependence: a Systems of Provision approach”. Scoprirla è stato l’equivalente del trovarmi di fronte una di quelle lavagne piene di appunti e fili dove i detective americani delle fiction collocano le evidenze di un crimine: immagini e testi collegati con dei fili per rappresentare in un unico colpo d’occhio tutti i potenziali sospetti ed i relativi moventi.

Ho pertanto deciso che un lavoro del genere doveva essere tradotto. L’idea iniziale è stata di buttare il tutto in un traduttore automatico e pubblicare il risultato tal quale. Tuttavia, una volta generata la traduzione automatica, leggendo ho realizzato che, per quanto abbastanza comprensibile, il prodotto finale mancava delle lucidità e chiarezza necessarie per inquadrare correttamente l’ampio ventaglio e la complessità dei temi esposti. Al che, ho rimesso mano al testo, aggiustando e correggendo. La fase di rifinitura, effettuata nei ritagli di tempo, mi ha richiesto oltre un mese. Il risultato finale può essere scaricato cliccando sull’immagine sottostante.

Clicca per scaricare il file

Come in parte atteso, il quadro descritto da questa ricerca appare decisamente più complesso ed intricato rispetto al semplice grafico circolare disegnato dal team di Copenhagenize. Lo studio identifica cinque ‘attori’ principali del processo di creazione della ‘dipendenza dall’automobile’, le cui interazioni e sinergie contribuiscono alla nascita ed al consolidamento di quelli che vengono descritti come ‘sistemi di mobilità fondati sull’utilizzo di automobili’, veicoli dai quali l’intera organizzazione sociale non risulta più in grado di prescindere per il proprio funzionamento.

‘Attori’ del processo sono 1) l’industria automobilistica (ed il relativo indotto); 2) il comparto dei lavori pubblici relativo alla costruzione di strade ed infrastrutture; 3) l’edilizia residenziale coinvolta nei processi di espansione urbana; 4) le realtà che operano nel trasporto pubblico; 5) le ‘culture dell’automobile’. In quest’ultima definizione vengono inclusi diversi media culturali: quotidiani, pubblicazioni, fiction, programmi audiovisivi ed eventi competitivi che, contemporaneamente, sfruttano ed alimentano una percezione positiva ed iconica dell’automobile.

Quindi un ventaglio di realtà diverse, operanti ognuna nel proprio specifico interesse, il cui portato finale contribuisce all’emergere di un sistema di mobilità diffusa fondato sull’auto privata. Un sistema di dipendenza dalle automobili pienamente radicato nella cultura popolare, apparentemente inscalfibile e difficilissimo da smantellare, o ridefinire in forme più rispettose dell’ambiente e della salute pubblica.

Le molteplici sinergie che vengono attivate nel processo di insediamento della dipendenza sociale dall’automobile disegnano un quadro inquietante del potere manipolativo nelle mani delle realtà macro-economiche, oltreché della sostanziale sudditanza della politica ai desiderata del mercato.

Un esempio di sinergie fra tanti: il comparto dell’edilizia residenziale trae vantaggio dall’uso diffuso delle automobili per mettere a reddito terreni in luoghi lontani ed isolati al fine di offrire possibilità abitative a prezzi apparentemente ridotti; per contro gli abitanti di queste urbanizzazioni ‘diffuse’ non potranno fare a meno dell’automobile per le proprie necessità, generando un ritorno in termini di consumi per l’industria automobilistica ed una saturazione delle vie di transito, che porterà ulteriori investimenti pubblici alle realtà economiche che operano ai lavori di ampliamento e manutenzione delle reti stradali, in un circolo vizioso che ottiene unicamente di drenare risorse economiche dalle tasche dei cittadini e riversarle in quelle degli attori coinvolti.

Il parallelo con la ‘scena del crimine’ proposto all’inizio non è casuale, perché le strade sono effettivamente il luogo di una carneficina immotivata ed evitabile (in termini di incidentalità e ricadute sanitarie da sedentarietà e inquinamento), se non fosse che questo disastroso stato di fatto giova ai summenzionati interessi economici, coalizzati nel mantenere un sistema di dipendenza e sfruttamento che trae profitto dall’ingenuità e dalle debolezze umane.

La conclusione, per parafrasare un famoso ciclista del passato, Gino Bartali, è che: “gli è tutto sbagliato, gli è tutto da rifare”. Purtroppo ‘rifare tutto’ avrebbe costi insostenibili, quand’anche si riuscisse nell’impresa di convincere la popolazione dell’infondatezza delle certezze incrollabili in cui siamo stati cresciuti, dimostrando che tali certezze sono solo costrutti culturali finalizzati al nostro sfruttamento. Un’impresa già tentata in passato da quelle che, nell’arco di molti decenni, si sono definite ‘controculture’, e già più volte fallita.

E tuttavia, questo lavoro opera un salto di qualità importante. Finalmente le relazioni causa-effetto risultano esposte ed illustrate con chiarezza, i meccanismi alla base della dipendenza sociale dall’automobile vengono chiariti una volta per tutte, e le responsabilità emergono incontestabili.

Riuscirà questa neonata consapevolezza a confluire nel sentire comune? In tutta onestà, mi piacerebbe essere più fiducioso al riguardo. La realtà è che non posso sottovalutare i troppi decenni già trascorsi senza che il processo venisse non dico arginato, ma finanche intuito. E men che meno posso ignorare la straordinaria efficacia del sistema mediatico globale nell’annegare ogni scintilla di reale consapevolezza in un oceano di banalità e distrazioni. Spero, comunque, di sbagliarmi.

