In questi (pochi) giorni in cui si è iniziato a discutere di ‘congestion charge’, ovvero una tassa per l’accesso alle zone centrali della città (già esistente da anni in moltissime grandi città, non ultima Milano), le principali obiezioni hanno riguardato il fatto che si verrebbe ad operare una discriminazione “per censo”, ovvero che in questo modo i ‘ricchi’ verrebbero ad avere ‘più diritti dei poveri’.
Premesso che i ‘poveri veri‘ un’auto privata neanche se la possono permettere, tutto nasce secondo me da un’idea distorta di ‘egualitarismo’ per cui un comportamento negativo, se collettivamente tollerato, debba essere universalmente consentito al fine di ‘non discriminare nessuno’. O, in seconda battuta, dalla mancata percezione di quanto negativo risulti l’uso dell’auto privata in contesti ad alta densità abitativa. Ciò non stupisce, dal momento che decenni di propaganda pubblicitaria da parte di uno dei comparti economico/industriali più potenti del mondo hanno prodotto una narrazione dell’uso dell’auto privata che occulta completamente tutte le negatività che tale utilizzo comporta.
In nessuna pubblicità di nuove autovetture si fa menzione dei morti e feriti prodotti dall’incidentalità stradale, delle malattie oncologiche e respiratorie causate dall’inquinamento, del sovrappeso e dello stress, col loro portato di malattie cardiovascolari, del permanente salasso economico cui l’impiego di tali veicoli ci condanna, dell’occupazione di spazi pubblici rubati al relax ed alla socialità, o anche solo dei danni prodotti all’efficienza del trasporto pubblico, che non riesce a muoversi su strade perennemente intasate (si calcola che, in assenza di auto private, gli stessi mezzi attualmente in servizio potrebbero più che raddoppiare la propria velocità commerciale, effettuando, oltre ad un trasferimento più veloce, il doppio delle corse ciascuno).
Per tutti questi motivi l’accesso alle aree più densamente abitate con la propria auto privata non può rientrare nel ventaglio di potenziali ‘diritti’ reclamabili. Quanto ai ‘ricchi’, questi vivono già, in larga misura, nel centro città, e se serve si fanno scarrozzare in taxi (un veicolo che, a differenza delle auto private, non occupa spazi di sosta per il 99% del tempo).
Piuttosto non limiterei l’idea di tariffare i transiti al centro città, ma estenderei il concetto a tutte le aree ad alta densità abitativa, individuando una serie di centralità urbanistiche (Roma ha quella famosa forma ‘a grappolo’ che descrivo da tempo), e definendo per ognuna la relativa tariffa di accesso. Questo riequilibrerebbe la situazione tra centro e periferie, riducendo le discriminazioni ed incanalando i flussi di traffico, per quanto possibile, lontano dagli spazi più densamente abitati.
Concordo!
parole sante
E perché non un semplice divieto di accesso? Perché non farebbe cassa?
Inoltre, se il territorio è congestionato è anche (soprattutto?) perché sempre più gente ci vive. Considerare gli oltre cinque milioni di persone iniettate a forza sul territorio italiano dalle dirigenze e chiedersi in che misura quei milioni di persone aggravano la congestione è un passo troppo impegnativo concettualmente, ideologicamente o economicamente? Un buon provvedimento sarebbe, per cominciare, smettere di “importare” gente. Quindi provvedere a meccanismi per favorire l’allontanamento di chi, forestiero, è già è qui.
Ah, un altro passo concettualmente/ideologicamente/economicamente impegnativo potrebbe essere il considerare le potenzialità, in termini di abbattimento della congestione, offerte dal calo spontaneo della popolazione autoctona — guarda caso proprio quella che le dirigenze insistono a voler aumentare con campagne di “sostegno alle famiglie” (alias controllo demografico finalizzato all’incremento) e con fattive operazioni di “importazione” di ulteriore carne umana della più varia provenienza.
Lamentarsi per la “congestione” senza tenere conto di tutto questo è un esercizio di ipocrisia molto ben riuscito, ancor più odioso nel momento in cui si coglie il pretesto per forzare la mandria verso limitazioni di qualsivoglia natura.
Il divieto di accesso credo sia incostituzionale, a meno di voler integralmente pedonalizzare il centro storico. La tassazione è l’unica maniera per bilanciare esigenze di accesso e disincentivazione. Chi ne ha reale necessità pagherà, chi sta in strada perché ha tempo da perdere si troverà qualcos’altro da fare. Quanto al voler far ricadere la congestione stradale sugli immigrati mi sembra una grossa forzatura ideologica, anche in virtù del fatto che la maggior parte dei nuovi arrivati un’automobile semplicemente non se la può permettere. Le cause della congestione veicolare sono dovute ad una scellerata pianificazione urbanistica, che ha finito con l’espellere la gran parte della popolazione (soprattutto quella più giovane) verso le periferie, dove la speculazione edilizia ha prodotto abitazioni dai costi abbordabili in quartieri dormitorio privi di ogni servizio. Il risultato di questo, diciamo forzato, allontanamento dai luoghi di interesse causa lo spostamento quotidiano di masse crescenti di popolazione, per raggiungere gli uffici, i nodi di transito (ferrovie ed aeroporti) ed i servizi. L’unica cosa che è stata realmente delocalizzata è il commercio, anche in questo caso realizzando realtà (i centri commerciali) raggiungibili solo per mezzo di automobili. A differenza di altre nazioni, dove l’attenzione dei cittadini è più alta, in Italia abbiamo collettivamente partecipato alla costruzione di un sistema che ci obbliga ad usare l’automobile, ed al quale, a diversi livelli, hanno concorso un po’ tutti i centri di potere: quello politico/legislativo che ha emanato norme sistematicamente in favore dell’utilizzo dell’auto, quello economico/industriale (FIAT ed industrie petrolifere in testa), che ha fatto pressioni perché si andasse in questa direzione, e non da ultimo l’industria ‘del mattone’, che solo da queste politiche ha potuto avere mano libera per il ‘sacco’ delle periferie. In Danimarca, per prevenire la speculazione edilizia ed impedire che la popolazione fosse spinta verso periferie sempre più lontane, hanno deciso di tassare pesantemente sia le abitazioni sfitte (se tenerla sfitta ti costa caro fai il possibile per affittarla, anche abbassando il canone di affitto), sia l’uso dell’automobile (in questo caso calcolando le esternalità prodotte e facendosele pagare nella forma di una tassa di proprietà incorporata nel costo del veicolo). Noi abbiamo fatto il contrario. Con quale risultato? 250.000 appartamenti sfitti solo a Roma. Una capacità abitativa di mezzo milione di abitanti sprecata. Nel frattempo i giovani comprano casa a decine di chilometri dal centro città, e si spostano quotidianamente in macchina per ore intasando la rete viaria.
Di divieti di accesso è piena l’Italia, quindi dubito che siano incostituzionali.
In merito alle altre osservazioni, sono tutte pertinenti, tranne quella nella quale affermi che “la maggior parte dei nuovi arrivati un’automobile semplicemente non se la può permettere”. Tanti dei “nuovi arrivati” sono qui da oltre un decennio ed hanno abbracciato al 100% le abitudini “locali” in fatto di mobilità e predilezioni abitative, mentre è ormai superata da tempo l’identità immigrato=disperato (ammesso e non concesso che sia mai esistita in forma generalizzata).
Attivarsi perché i dimoranti di una certa zona (e anche l’Italia è, nel suo insieme, una certa zona) possano seguire la spontanea linea di riduzione numerica è un modo per migliorare la qualità della vita. Pare invece che dal 2001 ad oggi si siano perseguite politiche di segno opposto, provocando con deliberata intenzione un ulteriore incremento di popolazione che se sulla media nazionale si aggira sul 10%, in tante realtà (particolarmente del Nord) ha abbondantemente superato quella soglia. Anche solo il 10% è una bella botta, vogliamo continuare a peggiorare la densità demografica? Riduce il congestionamento? Migliora la qualità della vita? L’impressione è che gli obiettivi non siano la qualità della vita. Proprio no.