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14 pensieri su “L’economia politica della dipendenza dall’automobile

  1. Molto interessante, ma non mi è chiaro per quale motivo “rifare tutto” avrebbe costi insostenibili quando l’intero pezzo elenca i numerosi costi superflui che un modello di mobilità centrato sull’automobile comporta. A meno che non si parli di costi politici, ma anche in quel caso ci sarebbe la controprova delle tante città (pensiamo a Parigi ma non solo) dove si sta cercando con successo di cambiare regime.

    • “Rifare tutto” significa che le città attuali sono sbagliate, perché l’uso diffuso delle automobili ne ha stravolto organizzazione e funzioni. Abbiamo creato delle mostruosità urbanistiche che dipendono dalle automobili come il corpo umano dipende dalla circolazione sanguigna. Buttarle giù e rifarle avrebbe costi insostenibili, ma d’altro canto privarne gli abitanti della possibilità di muoversi in macchina avrebbe (avrà) ripercussioni umane e sociali catastrofiche. Parigi ed altre metropoli ci stanno provando, noi stiamo affacciati in finestra a guardare, aspettando che crolli tutto.

      • Mi sembra una prospettiva eccessivamente, e inutilmente, pessimistica. Non bisogna buttare giù nulla, semplicemente ridurre gli spazi dedicati alle auto e incrementare quelli dedicati alle persone, al trasporto pubblico e alle bici. Si tratta di operazioni dal costo modesto, che tra l’altro riducono i costi di manutenzione stradale nel lungo periodo (per non parlare degli altri costi indiretti). Dove ciò viene fatto la circolazione viene resa più fluida e veloce, e l’economia locale ne trae beneficio. Il problema vero è spiegarlo ai cittadini, agli amministratori, ai gruppi di interesse, e poi attuare politiche nella giusta direzione.

      • Non so dove viva lei, ma qui a Roma le periferie si sono espanse in maniera folle: grappoli di palazzoni, o villini, a chilometri e chilometri da una qualsivoglia forma urbana riconoscibile ed abitabile. Quartieri dormitorio dove l’unica attività possibile è salire in macchina ed arrivare da qualche parte (anche in altri non-luoghi come i centri commerciali). Ho seri dubbi che il solo trasporto pubblico sia in grado di ridare un senso a certe banlieu nostrane a costi sostenibili.

  2. Da amante delle automobili, secondo me in Italia può esistere un metodo per far capire alle persone che si puo vivere molto meglio senza.

    Semplicemente diffondendo le analisi di quanto costa un automobile nell’arco della sua vita.

    Bene, un automobile economica ha un costo di circa 650 euro al mese se non si rompe nessun pezzo importante, cosa che normalmente succede soprattutto quando si superano i 10 anni e se l’automobile “dorme in strada” (per esempio le gomme dei supporti delle sospensioni tendono a seccarsi, in alcuni modelli questo succede con i condotti del motore!)

    650 €al mese sono 7800€ all’anno, ecco che una coppia in 10 anni senza automobili puo risparmiare 156’000€, dato che in Italia la maggiorparte delle città hanno un diametro ciclabile io credo che questa sia una opzione fattibile e molto appetibile.

    ecco qui i dati, oltretutto pubblicati dall’a.c.i:

    Fai clic per accedere a 30-35__Inchiesta_costi_mensili.pdf

    Secondo me se si cominciano a diffondere con frequenza, magari qualche giovane milleurista ci pensa due volte prima di indebitarsi a vita.

    • I ‘giovani milleuristi’ si stanno già adattando a modalità di spostamento diverse, il problema sono i vecchi, che continuano a vivere le fantasie degli anni ’60, hanno modellato le proprie esistenze sull’automobile e nel frattempo sono diventati fisicamente inadeguati sia all’utilizzo dell’automobile, sia al farne a meno. E’ questa generazione (la mia, fra le altre) che continua a detenere il potere in Italia e frena ogni possibile cambiamento.

  3. Sempre grande Marco. Colgo l’occasione per informarti che la presidente della commissione LL.PP. del 2° municipio Valentina Caracciolo avrebbe il piacere di indire una diretta attraverso una piattaforma con la cittadinanza per parlare della parte di GRAB insistente nel secondo municipio (lei è molto vicina alle istanze dei ciclisti). Si tratta di una serie di incontri per mettere a conoscenza e a confronto il territorio dove abito (2°) delle opportunità che ci saranno anche in termini di demotorizzazione (violenza automobilistica la scorsa settimana) , strade scolastiche(questa settimana con Sandro Calmanti) e prossimamente GRAB.  Io ancora non le ho parlato, ma tu saresti la persona più informata e anche più autorevole a poterne parlare e so di non sbagliare. Che ne pensi? Non so ancora la data ma grosso modo, essendo incontri settimanali, credo si tratti della prossima. Ciao Marco, a presto. Marcello

    • Tienimi aggiornato. Come forse saprai i promotori del progetto GRAB sono partiti per la tangente, stravolgendo l’idea originaria (e parte del tracciato). In conseguenza di ciò me ne sono tirato fuori e mi astengo dal commentare (non sempre, ma abbastanza spesso). Posso venire a discutere dei vantaggi che il GRAB rappresenterebbe per la messa in rete (ciclabile) di parte del territorio, ma mi trovo abbastanza in disaccordo su quello che si è voluto far diventare in termini di invasività dei contesti naturali ed urbani. Siccome non ho particolare voglia di litigare, tenderei ad astenermi.

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